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Ora di dottrina / 145 – La trascrizione

I misteri della vita di Cristo – Il testo del video

Nella Summa, san Tommaso legge gli eventi della vita di Gesù alla luce del mistero della Sua persona: vero Dio e vero uomo. La Sua umanità: strumento congiunto della divinità. Tre causalità: meritoria, esemplare, efficiente. L’imitazione di Cristo e le conseguenze per la vita cristiana.

Catechismo 05_01_2025

Proseguiamo le nostre catechesi introducendo i misteri della vita di Cristo. Oggi faremo una lezione introduttiva che servirà da sfondo per le prossime Ore di dottrina, perché ci permette di tenere presente la densità con cui san Tommaso tratta dei misteri della vita di Cristo.

Ricordo il contesto più ampio: siamo nella III parte della Summa Theologiæ. Terza parte che è dedicata proprio al Signore Gesù ed è inclusa dentro quello schema dell’exitus e del reditus di cui abbiamo parlato tante volte, cioè di Dio, da cui esce la creazione, in particolare l’uomo, che poi ritorna al suo principio. Ora, Cristo è il crocevia di questo exitus e reditus: sia perché è Dio che in qualche modo “esce” da Sé stesso, assumendo la natura umana sia perché è il Redentore, Colui che permette che questo reditus degli uomini possa effettivamente avvenire, perché dopo la caduta, dopo il peccato originale, questo reditus, questa possibilità di ritorno era venuta meno.

Dunque, il Signore Gesù si colloca proprio al centro di questo grande movimento di uscita e di ritorno che segna la Summa Theologiæ, ma in fondo segna la creazione e la storia della Redenzione.

Abbiamo dedicato alcune lezioni a vedere le quæstiones dalla n. 1 alla n. 26, che trattano il mistero della persona di Cristo, dunque il mistero delle due nature nell’unica persona e le implicazioni di questo mistero per quanto riguarda la persona di Cristo, la sua conoscenza, la sua volontà, la sua sensibilità, la sua corporeità.

Con questa lezione ci occupiamo invece di un altro grosso blocco, che va dalla quæstio 27 alla 59, che riguarda i misteri della vita di Cristo, quelli che ci vengono narrati, consegnati dai Vangeli. Dobbiamo subito capire la prospettiva: in san Tommaso non troviamo una “biografia” di Gesù – come ne sono poi sorte tante in tempi recenti, in maniera più o meno corretta –, dei dati storici, del contesto storico, dell’analisi dei dettagli che emergono dai Vangeli o da fonti extrabibliche. Non è questo che fa san Tommaso, il quale invece fa una teologia della vita di Cristo, una teologia dei misteri. Questo è il termine chiave che contraddistingue questa sezione della Summa Theologiæ. Che cosa voglio dire?

San Tommaso dà per scontato che quanto riferiscono i Vangeli sia vero, dà per scontati i dettagli che noi troviamo consegnati alla Chiesa dai quattro evangelisti. Quello che a lui preme è leggere questi eventi della vita del Signore come misteri. Cosa vuol dire? Vuol dire leggerli alla luce del mistero di Cristo, di Colui che li ha compiuti perché, a differenza di qualsiasi altra narrazione di eventi e personaggi della storia, il Signore Gesù non è un semplice uomo: la persona del Signore è il Verbo eterno nelle sue due nature, quella divina e quella umana che ha assunto. E dunque questi eventi sono sempre atti compiuti o subiti, accettati da parte del Verbo incarnato, cioè da parte di Dio che assume la natura umana. Questa prospettiva non può essere dimenticata e colloca questa sezione in perfetta continuità con quella che abbiamo visto fino adesso.

Dobbiamo sempre tenere presente un aspetto che viene sempre più sfumato e cioè che la vita del Signore, come ci viene consegnata dai Vangeli, non è la vita di un uomo qualunque, di un grande uomo: è la vita, sono gli Acta et Passa – ossia ciò che viene compiuto e ciò che viene subito, accettato – di Dio, del Verbo incarnato.

Questo significa che non si tratta della vita del Signore vista “dal basso”, cioè letta dal punto di vista meramente storico (non che questo non abbia il suo valore), ma è una vita del Signore vista “dall’alto”, secondo la prospettiva del mistero dell’unione ipostatica, delle due nature congiunte nell’unica persona del Verbo.

Questo ha due conseguenze fondamentali da cui poi, come vedremo, derivano tre tipi di causalità. Ma andiamo con ordine.

