Domenico, un richiamo per la Chiesa “di fronte” al mondo
Le fonti storiche ci restituiscono un quadro ben distante dall’immaginario creato dalla formula “A tavola con san Domenico” usata per il giubileo del 2021. I suoi pasti erano molto sobri, silenziosi. Spesso si addormentava a mensa a causa delle veglie in preghiera. Il fondatore dei Frati predicatori era pieno di compassione per gli uomini ingannati dall’errore, denunciava l’opera del demonio, piangeva per i peccati altrui.
Nell’agosto 2021 è caduto l’VIII centenario della nascita al cielo di san Domenico, nato a Caleruega nel 1173/4, morto a Bologna il 6 agosto 1221, canonizzato da Gregorio IX il 3 luglio 1234, celebrato come memoria liturgica l’8 agosto. A un anno distanza è il momento dei bilanci.
Il Romano Pontefice Francesco ha inviato la lettera Praedicator gratiae (24.5.2021), i Maestri dell’Ordine Bruno Cadoré e Gerard Francisco III Timoner che gli è succeduto hanno inviato lettere e comunicazioni. Anche sulla Bussola hanno scritto del giubileo F. Piemonte (31.7.2021). M. Scapin (6.8.2021), M.A. Molza (13.1.2022). Fuori del coro ha invece cantato C. Siccardi con un intervento del 17.3.2021 su Corrispondenza Romana, rilevando che l’immagine di san Domenico che si stava proponendo non era quella esatta, messa invece in luce da Benedetto XV per il centenario del secolo scorso nella lettera Fausto appetente die (29.6.1921): sarà anche vero, ma un centenario non può basarsi su di una lettera papale per il centenario precedente! Comunque a livello di documenti l’osservazione è che sono stati messi in luce elementi veri capaci di inserirsi nei valori diffusi oggi quali “fratelli tutti”, sinodalità, dialogo con il mondo ecc., mentre soltanto dopo si sono citati altri elementi che invece erano primari come lo zelo per le anime, la lotta all’errore, lo studio ecc.
Dai documenti passiamo a un dipinto assunto a logo del giubileo: la Tavola della Mascarella, eseguito su di un tavolo dei primi frati di Bologna e che rappresenta Domenico a tavola con una quarantina di frati (notizie in M.A. Molza). Un’immagine così non poteva che generare una formula allusiva alla convivialità odierna: A tavola con San Domenico, non un santo su di un piedestallo, ma che gode della convivialità. La trasposizione nella convivialità odierna è legittima, ma è storicamente fondata? Quale fu l’esperienza del mangiare e del bere in san Domenico e dunque della convivialità?
Da qui in avanti citerò delle fonti storiche finalmente pubblicate in italiano e in latino: G. Festa - A. Paravicini Bagliani - F. Santi (a cura di), Domenico di Caleruega alle origini dell’Ordine dei Predicatori. Le fonti del secolo XIII. Edizioni del Galluzzo, Firenze 2021, pp. LI-1192. Citerò soprattutto gli interrogatori per il processo di canonizzazione svoltisi a Bologna (B) e a Tolosa (T) con i commissari pontifici e il riporto nominativo dei testimoni: parole esatte e sicure pronunciate sotto giuramento e annotate da notai professionisti.
Tanto per cominciare, nei primitivi refettori domenicani si mangiava in silenzio e quindi la convivialità non prevedeva gli attuali discorsi (strabordanti e per lo più vani). Poi san Domenico, prima ancora di fondare l’Ordine e quand’era canonico a Osma, «non mangiava carne» (B. Claret T 5). Negli anni giovanili di apostolato in Linguadoca era ospitato qua e là ed ecco la testimonianza di due donne presso le quali aveva pasteggiato per circa duecento volte: Guglielmina moglie di Elia Martin testimoniò che «non lo vide mai mangiare la quarta parte di un pezzo di pesce o più di due tuorli d’uovo, né bere più di un bicchiere di vino allungato con tre quarti d’acqua. Inoltre non lo vide mai mangiare più di un trancio di pane» (T 15) e Beceda disse che «mangiava al massimo due uova, anche se gli venivano preparati molti cibi» (T 17).
Fondato l’Ordine, ecco le testimonianze dei frati: Domenico «fu sobrio (parcus) nel mangiare e nel bere e soprattutto nelle pietanze» (Giovanni di Spagna B 28); durante un viaggio, pur essendo ammalato «non ruppe il digiuno, non mangiò carne né pietanza, se non qualche volta mele o rape» (Guglielmo da Monferrato B 12); Rodolfo da Faenza, economo a Bologna, quando «preparava una pietanza (speciale) per i frati» veniva chiamato da Domenico che, «sotto il vincolo del silenzio, gli diceva: “Perché uccidi i frati dando loro delle pietanze?”» (B 31); infine lo stesso Rodolfo annota che Domenico «sovente si addormentava a mensa a causa delle numerose veglie e delle nottate trascorse in preghiera» (B 31).
Nel rispetto di questi testi, quale fu la convivialità con san Domenico? Silenzio, mai carne, mangiare poco, rimproveri per pietanze speciali, sonno da ricuperare per le veglie in preghiera; tenuto ovviamente conto delle dispense e della preghiera, che in mancanza di cibo otteneva l’arrivo di personaggi con cesti di pane e di fichi secchi. Quanto è distante questa convivialità dall’immaginario generato dalla formula A tavola con san Domenico!
