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LAICISMO

Il governo spagnolo dichiara guerra alle croci

La nuova legge sulla Memoria democratica prende di mira anche la croce più alta del mondo, situata nella Valle de los Caidos, da cui tre anni fa è stata spostata anche la salma di Francisco Franco. Dovranno andarsene anche i monaci benedettini, per trasformare il luogo in un simbolo democratico. Ma questa è solo parte di una guerra a tutte le croci presenti in Spagna. Proteste dei vescovi.

Libertà religiosa 18_08_2022 English Español
caidos

In Spagna non si ferma la guerra alle croci, accusate di “franchismo”. Numerosissime croci sparse nel Paese vengono tutte reputate colpevoli di essere state erette per volontà di Francisco Franco, e quindi inevitabilmente portatrici di apologia del regime. A cominciare da quella enorme (150 metri) del Valle de los Caidos (Valle dei caduti), sito nella valle de Cuelgamuros. Il complesso, a 60 km da Madrid, voluto da Franco, comprende anche un’abbazia benedettina e raccoglie le spoglie dei caduti (di entrambi gli schieramenti) della guerra civile spagnola.

«Resignificacion» è la parola chiave della Ley de Memoria Democratica, che porta a compimento la precedente Ley de Memoria Historica (2007) del governo di José Luis Rodriguez Zapatero, già noto per la spinta laicista impressa con decisione durante il suo mandato al punto che venne coniato un neologismo apposito per indicare la sua azione: “zapaterismo”. Il progetto di legge sulla “memoria democratica”, approvato il 14 luglio dal Congresso dei deputati e trasmesso quindi al Senato, ne prevede la trasformazione e ridenominazione, dando attuazione ai propositi dell’attuale premier socialista Pedro Sanchez.

Tra le nuove disposizioni, all’art. 54 si prevede, tra l’altro, di modificare «la denominazione del “Valle de los Caídos” che si chiamerà “Valle de Cuelgamuros”» e sarà «un luogo di memoria democratica la cui risignificazione (resignificacion)  [...] ha lo scopo di rafforzare i valori costituzionali e democratici». E si dichiara estinta la Fundacion de la Santa Cruz, che la Ley dichiara «incompatibile» con i valori costituzionali. Anche i benedettini si preparano a fare i bagagli: la loro stessa presenza sarebbe un residuo di «nacionalcatolicismo».

Ma Franco, morto e sepolto, è già stato sfrattato nel 2019, trasferendone le spoglie dal Valle al cimitero di Mingorrubio-El Pardo, a seguito di un progetto di legge approvato l’anno precedente, a soli due mesi dall’insediamento di Sanchez. Evidentemente la “defranchizzazione” non basta perché l’obiettivo è altro, come annunciato da anni. Tolto Franco, cosa resta ancora da eliminare? Quella croce ingombrante e le numerose croci “incriminate” nelle varie province spagnole.

La guerra alle croci è in corso da anni, precedendo addirittura la nuova Ley: al 2018 risale la rimozione della croce di Callosa de Segura, ritirata dalla pubblica piazza come un oggetto imbarazzante, tra le proteste di centinaia di persone. Nel 2021 è toccato a ben 34 croci della provincia di Cáceres accuratamente censite dal Comitato di esperti della Memoria Storica, tra i simboli franchisti da eliminare. In questi giorni a Castellón si dà l’addio alla Cruz del Ribalta, anch’essa accusata di franchismo, che lo scorso aprile è stata vandalizzata con i colori della bandiera repubblicana. Il 2 agosto la curia vescovile ha definito «del tutto impropria» la rimozione della croce.

L’articolo 35 della legge voluta da Sanchez non risparmia i simboli «contrari alla memoria democratica» che si trovino in edifici privati o religiosi ma «proiettati sullo spazio pubblico», mentre la precedente Ley “zapatera” era più blanda, includendo le ragioni «artistico-religiose» tra i motivi per evitare la rimozione. Ora invece i titolari dovranno ritirarli o eliminarli, a meno che l’operazione non pregiudichi la stabilità dell’edificio. «Le croci non sono storia, ma propaganda», tuona Miguel Ángel del Arco Blanco, docente di storia contemporanea all’Università di Granada, «e rimuoverle non minaccia la storia, ma purifica e pone fine a una visione del passato che non può essere onorata nel presente».

«L’obiettivo è umiliare la Chiesa cattolica», sostiene Hazteoir, che lancia un appello ai vescovi perché si levino in difesa della croce e della comunità benedettina. La conferenza episcopale spagnola nel 2020 aveva espresso riserve sulla volontà di trasformare il Valle in un cimitero civile, dal momento che i cimiteri religiosi «accolgono tutti, credenti e non credenti», esprimendo inoltre preoccupazione per la «volontà di scrivere una sorta di storia ufficiale che si trasformi in una linea guida educativa». E ricordando soprattutto che la croce di per sé è «un segno di riconciliazione».

Ma quella del partito di Sanchez sembra una vera ossessione. «Vi pare una cosa seria distruggere la croce più alta del mondo per concedervi una soddisfazione settaria?», ha chiesto Santiago Abascal, leader di Vox, durante il dibattito. Di serio c’è poco, compresa la proposta alternativa dell’altro partito di sinistra, Podemos– riportata da Hispanidad – di non distruggere la croce, ma limitarsi ad amputarle le braccia per tramutarla in obelisco. Una follia secondo i tecnici, essendo più facile la rimozione totale che l’amputazione. Ma, si direbbe, ogni follia è buona pur di non vedere «esa horrible cruz», come la definì la vicepresidente del governo, Carmen Calvo.

Ma perché una croce fa così paura – quali che siano le circostanze della sua costruzione – mentre a migliaia di km di distanza Lenin dorme beatamente e pubblicamente senza che nessuno pensi che le quotidiane visite alla sua salma (la salma di un dittatore!) si debbano scambiare per apologia di alcunché?  E dovremmo forse abbattere chiese e palazzi costruiti durante il ventennio fascista e che, pur privi di fasci, presentano lo stile inconfondibile del regime? Cancellare i monumenti significa cancellare una fonte significativa per studiare la storia, anche nei suoi passaggi più controversi. Lo zelo purificatore di Sanchez sembra piuttosto simile a quello che, in queste stesse settimane, ha spinto il governo del Nicaragua a imprigionare e rinchiudere in casa vescovi e religiosi. Si ha il sospetto che per il premier spagnolo «resignificacion» faccia rima con «desacralizacion».