La prima di queste conseguenze è la cosiddetta convenienza. Torna questo termine che abbiamo già spiegato più volte. Cosa vuol dire in questo contesto? San Tommaso più volte dice che era conveniente che certe cose avvenissero in un certo modo, la Passione del Signore, il concepimento della Vergine, eccetera. Ora, cosa vuol dire questa convenienza? Siccome è il Verbo a compiere ognuno di questi atti, cioè la Sapienza divina, la Sapienza eterna che diventa Sapienza incarnata, è lei il soggetto di questi atti; è questa Sapienza che nasce, che fa, che guarisce, che insegna, che discute con i farisei, che viene arrestata, flagellata, crocifissa, che muore, che va nel sepolcro, che compie ogni atto. E questo spalanca lo spazio della contemplazione. Perché? Perché vuol dire che la nostra intelligenza, illuminata dalla fede, può comprendere la ragionevolezza di questi eventi, che dietro ogni fatto non c’è un caso, non c’è una coincidenza, non c’è una mera fattualità, ma c’è invece il Logos, una ragione, una sapienza profonda. È questo che fa sì che tutta la vita del cristiano in fondo sia (dovrebbe essere) una contemplazione continua dei misteri della vita di Cristo, proprio perché hanno lo spessore della Sapienza eterna che si incarna. Questo è importante.

Questo non significa che allora gli Acta et Passa Christi siano chiusi in uno schema a priori: cioè, la convenienza di cui parla Tommaso non vuol dire “abbiamo deciso che era così, quindi sono avvenuti così per necessità di uno schema a priori”. Non è così. Vuol dire che chi li ha compiuti liberamente, perché veramente uomo, è stato il Verbo incarnato. Tradotto in termini semplici, significa che non c’è nulla di quanto Cristo ha detto, fatto e subito che non sia il frutto libero della Sapienza eterna. Questo a differenza della nostra vita, dove noi compiamo molti atti in modo irriflesso, istintivamente; per altri atti ci riflettiamo, ma poi scopriamo che sono tutt’altro che sapienti e ragionevoli. Invece, nel Signore tutto questo non c’è; nel Signore c’è proprio il fatto che ogni atto della sua vita è un atto voluto, è un atto scelto, un atto, anche quando viene subito, liberamente accolto (pensiamo alla Passione), e compiuto e accolto precisamente secondo i “parametri” della sapienza di Dio. Quindi, dietro ogni dettaglio della vita di Cristo c’è una sapienza infinita che noi siamo chiamati a contemplare.

Il secondo principio, la seconda conseguenza di questa teologia della vita di Cristo “dall’alto”, di questa teologia dei misteri (che non sono altra cosa rispetto ai fatti, ma dicono che questi fatti hanno uno spessore diverso da un semplice fatto), è il fatto – su cui Tommaso insiste – che l’umanità di Cristo è lo strumento congiunto della divinità.

Cerchiamo di capire questo fatto in tutta la sua forza, perché è stato spesso equivocato. Abbiamo detto delle due nature nell’unica persona di Cristo. L’umanità assunta diventa lo strumento congiunto della divinità, non separato; la mia biro è uno strumento separato: io la prendo in mano, ma non è uno strumento congiunto alla mia mano, mentre la mia mano è congiunta al mio corpo. A differenza dello strumento separato, ma anche dello strumento congiunto come nell’esempio della mano, lo strumento congiunto, cioè la natura umana di Cristo è uno strumento umano, dunque pienamente libero. Poiché le due nature, divina e umana, sono complete, congiunte, autentiche, allora l’umanità di Cristo agisce secondo la modalità dell’umanità, quindi liberamente: è uno strumento sui generis, perché quando noi pensiamo a uno strumento non pensiamo a qualche cosa di animato, di umano, di libero. E se pensiamo a uno strumento umano, pensiamo a uno schiavo e dunque a uno che in fondo non è del tutto libero. L’umanità di Cristo, invece, è strumento congiunto secondo la vera umanità, dunque secondo quella modalità propria dell’umanità che consiste nell’agire secondo conoscenza e secondo volontà, quindi liberamente.

Questa umanità è sempre unita alla divinità ed è l’umanità della persona del Verbo: ecco perché è uno strumento congiunto. Il che, in soldoni, significa che tutto ciò che Cristo compie nella natura umana è Dio che lo compie, è il Verbo eterno che lo compie. È importantissimo questo, perché ci consente di comprendere l’umanità di Cristo come strumento congiunto della divinità e di comprendere che i sacramenti sono invece strumenti separati, non congiunti, dell’umanità di Cristo. Ed ecco che questa, che è lo strumento congiunto della divinità, opera e giunge fino a noi, fino a ogni uomo che ci sarà sulla faccia della terra fino alla parusia. Non è quindi un’umanità che è sorta in un periodo storico e che è finita in quel periodo storico; la nostra influenza come esseri umani dura finché dura la nostra vita, per quanto riguarda il livello orizzontale; poi, è chiaro che nella vita eterna anche noi eserciteremo un’influenza tramite l’intercessione.

