Gaza semidistrutta, cresce l'odio insieme alla devastazione
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Nella Striscia quasi rasa al suolo non c'è una casa risparmiata dalle bombe, mentre Israele e Hamas si accusano a vicenda di sabotare i colloqui di pace. La politica fa da amplificatore al clima di rancore e ostilità.
La Striscia di Gaza è quasi completamente rasa al suolo. Non c’è un’abitazione che non sia stata colpita o danneggiata dalle bombe. «A Gaza ho visto la distruzione», ha detto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca dei Latini, al suo rientro a Gerusalemme dopo aver visitato la parrocchia della Sacra Famiglia, una sorta di enclave cattolica in una lingua di terra dove vivono due milioni e mezzo di musulmani.
Devastazione e morte. Secondo i dati diffusi dal ministero della Salute della Striscia, il bilancio di questi quattordici mesi di guerra aggiorna i morti a 45.399 unità, mentre 108mila sono i feriti. Diecimila sono i dispersi, mentre cinquemila persone risultano scomparse dopo l’arresto. Un conteggio dell’orrore di questa assurda guerra che non risparmia nessuno. Né gli anziani, né tanto meno i bambini. Ma non solo le bombe, anche il freddo è causa di morte; è il caso di neonati deceduti per ipotermia a Khan Younis. Nelle raffazzonate tendopoli sparse nella Striscia, i lattanti vengono riparati dal freddo con una sola coperta. Ieri mattina, domenica, un altro neonato di appena un mese è morto a causa delle basse temperature. Si chiamava Jumaa al-Batran e viveva, assieme al fratellino gemello, in una tenda a Deir al-Balah, nel centro della Striscia, e nonostante la tragica situazione c’è ancora qualcuno che non abbandona la fiducia, e lotta per la sopravvivenza. «A Gaza ho visto anche la vita nel cuore dei cristiani che non si arrendono alla povertà, all’odio e alla violenza», ha aggiunto Pizzaballa.
Dopo quel tragico 7 ottobre 2023 e la guerra tuttora in corso tra Israele e Hamas, la convivenza tra ebrei e palestinesi diventa, giorno dopo giorno, sempre più difficile. Sia in Israele che in Palestina. Nessuno si fida più dell’altro. Così a Gerusalemme, a Nazaret o a Betlemme, tutti hanno paura di parlare. Hanno timore che qualcuno possa tradirli. Ma soprattutto hanno il terrore che qualche vicino possa essere un delatore, un informatore dello Shin Bet, di quella parte dei servizi segreti israeliani che si occupa della sicurezza interna.
Ed è stato proprio un informatore palestinese dello Shin Bet che ha ucciso Ludmila Lipovsky, un’anziana donna di 83 anni che viveva in una residenza assistita a Herzliya, una città situata poco a nord di Tel Aviv. L’aggressore, identificato come Ibrahim Shalhoub, originario della città di Tulkarem in Cisgiordania, si sarebbe scagliato, forse perché pentito dei suoi precedenti come informatore dei servizi segreti israeliani, sulla Lipovsky e avrebbe iniziato a pugnalarla, uccidendola. L’uomo è stato ferito dalle forze di sicurezza e tratto in arresto. In precedenza, Shalhoub aveva fornito delle informazioni utili agli agenti dello Shin Bet che avrebbero portato allo smantellamento di alcune reti terroristiche in Cisgiordania, prima che la sua copertura saltasse e venisse trasferito, per la sua incolumità, in una cittadina segreta israeliana.
Paura, disperazione e mancanza di speranza stanno prendendo il sopravvento tra i cittadini. «Betlemme, ma non solo, è diventata una prigione a cielo aperto. Oltre al tragico conflitto a Gaza – sottolinea padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa – la gente lotta ormai da quattordici mesi; non c’è lavoro e le entrate sono azzerate. Ma soprattutto non si intravede un cambiamento». Nel frattempo, non mancano le provocazioni da parte di alcuni ministri del governo Netanyahu. In particolare del solito Itamar Ben Gvir, responsabile della Sicurezza nazionale e leader del gruppo ultraortodosso di estrema destra, che è salito, scortato dai militari, sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme per «pregare Dio per i nostri soldati, per il ritorno dei rapiti e per la vittoria», come scrive sul suo profilo su X. Provocazioni che non fanno altro che fomentare l’odio. Se la politica si fa contagiare dal disprezzo, dal rancore e dalle ostilità, diventa un mezzo di amplificazione di tutto questo.
Anche tra i giovani e i bambini l'inimicizia si sta facendo strada. A Gaza ogni 15 minuti un minore viene ucciso e uno viene portato in ciò che resta degli ospedali. Tutti i bambini, compresi i feriti, i disabili o gli orfani saranno la prossima generazione che difficilmente dimenticherà. Ultimo fatto grave da registrare la devastazione dell’unico ospedale rimasto in piedi, ma ora dichiarato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità non più agibile. Il nosocomio è stato prima circondato dai soldati israeliani, e fatti evacuare i pazienti e i sanitari, poi dato alle fiamme. Il presidio sanitario di Kamal Adwan a Beit Lahia era l'ultimo rimasto funzionante nel nord di Gaza. Il giorno prima, gli aerei israeliani avevano distrutto un edificio proprio di fronte al nosocomio. «Ci sono circa cinquanta morti, tra cui tre persone del servizio medico, sotto le macerie di un edificio di fronte all'ospedale Kamal Adwan», ha annunciato Hussam Abu Safia, direttore dell'ospedale che è stato arrestato dai militari assieme ad altre duecentoquaranta persone ritenute terroristi.
I bombardamenti si susseguono e un cessate il fuoco appare sempre più lontano, mentre Israele e Hamas si accusano reciprocamente di sabotare i colloqui di pace. «L'organizzazione terroristica Hamas sta mentendo di nuovo – si legge in una nota diffusa dall'ufficio del primo ministro Netanyahu –. Hamas disconosce gli accordi già raggiunti e continua a rendere difficili i negoziati». Il gruppo terroristico, tramite il nuovo leader, Muhammad Sinwar, fratello di Yahya, l’ex capo assassinato dagli israeliani lo scorso ottobre, ha rispedito al mittente le accuse, incolpando Israele di aver avanzato nuove richieste nei negoziati. Motivo dei contrasti: la fine permanente della guerra. I negoziatori del Qatar avrebbero chiesto ad Israele di essere meno rigido nelle pretese, mentre Hamas chiede garanzie che Israele non riprenda le ostilità dopo l'attuazione della prima fase dell'accordo.
Ieri pomeriggio cinque razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso la città meridionale di Sderot. Secondo fonti dell'esercito, due razzi sono stati intercettati, mentre gli altri tre hanno apparentemente colpito aree aperte.
Nel frattempo, in Israele non si placano le proteste. Se da una parte, proseguono le manifestazioni contro il governo Netanyahu per la liberazione degli ostaggi, con attacchi diretti al primo ministro, dall’altra, un gruppo di estrema destra si è recentemente riunito nei pressi di Mefalsim, al confine con Gaza, nonostante l'area sia interdetta ai civili, per chiedere la creazione di insediamenti nella Striscia. Un gruppo di contro-manifestanti ha cercato di bloccare il convoglio, ma la polizia glielo ha impedito. «Non riesco a credere che possano pensare di entrare a Gaza, quando ci sono ancora cento ostaggi nelle mani di Hamas», ha dichiarato un contromanifestante.
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