Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
REALTÀ VS IDEOLOGIA

Djokovic e Nadal epici, ma il vaccinismo rovina lo sport

Prosegue la sfida storica, a colpi di Slam, tra il campione spagnolo e quello serbo: 22-21 per il primo, ma il secondo si è riavvicinato con la vittoria a Wimbledon. Peccato per la politica che interferisce, con l’irragionevole obbligo vaccinale che rischia di far saltare a Novak anche gli US Open. Ma così si falsa lo sport e lo si piega a fini ideologici.

Sport 13_07_2022
Djokovic e Nadal_Roland Garros 2022

Ventidue a ventuno, e arrivederci al prossimo Slam. Politica permettendo. Domenica 10 luglio si è concluso un altro capitolo della sfida epica tra Novak Djokovic e Rafael Nadal, una sfida che si rinnova sia quando i due fenomeni del tennis si incontrano direttamente (come nell’ultimo Roland Garros, vinto dallo spagnolo dopo aver superato il serbo nei quarti di finale) sia quando il confronto avviene solo a distanza.

A Wimbledon la possibilità della decima finale di Slam tra i due è sfumata per l’infortunio all’addome di Rafa, costretto al forfait prima di poter giocare la semifinale contro Nick Kyrgios, poi sconfitto da Nole, che ha così raggiunto quota 21 Slam (9 Australian Open, 2 Roland Garros, 7 Wimbledon, 3 US Open) in carriera. Giusto uno in meno di Nadal, e uno in più di Roger Federer (a quota 20 dall’inizio del 2018), l’altro mostro sacro del tennis del XXI secolo e di tutti i tempi, che difficilmente riuscirà a riprendersi il record di Slam (per anni suo, dopo aver spodestato Pete Sampras); e ciò non certo perché a Re Roger manchi il talento, bensì perché i problemi fisici, l’età avanzata (è classe 1981) e i suoi 5-6 anni in più di Nadal (1986) e Djokovic (1987) non lo favoriscono nella rincorsa ai suoi due più grandi rivali.

Qualche altro numero. La rivalità tra Djokovic e Nadal è la prima dell’era open per numero di incontri disputati, 59: il campione di Belgrado, complessivamente, è in vantaggio 30-29, ma nelle finali di Slam contro il fuoriclasse di Manacor la situazione è ribaltata (Rafa avanti 5-4). Novak è in testa nella classifica dei tornei di singolare maschile più importanti del mondo, i cosiddetti Big Titles (Slam, Atp Finals, Masters 1000, Olimpiadi): ne ha vinti 64, contro i 59 di Nadal e i 54 di Federer. Anche qui, parliamo dei primi tre in tutta la storia del tennis. Per gli appassionati di statistiche si potrebbero snocciolare molti altri dati e curiosità, ma i numeri fin qui forniti danno l’idea - anche a un profano della racchetta - di quale epopea sportiva si siano resi protagonisti i tre tennisti.

A maggior ragione, è quindi un peccato che dei motivi spacciati per sanitari - ma (a ben vedere) prettamente ideologici - interferiscano con lo sport e una sfida così affascinante, minando i principi di una competizione equa, leale e sana. La storia è nota. Nell’era dei vaccini anti-Covid, al termine di una querelle tragicomica, al non vaccinato Djokovic (e non solo) è stata impedita la partecipazione agli Australian Open (vedi qui e qui), il primo Slam dell’anno, per il quale detiene il record di successi. Per la cronaca, ricordiamo che a vincere il torneo del 2022 è stato Nadal. Non si può sapere come sarebbe finita con la presenza di Novak, ma quel che è certo è che dei tennisti hanno dovuto subire le decisioni di politici. Ora la storia rischia di ripetersi con l’ultimo Slam dell’anno, gli US Open, perché il Governo a stelle e strisce richiede che tutti i cittadini non statunitensi che entrino nel territorio degli USA siano vaccinati con un ciclo completo.

Un giudizio chiaro sulla vicenda lo ha espresso un’altra leggenda del tennis, l’americano John McEnroe, che ai microfoni di Espn ha detto: «Io credo che la politica si sia messa troppo di mezzo. È già successo in Australia a inizio anno. Lasciate che Novak Djokovic entri negli Stati Uniti e giochi gli US Open. È una misura ridicola, che finisce per danneggiare il tennis. Sarebbe un vero peccato se Nole non potesse disputare l’ultimo Slam della stagione».

La politica dovrebbe stare insomma fuori dallo sport, che invece viene sempre più piegato a fini che non gli sono propri, dall’ambito dei vaccini a quello di un antirazzismo di facciata, alla guerra (vedi le frequenti esclusioni degli atleti russi, che non hanno certo colpe specifiche per l’aggressione all’Ucraina ma vengono puniti solo per la loro nazionalità).

Da parte sua, dopo il settimo trionfo sull’erba di Wimbledon, rispondendo a un giornalista, Nole ha ribadito di non essere vaccinato contro il Covid e che «non pianifico di vaccinarmi, perciò l’unica buona notizia che potrei avere è che venga rimosso il vaccino obbligatorio… per entrare negli Stati Uniti, oppure un’esenzione». Djokovic ha detto tuttavia di dubitare di poter ottenere qualche esenzione, aggiungendo che ovviamente sarebbe molto felice di poter partecipare agli US Open. Ma appunto, per il serbo, i principi devono venire prima di ogni caccia ai record. Anche perché, aggiungiamo, il record rischierebbe altrimenti di divenire un idolo. Come aveva detto in un’intervista a febbraio, perdere la possibilità di diventare statisticamente il più grande di sempre è «il prezzo che sono disposto a pagare», perché «i principi di prendere decisioni sul mio corpo sono più importanti di qualsiasi titolo».

Questi principi, qui, nulla c’entrano con le rivendicazioni di tanti liberal e radicali, che invocano l’autodeterminazione sul proprio corpo per fini malvagi come l’eutanasia o, anche, l’aborto, dove il corpo in gioco è prima di tutto quello di un’altra persona, il bambino nel grembo materno. Difatti, si è visto con i vaccini anti-Covid quanto siano a senso unico le suddette rivendicazioni e quanto certi tromboni stiano silenti quando è in gioco una libertà autentica.

Djokovic ha semplicemente fatto la ragionevole scelta di rifiutare una vaccinazione che non ferma i contagi, non ferma i morti, ha una sua efficacia entro 4-6 mesi ma anche effetti avversi non trascurabili (lo si vede pure tra gli sportivi) e presenta in definitiva più rischi che benefici per un atleta di 35 anni. Che si può curare, in caso di contagio, con i farmaci già esistenti, come peraltro è già avvenuto allo stesso Djokovic. L’esempio del serbo - in mezzo a tante persone comuni curate da medici bravi e capaci di affrancarsi da alcune maldestre raccomandazioni governative in fatto di cure - rappresenta una delle più clamorose smentite al sofisma draghiano «non ti vaccini, ti ammali, muori». Per essere un “morto”, Nole, è piuttosto vincente.