Ma la vita del Signore, la sua umanità in qualche modo non ha una costrizione di spazio e di tempo. E questo permette di comprendere la verità fondamentale di Dio che non si comunica all’umanità in generale, ma si comunica tramite il Verbo incarnato, che agisce non in generale, agisce tramite la sua Chiesa e principalmente, anche se non esclusivamente, nell’azione sacramentale. Ecco perché noi possiamo dire che quando la Chiesa battezza è Cristo che battezza, quando la Chiesa assolve è Cristo che assolve, quando la Chiesa benedice è Cristo che benedice: c’è una continuità bellissima che ci fa entrare in una dimensione pregnante, nel mistero di Cristo e nel mistero della Chiesa. Dunque, questo è il primo aspetto fondamentale da tenere presente quando vedremo ciascuno dei misteri della vita di Cristo presentati nella Summa.

Chiarito questo aspetto, andiamo a vedere le tre causalità esercitate dall’umanità di Cristo in quanto strumento congiunto della divinità: la causalità meritoria, la causalità esemplare, la causalità efficiente.

La causalità meritoria è la conseguenza di quanto abbiamo detto: gli atti del Signore sono atti di un vero uomo; abbiamo visto il dogma della vera umanità di Cristo, che ci dice che c’è una vera volontà e una vera intelligenza umana, quindi non c’è in Lui solo la volontà divina. Proprio perché si tratta di atti veramente umani, ma non solamente umani, essi sono meritori: non sono meritori tanto gli atti in sé, ma la libertà e l’amore con cui sono stati compiuti hanno effettivamente avuto un valore di merito. Di merito innanzitutto per Colui stesso che li ha compiuti; non dimentichiamo che, sebbene in Cristo ci fossero, fin dal primo istante del concepimento, la scienza dei beati e la scienza infusa, tuttavia abbiamo anche visto che non tutto gli era stato dato da subito, per esempio la sua glorificazione, la risurrezione della carne, che era qualcosa che doveva ancora venire; questo è stato meritato dal Signore. Ma questo merito del Signore, talmente pieno e perfetto, una pienezza data dal fatto che nella sua persona l’umanità è congiunta alla divinità, deriva dal fatto che Egli ha veramente meritato per noi in ogni suo atto, in particolare nella Passione. Che cosa ha meritato per noi? Ogni grazia e in particolare la giustificazione, la salvezza.

Seconda causalità esercitata dall’umanità del Signore come strumento congiunto della divinità: la causalità esemplare. La vita di Cristo è il modello ideale, insuperabile, della vita dell’uomo. Questo ci permette di dire una prima cosa. Molto spesso si è obiettato alla morale di san Tommaso, definendola aristotelica, di non avere una connotazione propriamente cristiana, ma di essere una morale filosofica. Quando in realtà si comprende tutto l’insieme della Summa e si dà il giusto rilievo a questa III parte che stiamo trattando, si comprende che non è così, cioè si va ben oltre una morale filosofica. Questo l’abbiamo già visto quando abbiamo parlato delle virtù. Oltre ad aver parlato delle virtù teologali, abbiamo detto che esistono delle virtù che hanno un duplice versante: sono virtù umane, ma hanno un corrispettivo come virtù infuse. Pensiamo alle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. C’è un di più nella vita morale cristiana.

Da che cosa è dato questo “di più”? È dato proprio dal fatto che noi non abbiamo come modello un grande uomo, ma abbiamo come modello Dio che si è fatto uomo. Dunque, l’imitazione di Dio che si è fatto uomo necessariamente richiede una grazia che superi la natura umana. Quindi, nella vita cristiana noi non possiamo pensare a una morale solo naturale, non ha senso. Per capirci: siamo “impastati” della grazia; con il Battesimo siamo innestati in Cristo, non c’è più nulla in noi che sia puramente naturale, neanche nel senso di una natura decaduta. L’atto del cristiano diventa quindi sempre un atto che richiama, richiede la grazia, che fa agire la grazia. È importante tenere presente questo aspetto.

