Donald Trump ridefinisce i rapporti con i capitalisti delle Big Tech
Prima tutti schierati a sinistra. Adesso no: la vittoria di Trump in queste elezioni, più che nel 2016, cambia i rapporti con gli imprenditori delle Big Tech, non solo Musk (SpaceX), ma anche Zuckerberg (Meta) e Bezos (Amazon) sono alleati o meno ostili a un Trump2.
La visita di Mark Zuckerberg, CEO di Meta/Facebook, a Donald Trump nella residenza di quest'ultimo a Mar-a-Lago, svoltasi mercoledì scorso, e le dichiarazioni rilasciate successivamente dal più noto imprenditore delle Big Tech statunitensi, rappresentano l'ultimo di una serie di segnali che i rapporti tra il presidente eletto e le grandi corporations dominanti nel settore delle nuove tecnologie e della comunicazione digitale stanno cambiando.
L'ingresso in politica di Trump e la sua prima elezione alla Casa Bianca erano stati contrassegnati, come è noto, dalla ricerca di consensi soprattutto nei ceti più lontani dall'élite economica e culturale inserita nei mercati globali: tra i "dimenticati" e i "perdenti" di una globalizzazione che aveva inciso lacerazioni profonde nella società americana e in tutto l'Occidente, spostando drasticamente il baricentro del potere economico e politico verso l'Asia.
A partire da queste premesse era molto difficile che si creasse una convergenza politica, o almeno una convivenza pacifica, tra il tycoon newyorkese e i magnati di Silicon Valley e dintorni. La guerra dei dazi verso la Cina messa in atto da Trump a partire dal 2018 rappresentò, da questo punto di vista, uno spartiacque decisivo, scompaginando i piani delle big tech fondati essenzialmente su un uso spregiudicato della delocalizzazione produttiva. Il presidente statunitense cercò di indorare la pillola indigesta aggiungendo al suo radicale taglio fiscale alle imprese sconti ulteriori per le corporations – Apple in testa – che favorissero una tendenza al reshoring, cioè che riportassero capitali e posti di lavoro sul territorio degli Usa. La grande azienda di Cupertino, seguita da altre, mostrò anche di fare buon viso a cattivo gioco, e negli ultimi anni del mandato trumpiano effettivamente una certa tendenza al reinvestimento manifatturiero sul suolo patrio contribuì a ingrossare una sensibile crescita di posti di lavoro e retribuzioni, che invertì la tendenza alla deindustrializzazione dei decenni precedenti, e sembrò cementare, fino alla crisi innescata dalle restrizioni legate alla pandemia nel 2020, il consenso popolare a Trump.
Ma il "richiamo della foresta" delle élites economiche americane verso il Partito democratico era troppo forte. Non soltanto nella campagna elettorale del 2020 praticamente tutto il settore dell'economia hi tech e digitalizzata si schierò in favore di Joe Biden, ma le corporation digitali che operavano nel settore della cominicazione e dei social media entrarono a gamba tesa nel gioco politico, manipolando pesantemente il dibattito pubblico, prima e dopo la tornata elettorale, per favorire i Dem e per danneggiare Trump. La censura sui documenti che accusavano Hunter Biden, la sponsorizzazione a scopo destabilizzante delle rivolte dei Black Lives Matter, la cancellazione delle voci contrarie al catastrofismo sul Covid, e addirittura la cancellazione di Trump da Twitter dopo i disordini del 6 gennaio 2021, furono gli episodi più eclatanti di questa irregimentazione ferrea delle élites big tech in un blocco oligopolistico "a partito unico".
Se non che, dal punto di vista dell'atteggiamento verso la Cina, la politica dell'amministrazione Biden deluse le aspettative dei suoi potenti sponsor, non discostandosi di molto dalla direzione intrapresa precedentemente da Trump. Anzi, per una serie di fattori di politica di potenza e di economia (la guerra russo-ucraina, la recrudescenza della questione di Taiwan, la corsa alle materie prime nella ripresa post-pandemica) i rapporti tra Washington e Pechino nel frattempo si sono fatti ancora più tesi, e le barriere protezionistiche sono divenute un dato di fatto consolidato. L'inflazione galoppante e la pesante ipoteca dirigistica imposta da parte governativa sulla transizione energetica e le politiche green hanno acuito il disagio non solo di gran parte dell'opinione pubblica, ma anche di una parte sensibile dell'imprenditoria tecnologicamente avanzata.
A partire dal malcontento creato da questa sensazione generale di "soffocamento" dell'economia e della società americana Trump ha costruito la sua piattaforma politica e programmatica per sfidare di nuovo Biden nelle presidenziali del 2024, mettendo insieme una coalizione sociale molto ampia e diversificata in favore della crescita economica del paese, da perseguire attraverso deregulation normativa radicale, incremento della ricerca di fonti di energia, protezionismo, lotta senza quartiere alla concorrenza dell'immigrazione illegale.
In questo nuovo quadro il primo magnate dell'economia hi tech a rompere il blocco monopolistico anti-Trump è stato Elon Musk. Il trasferimento delle sue attività produttive nel Texas a guida repubblicana, l'acquisto di Twitter e la sua trasformazione in X, potente voce controcorrente rispetto al coro dell'informazione mainstream sia tradizionale che social, infine il suo aperto endorsement e addirittura la sua collaborazione politica in prima persona con The Donald, pur suscitando reazioni furibonde, hanno avuto la forza dirompente della breccia che si apre in una diga, creando le condizioni per un più generale reset delle relazioni tra il Partito repubblicano ormai saldamente rinnovato in senso MAGA e la galassia delle corporation big tech. Non casualmente, nell'imminenza delle elezioni alle scelte di Musk sono seguiti altri gesti simbolici di enorme importanza da parte di grandi magnati precedentemente allineati a sinistra: il mea culpa di Zuckerberg sulle censure e le compromissioni accettate da Facebook da parte degli apparati federali controllati dai Dem e dell'amministrazione Biden, e il rifiuto da parte del Washington Post di Jeff Bezos di dare l'endorsement a Kamala Harris.
Ora, la visita di Zuckerberg a Mar-a-Lago sembra indicare un consolidarsi della tendenza, se non a un allineamento in senso contrario, quanto meno all'apertura di una trattativa con la nuova amministrazione. Naturalmente permangono ovvie divergenze di interessi e motivi di reciproca diffidenza. Ma Trump è perfettamente consapevole che se l'economia statunitense ha ancora un vantaggio su quella dei suoi maggiori concorrenti – Pechino e Nuova Dehli in cima – ciò si deve alla capacità ancora senza pari di ricerca e innovazione tecnologica del settore hi tech, in grado di provocare ricadute positive a cascata in tutti gli altri campi dell'economia nazionale. E negli sterminati, avveniristici territori dell'intelligenza artificiale e del nuovo approccio all'esplorazione spaziale le possibilità di convergenza tra l'obiettivo politico dell'America first e le prospettive di crescita del settore dell'imprenditoria digitalizzata potrebbero essere enormi.