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L'INTERVISTA

Frate missionario: «Non si può "cosificare" Gesù Eucaristia»

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Fede "pandemica" in Italia e non solo, mentre nelle terre di missione la gente semplice comprende la sacralità della liturgia e del Mistero eucaristico. La testimonianza dal Guatemala di p. Gian Luigi Lazzaro.

Ecclesia 09_08_2023

P. Gian Luigi Lazzaro, frate minore, è dal 1977 missionario in Guatemala e dal 1989 parroco della parrocchia di San Bartolomeo di Quetzaltenango, la seconda città del Guatemala, a 2366 metri s.l.m., con una popolazione che si aggira attorno ai 200 mila abitanti. Direttore del collegio San Francesco d’Assisi e responsabile dell'Hogar che ospita una sessantina di piccoli disabili,  provenienti da famiglie poverissime o abbandonati. Poi, alcuni problemi di salute lo obbligano a declinare questi posti di responsabilità, senza però rinunciare al servizio degli ultimi. Un vita di intenso servizio al prossimo ed un non minore amore per la santissima Eucaristia. Con qualche preoccupazione...

P. Gian Luigi, c’è un’ età in cui un missionario smette di esserlo?
Un anno fa ritornai in Italia deciso a rimanervi. Non stavo bene. In questi quasi tredici mesi il Signore mi fece capire che l'Italia non faceva più per me ed il 22 giugno scorso, con la benedizione dei miei superiori, sono tornato in Guatemala per condividere con i miei piccoli disabili il tempo che mi rimane prima del "grande incontro".

Lei ha avuto la singolare grazia di vivere a fianco di un martire... Ci può raccontare?
Ho conosciuto il caro p. Cosma Spessotto [proclamato beato il 22 gennaio 2022, n.d.a.] nell'aprile del 1973 a San Salvador, nella parrocchia che noi francescani veneti avevamo nella capitale della Repubblica di El Salvador. A me è toccato sostituirlo, poco prima del suo martirio, per la festa patronale della Santa Croce che lì si celebra il 3 maggio. Spinto dal suo ardore serafico di vero artigiano della pace frequentemente si recava sia dai capi dell'esercito sia dai capi della guerriglia per scongiurare continui omicidi e vendette di una tragica guerra civile che costò la vita a più di 75 mila persone. Questo a qualcuno non piaceva.

Lei lo ritiene però martire dell’Eucaristia...
Era l'epoca in cui i guerriglieri, per dimostrare con più forza la loro presenza, occupavano le chiese, aggiungendo profanazioni a profanazioni. Neanche la cattedrale della capitale si salvò. Quando i guerriglieri si presentarono a San Juan Nonualco per occupare la chiesa parrocchiale, il p. Cosma, sulla soglia della chiesa, si oppose decisamente con queste parole: «Dovete passare sopra il mio corpo». A quanto mi risulta, posso affermare che p. Cosma è stato l'unico parroco che riuscì a salvare la sua Chiesa da sicure profanazioni. Gli assassini, conoscendo il suo amore ed il suo zelo per la Casa di Dio, avevano la certezza di incontrarlo lì: e lì lo incontrarono, con il suo breviario tra le mani, e lo uccisero, a pochi metri dal suo Gesù Sacramentato. Era il 14 giugno 1980. È stato il suo trionfo, la sua vittoria. Il suo breviario abbellito dal suo sangue lo sta a confermare.

Lei ha particolarmente a cuore la pratica plurisecolare della Chiesa di dare la Comunione sulla lingua. Perché?
Per noi sacerdoti, che da seminaristi sognavamo il giorno in cui avremmo finalmente "toccato" il Santissimo, il motivo dovrebbe essere d'una evidenza tale che nessun argomento dovrebbe valere a convincerci del contrario. San Francesco, proprio per questo, chiama i sacerdoti "miei signori", per il fatto che «essi soli amministrano agli altri» il Santissimo Corpo di Cristo. Dare e ricevere la Santa Comunione nella mano è commettere un abuso e rendere grossolano e sicuramente non nobile un gesto che per sua natura deve riflettere il divino. Un elettricista, che della teologia forse non conosce nemmeno il termine, mi diceva: «Solamente voi sacerdoti potete toccare l'Ostia e dare la Comunione. Solamente voi avete ricevuto l'unzione sulle mani». Purtroppo ora, anche qui in Guatemala, tutti o quasi tutti si sono adeguati. E che dire dei ministri e ministre straordinari della Comunione?

