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INTERVISTA / MONS. SUETTA

“Festival blasfemo? Rai responsabile, è un attacco voluto”

L’esibizione di Achille Lauro al Festival è un modo «per supplire a una carenza totale di vena artistica». Ma il problema più serio sta in capo al direttore artistico Amadeus e alla Rai, «perché un conto è la libertà d’espressione, un altro è il vilipendio aggressivo della religione cattolica», presa sistematicamente di mira. «Tutto ciò dà l’idea di qualcosa che non solo è tollerato, permesso, ma anche voluto». La Bussola intervista il vescovo di Ventimiglia – San Remo, Antonio Suetta.

Attualità 03_02_2022

Non è stata la prima, non sarà l’ultima. L’esibizione blasfema di martedì sera, con cui Achille Lauro ha dato il la al Sanremo 2022, scimmiottando un battesimo nel corso della sua canzone (?) “Domenica”, si inserisce nel solco di una serie di altre offese a Dio, alla fede e alla morale cattolica messe in atto tanto dal cantante quanto più in generale in un Festival ormai da tempo sfruttato come vetrina delle mode e ideologie più degradanti.

Ne è convinto tra gli altri il vescovo di Ventimiglia - San Remo, Antonio Suetta, uno dei pochissimi, anche in campo ecclesiale, a esporsi pubblicamente contro questo sistematico attacco al cristianesimo. Un attacco che è tanto più grave perché portato avanti da una rete Tv che dovrebbe fungere da “servizio pubblico”, sostenuta con i soldi dei contribuenti attraverso un canone verso cui, a questo punto, non possono che levarsi voci di protesta.

Monsignor Suetta ieri ha diffuso un comunicato nel quale, oltre a denunciare la nuova dissacrazione, ha esortato i fedeli al dovere di riparare con la preghiera. E al telefono con la Nuova Bussola ha aggiunto che prima della Quaresima potrebbe riproporre nella sua Diocesi la bella tradizione delle Quarantore, per offrire l’adorazione del Santissimo Sacramento «proprio come atto di riparazione a Dio». Abbiamo intervistato il vescovo.

Monsignor Suetta, in apertura del Festival di Sanremo sono stati profanati in un colpo solo il giorno sacro al Signore e almeno un Sacramento, il Battesimo, anche se il testo di Achille Lauro contiene altri riferimenti offensivi. Perché, secondo lei, questo continuo attacco alla fede cattolica?
Se devo restringere l’attenzione su Achille Lauro, ritengo che sia una brutta modalità, tra l’altro ripetitiva, per supplire a una carenza totale di vena artistica. Anche il cosiddetto testo della canzone è un coagulo di parole senza senso e senza poesia, che formano un contesto insulso in cui vengono evocati in modo dissacrante dei simboli religiosi, dal coro gospel che canta Alleluia al gesto battesimale. Trovo che questo sia un pessimo esempio dal punto di vista umano. Ed è poco dignitoso che una persona faccia queste cose per guadagnare. Ma al di là del caso di Achille Lauro, c’è un altro problema.

Quale?
Il problema più serio è chi lo ospita. Mi riferisco al direttore artistico e conduttore, che pure si dichiara cattolico.

Quindi, Amadeus.
Sì, Amadeus. E più ancora mi rivolgo alla Rai, perché un conto è la libertà d’espressione, anche satirica e comica, un altro è passare il limite, dove si configura il vilipendio aggressivo della religione: è un limite che viene oltrepassato sistematicamente, veicolando una comunicazione offensiva verso la religione cattolica e solo verso di essa, perché - intendiamoci - a Sanremo altre religioni o anche istituzioni dello Stato non vengono mai toccate. Tutto ciò dà l’idea di qualcosa che non solo è tollerato, permesso, ma anche voluto. Come ho scritto nel mio comunicato, confido ancora che a livello istituzionale ci sia una presa di posizione.

Che ne pensa del fatto che in Italia si rischi il linciaggio mediatico se si dice pubblicamente una parola cristiana a difesa della vita nascente o del matrimonio, mentre al primo caso riguardante un’offesa vera o presunta verso una delle “categorie” del politicamente corretto si invoca una legge?
È la prova di una volontà ideologica di proporre una visione della vita che non si configura nemmeno come una proposta di valori positivi e concreti, ma si delinea come una destrutturazione programmata e pervasiva di tutto ciò che è a fondamento della nostra civiltà, cultura e tradizione. Ci sono valori di rispetto, valori fondanti la vita e la convivenza sociale che non sono necessariamente religiosi, ma prima di tutto antropologici. Oggi si sta destrutturando tutto questo, è come se fosse in atto una rottamazione dei valori, quella che si chiama cultura della cancellazione.

Evidentemente, come diceva, il problema non è solo Achille Lauro, ma il consenso che queste esibizioni offensive della fede suscitano in una parte della popolazione, dei social network e della stragrande maggioranza dei media tradizionali: ci sono titoli e articoli che parlano di “show” o addirittura di un Achille Lauro “in grande spolvero”.
Guardi, ritengo che la maggior parte della popolazione non sia interessata al fenomeno. C’è una fetta di popolazione prevalentemente giovanile o di giovani adulti che frequentano maggiormente i social e che sono purtroppo più esposti a questa pervasività del pensiero destrutturante e ne sono certamente vittime. Vittime che fanno il coro. Per quanto riguarda invece i capocoro, cioè in generale i mezzi della comunicazione sociale, come notiamo in tante circostanze rispondono al direttore d’orchestra... Oggi, in nome di una falsa concezione della libertà, di autodeterminazione, si ritiene di poter dare addosso a tutto ciò che fino a ieri ha rappresentato un valore e un riferimento sicuro. Questo è l’ordine di scuderia. Il mondo ufficiale della comunicazione obbedisce a questo ordine di scuderia come si vede in tante altre circostanze della vita sociale, nazionale e internazionale.

È la dimensione del pensiero unico.
Tira questo vento, che porta con sé tante conseguenze negative. Ma la storia ci insegna e la fede ci rassicura che esso non avrà l’ultima parola: altrimenti, non rimarrebbe nulla, perché questo vento ideologico non è capace di costruire, è in grado solo di distruggere. Ma alla fine quel che sono il bene e la verità, grazie a Dio, vinceranno, rimostrandoci la strada giusta.

A proposito, da giovedì 3 (oggi, ndr) a sabato 5 febbraio si terrà a Sanremo il primo “Festival della canzone cristiana”, un’iniziativa che lei ha salutato con favore, giusto?
Sì, non è un’iniziativa diocesana, ma la Diocesi ha dato volentieri il suo patrocinio perché ascoltando il direttore artistico dell’evento, che è il cantautore Fabrizio Venturi, ci è parso di cogliere nella sua impostazione un fine valido. Non è un contro-Festival, non avrebbe alcun senso, ma è per dare cittadinanza al genere della christian music. Constato che ci sono tanti giovani che hanno una bella vita di fede e la gioia di testimoniarla. In questo senso, una manifestazione così può dare un apporto prezioso.

Torniamo al caso da cui siamo partiti. Si aspetta che qualcun altro nella Chiesa, qualche confratello vescovo intervenga contro le blasfemie a Sanremo?
Sì, spero di sì. Io ho sentito il dovere di farlo perché sono qui sul posto e non voglio che il mio silenzio sia interpretato come indifferenza, noncuranza e tantomeno complicità. C’è chi può pensare che intervenendo si faccia il gioco di chi offende, ma il Festival di Sanremo ha già una sua dimensione nazionale e internazionale. Perciò credo che si debba dire una parola chiara, altrimenti possiamo lasciare l’idea che tutto sia concesso.