In questo senso la vita del Signore è veramente una vita esemplare, non come si potrebbe dire per esempio di un saggio di altre culture, di cui magari si legge la vita, si leggono le massime e si cerca di metterle in pratica: no, nel cristianesimo c’è qualcosa di più. E c’è qualcosa di più non solo perché Colui che compie questi atti non è un saggio, ma è Dio stesso; c’è qualcosa di più perché questa imitazione di Cristo, per il cristiano, non è un’imitazione meramente esterna. Cioè, non è solo: “Ha fatto così, e io faccio così, ha detto questo, cerco di metterlo in pratica”. Piuttosto, questa imitazione nasce dal fatto che noi non siamo dei semplici discepoli del Signore, ma siamo innestati in Cristo con il Battesimo. Ricordiamo san Paolo quando dice: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). La dinamica della vita cristiana, e quindi della vita morale del cristiano, ha questa ampiezza, questa densità: in noi si dispiega la vita di Cristo perché noi siamo sue membra. È importante: vedete, non è solo un’imitazione esterna, un’imitazione maestro-discepolo, il che non vuol dire che non ci sia anche questo, ma che c’è qualcosa di più profondo.

Questo richiama la terza causalità: la causalità efficiente. Vuol dire che ciascun atto di Cristo, essendo il Signore vero uomo, strumento congiunto della divinità, ossia essendo il Verbo che opera nell’umanità del Signore, continua ad avere un’efficacia salvifica, una virtus, una virtù salvifica perché Cristo è sempre presente e sempre agisce. Andiamo a recuperare quanto abbiamo affermato prima a proposito dello strumento congiunto della divinità. Noi ancora oggi abbiamo una visione un po’ strana, un po’ esteriore dell’anno liturgico; per esempio, ancora si sente dire che la Messa della mezzanotte è la Messa in ricordo della nascita di Gesù. Ma non è un ricordo: per fare un ricordo non serve celebrare i divini misteri, basta leggere il passo del Vangelo o guardare una foto o contemplare il presepe. Non è questo, non è un ricordo: è un rivivere. Rivivere non vuol dire pensare di essere sulla macchina del tempo, andare indietro di duemila anni e pensare di ricostruire quell’ambiente. Rivivere vuol dire che quella virtù salvifica è presente; ed è presente non perché è una forza nell’aria, ma perché è presente Cristo stesso.

Dunque, l’anno liturgico e i divini misteri della divina liturgia si agganciano a questa causalità efficiente di Cristo: non è un ricordo, è la presenza di Cristo stesso con la virtus di quel mistero, con la forza di quel mistero, che ha quindi una sua sfumatura, una sua connotazione che lo contraddistingue. Perciò noi riviviamo realmente [il Natale, per esempio], non con la fantasia, lo riviviamo nel mistero ma nella realtà di questa presenza reale di Cristo che agisce su di noi per mezzo della sua santa umanità.

Chiudiamo il cerchio. Questa virtù, che è Cristo stesso, agisce per quella virtù che Egli ha meritato – dove la causa meritoria sono gli atti della sua vita – e che rende efficace l’esemplarità. È per questo che l’esemplarità di Cristo non è qualcosa di meramente esterno, ma è qualche cosa che si realizza perché la stessa virtù di Cristo opera dentro di noi grazie alla vita liturgica e alla vita sacramentale e chiaramente alla vita della grazia nella preghiera. Questo è importantissimo e ci fa vedere come il cerchio si chiude. Di qui l’importanza di comprendere i misteri e gli eventi della vita di Cristo.

Vi do ora la struttura della sezione dalla quæstio n. 27 alla n. 59, è una struttura quadripartita: nelle quæstiones 27-39 abbiamo il cosiddetto ingressus, cioè i misteri legati all’Incarnazione; poi abbiamo, nelle qq. 40-45, il progressus, cioè alcuni eventi della vita di Cristo raccolti per categorie; poi, nelle qq. 46-52, abbiamo l’exitus, cioè i misteri sostanzialmente della passione e morte del Signore; infine, nelle qq. 53-59, abbiamo l’exaltatio, la glorificazione, cioè la risurrezione del Signore e la sua ascensione al Cielo.

Questo è il percorso che seguiremo nelle prossime catechesi. Richiameremo di volta in volta i principi che ne sono alla base, che è importante avere ben presenti per capire questa prospettiva dall’alto che san Tommaso offre alla nostra riflessione.



Ora di dottrina / 145 – Il video

I misteri della vita di Cristo

05_01_2025 Luisella Scrosati

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Ora di dottrina / 144 – La trascrizione

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29_12_2024 Luisella Scrosati

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Ora di dottrina / 143 – La trascrizione

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22_12_2024 Luisella Scrosati

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