Il 29 luglio dello scorso anno, il suo vescovo, S. Ecc. mons. Molina Palma, ha chiesto ai sacerdoti della diocesi di tornare a distribuire l'Eucaristia esclusivamente sulla lingua.
Si tratta di una misura adottata in conseguenza di una grave profanazione compiuta in una delle parrocchie della nostra Diocesi di Quetzaltenango. I malviventi hanno portato via solamente le Sacre Specie lasciando la pisside! Il vescovo ha riflettuto sul fatto che ci possono essere persone che  ricevono la Comunione in mano e la portano con sé per scopi simili a quelli di questi profanatori. E così ha ricordato che «la forma prescritta per la Comunione è nella bocca. La Comunione nella mano è una concessione». È semplicemente un permesso, un indulto, una concessione. Per quanto mi riguarda, non ho trovato nessuna difficoltà. Ho sempre dato la Comunione nella bocca ed in ginocchio; e a quei pochi che si presentano a ricevere la Comunione nella mano sussurro queste parole: «Non do la Comunione nella mano perché ho paura di profanazioni». Ed ora una domanda.

Prego.
Perché non si riconosce la libertà di coscienza, il diritto all'obiezione di coscienza a quei sacerdoti che vivono e soffrono per questa mancanza di rispetto verso Gesù Eucaristia e che dai loro Superiori si vedono limitati nel loro ministero e nel loro apostolato? È una domanda legittima, dato che la legge universale della Chiesa stabilisce che la Santa Comunione si deve dare in bocca e non nella mano.

Dopo la parentesi della pandemia, in Italia ci sono ancora molte parrocchie e intere diocesi che non permettono più ai fedeli di ricevere la Comunione sulla lingua.
Continuare a dare la Comunione nella mano non è frutto di prudenza bensì di mancanza di fede, o perlomeno di una fede alquanto languida. Si tratta del prurito di molti vescovi e sacerdoti che a tutti i costi vogliono dimostrare la loro preoccupazione per la salute altrui. Paternalismo!
Si aggiunga, al limite del ridicolo, l'usanza ancora in atto, di ostentare l'uso del gel. Se durante l'epidemia, il "terrore" del contagio da parte di qualcuno forse poteva giustificare questa misura, la fede esige da parte di tutti, autorità e fedeli, che non si tratti il Santissimo come veicolo di contagio, ma con il più grande rispetto. Continuare a dare la Santa Comunione nella mano significa abituare i pochi fedeli che ancora hanno fede a "cosificare" l'Infinito.

Lei è particolarmente affezionato alla celebrazione della Messa secondo il Messale del 1962; nel nostro immaginario, questa forma celebrativa sembrerebbe controindicata soprattutto nei Paesi di missione, in virtù del fatto che la gente semplice non capirebbe...
Ho imparato a celebrare la Santa Messa in rito antico nel 2009; avevo 71 anni e continuo a celebrarla. La gente semplice non capisce? Ma chi capisce il mistero? Io ho potuto invece constatare che la Santa Messa in questa forma avvicina al Mistero, aiuta a viverlo. A dimostrarmelo sono proprio i fedeli che vi partecipano con modestia e rispetto. I brevi e misurati dialoghi tra il celebrante ed i fedeli, i lunghi silenzi durante i quali, con preghiere che elevano, il sacerdote dialoga a tu per tu con Dio in nome di tutto il Corpo Mistico e l'essere tutti rivolti verso l'Infinito fa sì che il sacramento risulti un segno vivo e vivificante della grazia.
Anche il ritmo scandito dai segni di croce, dalle genuflessioni, dagli inchini e dai baci all'altare è di grande aiuto ai fedeli ad elevare i loro animi. Ed è di grande aiuto al celebrante stesso, che così comunica ai fedeli il senso del mistero e promuove in loro un quasi naturale, spontaneo raccoglimento.



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