Draghi soffia sul fuoco dei problemi della Meloni
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Nonostante si ritenga che la Meloni sia la continuatrice dell'agenda Draghi, l'ex premier rilascia un'intervista al Financial Times dove prevede una recessione per l'Ue in generale (ma per l'Italia in particolare). Cosa avrà voluto segnalare?
C’è chi ritiene che Giorgia Meloni stia di fatto portando avanti l’agenda Draghi e dunque che possa stare serena perché l’ex premier la tutela nei contesti internazionali. Ma c’è anche chi sostiene il contrario, e cioè che ogni volta che Draghi rompe il silenzio e lancia qualche allarme si tratta sempre di un avvertimento in codice per qualcuno, forse anche per i governanti italiani.
È presto per capire se le parole pronunciate nelle ultime ore da Mario Draghi al Financial Times siano casuali o una velata minaccia per il premier italiano. «È quasi sicuro che avremo una recessione entro la fine dell’anno», ha detto l’ex Presidente della Bce, chiamato dalla Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ad elaborare una strategia per rilanciare l’economia europea. La sua è una valutazione più pessimistica di quella di Bce e Fondo monetario internazionale, che pronosticano un rimbalzo della crescita europea.
Il ragionamento di Draghi può riassumersi in un concetto non troppo rassicurante: il peggio deve ancora arrivare, siamo alla vigilia di una nuova contrazione della crescita economica e c’è da sperare che il trend si inverta nella seconda metà del 2024. Nonostante la sua resilienza, sulla produttività l’Europa arranca dietro Usa, Giappone, Cina e Sud Corea. Un problema che, secondo l’ex Presidente della Bce, si risolve solo «attraverso investimenti ad alto valore aggiunto e ad alto tasso di tecnologia».
Ma Draghi è ben consapevole che l’Italia da questo punto di vista, rispetto ai partner europei, è indietro e probabilmente, con una punta di sadismo, infila il dito nella piaga, tanto che aggiunge: «L’obiettivo dell’Europa sarebbe quello di avere poli tecnologici come quelli di Usa e Regno Unito, partendo prima di tutto dal capitale umano e dalle competenze». Da lui arriva anche una sconfessione della politica energetica europea: «Non andiamo da nessuna parte se la paghiamo due o tre volte quanto costa nel resto del mondo». E sottolinea che sono necessarie politiche di approvvigionamento e stoccaggio comuni, e occorre muoversi rapidi verso le fonti di energia rinnovabile.
Fin qui Super Mario al Financial Times. Che lettura dare delle sue parole, al di là del quadro a tinte fosche della situazione europea e in particolare italiana? Draghi ha forse voluto ribadire che la Meloni non può fare i conti senza l’oste, in questo caso senza Bruxelles? Probabilmente il nostro premier lo sapeva già di doversi confrontare in modo serrato e costante con le cancellerie europee che non l’hanno mai amata e che ora fanno buon viso a cattivo gioco sapendo che lei è molto apprezzata in Italia e ha un alto gradimento nei sondaggi. Tuttavia, le parziali riserve dimostrate dai vertici Ue sull’accordo Italia-Albania in tema di immigrazione non vanno sottovalutate, perché si sommano alle altre difficoltà che Giorgia Meloni sta incontrando nelle ultime settimane sul fronte interno.
L’accelerazione sul premierato si spiega proprio con la sua necessità di distogliere l’attenzione da tali difficoltà, iniziate con la retromarcia sugli extraprofitti alle banche. Poi è arrivato il caso Giambruno, che a livello internazionale le ha certamente nuociuto sul piano dell’immagine. È vero che lei ha subito ufficializzato la separazione, ma gli osservatori più attenti hanno giustamente rilevato come il rapporto tra i due sia durato tanto, abbia prodotto anche una figlia e non sia mai sfociato in un matrimonio, nonostante Giorgia si dichiari solennemente una sostenitrice della famiglia naturale.
Lo scherzo dei comici russi risale a settembre, ma è stato utilizzato quasi due mesi più tardi, approfittando della vulnerabilità già mostrata dal premier. E poi ci sono le divisioni nel centrodestra sulla manovra. Si parla addirittura di un asse tra Forza Italia e Movimento Cinque Stelle per tenere in vita il superbonus 110% sulla ristrutturazione degli immobili, già fortemente criticato da Palazzo Chigi e anche dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Sia i grillini che i forzisti hanno la necessità di piantare una bandierina nel terreno di una campagna elettorale già iniziata in vista delle europee e questo cozza con i buoni propositi del governo di tenere in ordine per quanto possibile i conti pubblici senza ulteriori indebitamenti.
E poi c’è l’incognita migranti. L’accordo con l’Albania è un pannicello caldo, nulla di più. Non sono solo le opposizioni a remare contro, ma anche Matteo Salvini, estromesso dalla gestione dell’immigrazione e quindi con il dente avvelenato con Palazzo Chigi. Se fallisse la strategia meloniana di controllo degli immigrati clandestini, il Capitano avrebbe buon gioco nel rivendicare i suoi meriti quando era al Viminale. Scaramucce, si dirà. Non proprio. La temperatura dello scontro tra i partiti della maggioranza sta salendo, anche perché in vista delle europee del giugno 2024 ogni partito corre per sé (sistema elettorale proporzionale). Solo le divisioni a sinistra consentono agli alleati di governo di poter dormire sonni tranquilli, altrimenti le crepe risulterebbero più evidenti e l’allarme instabilità di governo inizierebbe a farsi sentire. L’Europa l’ha capito e getta benzina sul fuoco. Magari anche con Mario Draghi.