Rilievi critici a parte, per la memoria liturgica di quest’anno propongo il racconto della prima avventura apostolica di san Domenico, quando, canonico a Osma, accompagnò il Vescovo Diego per un lungo viaggio e a Tolosa, scoprendo l’eresia dei catari, passò la notte a discutere con un oste riportandolo alla fede. L’evento è databile al 1203 e il racconto è di Giordano di Sassonia († 1237), che aveva conosciuto il santo e a cui si deve la prima biografia. «Avendo appreso che gli abitanti di quella terra già da tempo erano eretici, cominciò ad essere turbato da una grande compassione del cuore per tante anime così miseramente ingannate (super illusis). In quella stessa notte, poi, in cui furono ospitati nella suddetta città (di Tolosa), il sottopriore (Domenico), discutendo con l’“ospite della casa” eretico, con una grande disputa e opera di persuasione, fortemente e ardentemente (fortiter et ferventer agens), non potendo l’eretico resistere alla sapienza e allo spirito che parlava (cf At 6,10), mediante lo spirito di Dio lo ricondusse alla fede (ad fidem... reduxit)» (Libellus 6).
Nota tecnica. Il testo parla di “ospite”, ma in latino hospes può significare tanto l’ospite quanto l’ospitante. Poiché non si precisa dove e da chi fu ospitato il Vescovo con il suo seguito, se è una casa privata l’hospes è “il padrone di casa”, se è un luogo pubblico come una locanda o un’osteria, l’hospes è “un oste”. Un’allegra consuetudine interpretativa ha preferito oste/osteria per via di battute tipo “l’Ordine è nato in un’osteria” e per il contesto “non di chiesa” che oggi piace tanto. Anche un Maestro dell’Ordine ha scritto che per comporre lettere da inviare all’Ordine andava con uno storico in un ristorante maturando idee e rendendosi conto che quello era un luogo domenicano... e d’altra parte circolano, “gocciolate attraverso chissà quali filtri, voci incresciose” (Gattopardo) che l’attuale seconda Preghiera Eucaristica sia nata in una trattoria romana. Per cui restiamo in osteria (anche senza fondamento).
Veniamo ora a un commento più serio, mettendo in luce atteggiamenti che qui compaiono, che accompagneranno san Domenico per tutta la vita e che interpellano noi oggi.
Il primo è la compassione per gli uomini ingannati dall’errore. La compassione fu una costante in san Domenico e si manifestò già al 1196, quando, studente a Palencia, in occasione di una carestia, «mosso da compassione e misericordia, vendette i suoi libri glossati di sua mano e donò ai poveri il denaro ricavatone e le altre cose che possedeva, dicendo: “Non voglio studiare su pelli morte, e che gli uomini muoiano di fame”» (Stefano B 35). Qui invece la “compassione del cuore” nasce dal constatare la presenza dell’eresia come “illusione” e dunque strada di perdizione. E noi sentiamo la stessa “compassione del cuore” per le illusioni di oggi?
Alla compassione segue una notte insonne con dispute e tentativi di persuasione in modo “forte e ardente”, inizio di innumerevoli dispute in vista del risultato finale di “ricondurre alla fede”. E noi oggi valutiamo le “illusioni” come deviazioni dalla fede alla quale ricondurre, oppure come “percorsi” ai quali affiancarsi con il dialogo ma evitando accuratamente la disputa? Disputa e parola convincente suppongono lo studio, i libri e i soldi per acquistarli: fattori che matureranno in seguito. Ma soprattutto suppongono il dono dello Spirito – cf. la citazione implicita di At 6,10 – per assicurare che si tratta di un carisma.
Tutto ciò è confermato dalle testimonianze dei processi di canonizzazione. Domenico agli inizi «perseguitava gli eretici e li contrastava nella predicazione e nelle dispute» (Guglielmo III Peyronet T 18). In seguito però prevalsero lo zelo e la compassione: Domenico era pieno di zelo per le anime (zelator animarum) ed «estendeva la sua carità e la sua compassione non solo nei confronti dei fedeli, ma anche degli infedeli, dei pagani e dei dannati dell’inferno. Piangeva molto per loro» (Ventura da Verona B 11); «si mostrava amabile con tutti, ricchi, poveri, giudei e pagani (...) ed era amato da tutti, ad eccezione degli eretici e dei nemici della Chiesa che inseguiva e convinceva nelle dispute e nelle predicazioni. E tuttavia li esortava con carità alla penitenza e alla conversione alla fede» (Giovanni di Spagna B 27).
E non era solo questione di ortodossia. Più in profondità «i peccati degli altri lo tormentavano» (Ponzio di Boulbonne T 3) e ancora più in profondità vedeva nelle illusioni ereticali l’opera del demonio, tanto che un giorno «il beato Domenico ordinò a nove donne convertite dall’errore di osservare il demone che le aveva possedute, nelle sembianze di un gatto» (era un gatto dall’aspetto terribile) (Berengaria T 23).
San Domenico non è rinchiudibile nel confronto con l’oste e con gli eretici: ad esempio a Bologna «predicava agli studenti e ad altri buoni uomini» (Stefano B 36). Inoltre dopo l’incontro con l’oste si struttureranno diversi elementi che caratterizzeranno l’Ordine domenicano. Ma l’incontro con l’oste è come un germoglio dal quale si presagiscono fiori e frutti. E a noi insegna qualcosa che oggi è un po’ in sordina: commuoversi per gli errori, piangere per i peccati degli uomini, scorgere l’opera del demonio, discutere per ricondurre alla fede ecc. Insomma, san Domenico forse è un richiamo per una Chiesa non solo nel mondo e con il mondo, ma “di fronte” al mondo.