Germania, il "muro" contro Afd dimostra che Vance aveva ragione
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Ancora una volta le indicazioni degli elettori vengono ignorate e si ripropone l'alleanza tra i democratici cristiani e i grandi sconfitti nelle urne, i socialdemocratici. Si conferma la regressione della democrazia e il potere di élites che censurano le idee dei loro cittadini.
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I risultati delle elezioni tedesche rappresentano un ulteriore colpo alla credibilità, già parecchio incrinata, della classe politica che per molti decenni si è alternata al governo del Paese più popoloso, ricco e influente dell'Europa continentale.
Infatti le presenti consultazioni hanno prodotto per l'ennesima volta una situazione di stallo paradossale e quasi surreale a cui la politica del vecchio continente ci ha ormai tristemente abituati: gli elettori forniscono un responso inequivocabile e chiaro, ma il sistema politico vigente non ne terrà conto, lo aggirerà, e produrrà risultati in totale contrasto con esso.
In Germania da quando è comparsa sulla scena poltiica la formazione politica di destra sovranista Alternative für Deutschland il sistema politico è letteralmente impazzito, perché contro di essa è stata messa in atto, da parte delle altre forze, una rigida conventio ad excludendum, imperniata sulla sua grossolana demonizzazione come partito antidemocratico, eversivo, addirittura neo-nazista. Un'esclusione analoga a quella agitata dalle forze mainstream di centrodestra e sinistra contro altri partiti della nuova destra europea, come il Rassemblement National di Marine Le Pen, Fratelli d'Italia e la Lega, Diritto e Giustizia in Polonia, Fidesz di Orban in Ungheria, Vox in Spagna e via dicendo.
Se però in Italia, come nei Paesi Bassi, in Polonia e in Ungheria, nonostante il tentativo di emarginarle, le forze populiste/sovraniste sono riuscite a conquistare il governo vincendo le elezioni e/o formando coalizioni con altri partiti, e in altri esse non hanno raggiunto dimensioni di consenso tali da rendere plausibile questa eventualità, nelle due nazioni che a lungo hanno costituito l'"asse" della governance Ue - la Germania e la Francia – le cose sono andate diversamente. Gli altri partiti, anche quando estremamente diversi e contrapposti tra loro, pur di non permettere alle destre presunte "estreme" di andare al potere hanno escogitato gli espedienti più acrobatici e formato le alleanze più improbabili, rivendicando anche esplicitamente l'imperativo di attuare un vero e proprio "cordone sanitario" o "muro" contro i presunti "nuovi barbari".
Così ha fatto l'anno scorso il presidente transalpino Emmanuel Macron indicendo elezioni anticipate dopo il successo di Marine Le Pen alle europee, e poi coalizzando al secondo turno di votazione in ogni collegio il suo partito con tutte le sinistre per strappare al RN la maggioranza, a costo di ritrovarsi con il rebus di maggioranze di governo pressoché impossibili, e dunque con esecutivi fragilissimi e lo spettro sempre incombente di nuove consultazioni. E così in Germania ha annunciato, fin dalla campagna elettorale, il candidato cancelliere dell'Unione CDU/CSU Friedrich Merz, che ha promesso di non cercare l'alleanza di AFD dopo il voto, nonostante i sondaggi prevedessero una grande affermazione del partito di Alice Weidel (nella foto LaPresse).
Una prassi che non a caso è stata attuata dalle famiglie politiche mainstream anche a livello dell'Unione, con la perdurante esclusione, dopo le elezioni europee, delle destre sovraniste vincitrici dalla maggioranza per la Commissione (salvo l'accordo con la Meloni) e la riconferma della presidenza di Ursula von der Leyen, quasi come se nulla fosse successo.
Ora l'esito delle urne in Germania, confermando ampiamente le previsioni, presenta davvero una situazione politica da teatro dell'assurdo. In un Paese normale, e in un continente normale, non ci sarebbero dubbi su chi abbia vinto, e su quale direzione gli elettori abbiano indicato: la Germania ha svoltato decisamente a destra. La somma tra i voti della CDU/CSU (28,5%) e quelli di AFD (20,8%) è del 49,3%, l'incremento di consensi più grande è proprio quello della destra sovranista della Weidel (+10,42, raddoppiati, contro il 4,38 dei democristiani), e la somma dei seggi conquistati dai due partiti raggiungerebbe ampiamente la maggioranza nel Bundestag (208 + 152, 360 su 630).
I socialdemocratici sono i grandi sconfitti, perdendo il 9,29% e scendendo al 16,41%; i Verdi calano di più di 3 punti all'11,61%, i liberali addirittura restano sotto la soglia di sbarramento e fuori dal Parlamento federale. L'unica altra forza a guadagnare seggi è la sinistra radicale Linke. E se si guarda a quali partiti hanno ottenuto la maggioranza nei singoli collegi elettorali l'effetto è ancora più nitido e impressionante. Il territorio della Repubblica federale, salvo qualche "macchia" sporadica di sinistra, è praticamente spaccato in due secondo la vecchia divisione tra le due Germanie: CDU/CSU vincono ovunque a Ovest, AFD vince ovunque a Est.
Eppure, Merz conferma la conventio ad excludendum verso la Weidel, e si appresta a cercare di formare una "grande coalizione" con i perdenti socialdemocratici, che avrebbe una maggioranza estremamente incerta (328 seggi, appena 13 sopra il 50%). Ancora una volta, le istanze rappresentate da un partito di destra sovranista vengono ignorate e respinte, disprezzando la parte di società che le affida ad esso.
AFD, come si vede dalla citata distribuzione dei voti, esprime soprattutto le richieste e preoccupazioni delle aree più economicamente disagiate del Paese. E, come molti altri partiti della sua famiglia politica, non avanza proposte eversive né estremiste, ma al contrario tipiche di una forza politica di destra pro-mercato e "legge e ordine". Chiede di cambiare rotta rispetto al disastro sociale costruito dai governi europei negli ultimi decenni: ideologici e rovinosi piani green che hanno distrutto letteralmente l'industria e seminato disoccupazione; apertura sregolata all'immigrazione di massa che ha diffuso criminalità e terrorismo abbassando i salari; all'alimentazione a senso unico del conflitto russo-ucraino, che ha messo ulteriormente in ginocchio l'approvvigionamento di energia e l'economia.
La negazione di legittimità alle sue argomentazioni e il rifiuto ostinato di prendere in considerazione le sue proposte per un programma di governo di centro-destra non ha alcuna giustificazione razionale, se non l'arroccamento di una classe politica, tedesca e continentale, ancora convinta di poter governare con una logica dirigistica e paternalistica, senza voci contrarie, come se i governati fossero un docile suo strumento e come se il mondo intorno, con le questioni reali che esso pone, non esistesse.
Un arroccamento che conferma precisamente, nonostante le reazioni indignate che da quella classe politica le hanno accolte, le accuse lanciate dal vicepresidente statunitense J.D. Vance nel suo discorso di Monaco. Ciò che sta succedendo oggi in Germania è l'ulteriore riprova del fatto che il vecchio continente presenta una cronica – e acuta – regressione dei principi di libertà e di democrazia, ed è largamente dominato da élites che propugnano apertamente la censura delle idee dei loro cittadini, si disinteressano dei loro reali problemi e ignorano il parere da loro espresso con il voto.
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