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AUSTRALIA

Djokovic, capro espiatorio del regime emergenziale

Novak Djokovic è stato espulso dall'Australia e non può partecipare agli Australian Open, non perché abbia violato la legge, ma perché sarebbe un "cattivo esempio" per gli australiani. Essendo un no vax di successo, consoliderebbe l'opposizione all'emergenza continua. Così diventa un comodo capro espiatorio su cui sfogare la rabbia di popoli frustrati.

Editoriali 18_01_2022
Novak Djokovic

L'espulsione che ha concluso il braccio di ferro tra Novak Djokovic e le istituzioni australiane è la più eloquente dimostrazione di come la strumentalizzazione della paura del Covid abbia prodotto in alcune parti dell'Occidente una regressione autoritaria senza precedenti. Da questo punto di vista l'Australia forse rappresenta il caso che, pur con caratteristiche sue proprie, più si avvicina al regime emergenzialista oggi al potere in Italia.

Il tennista serbo - che aveva ottenuto dagli organizzatori degli Australian Open un'esenzione dall'obbligo di vaccinazione imposto per partecipare al torneo, in quanto recentemente guarito dal virus - si è visto rifiutare il visto dal governo con motivazioni pretestuose ed è stato trattato da esso quasi come un delinquente. Dopo averlo tenuto in stato di fermo in una struttura destinata alle quarantene, l'esecutivo ha ignorato il reiterato pronunciamento di un tribunale dello stato di Victoria a favore della regolarità del comportamento di Djokovic e ha confermato l'obbligo di espatrio. Un “cartellino rosso” dovuto, secondo quanto ha dichiarato il ministro per l'Immigrazione Hawke, a “motivi di salute e ordine pubblico", cioè non al fatto che l'atleta violasse le leggi vigenti, ma a ragioni politiche. In pratica il governo australiano considera le opinioni del serbo sui vaccini pericolose, in quanto avrebbero potuto rafforzare nel Paese un movimento di resistenza alle politiche sanitarie in atto.

Insomma Djokovic è stato espulso, passando sopra le leggi e il diritto, in quanto considerato "nemico del popolo". E la Corte federale non ha potuto fare altro che prendere atto della decisione, in un ordinamento in cui il ministero dell'immigrazione detiene praticamente poteri incontrastati, vista la politica severissima di respingimenti dei migranti irregolari: aspetto, quest'ultimo, oggi dimenticato da tanti nostrani "progressisti" che esultano per la cacciata del serbo in ossequio alla retorica ultravax "pandemicamente corretta".

L'atto di forza parossistico di Hawke e del premier Morrison, che crea un enorme danno economico all'industria sportiva del Paese e squalifica irrimediabilmente un torneo Atp ormai falsato, rappresenta la vera e propria apoteosi dell'atteggiamento isterico tenuto dall'Australia rispetto al virus negli ultimi due anni: chiusura totale dei confini nell'illusione folle del "zero Covid", lockdown scriteriati e socio-economicamente catastrofici per pochissimi casi positivi, e infine una campagna vaccinale declinata, come in Italia, con toni drammatici come se fosse l'unica salvezza contro una pestilenza apocalittica, e condita, come in Italia, dalla demonizzazione di chi non intende farsi somministrare il trattamento, e dalla loro esclusione da alcune attività sociali (non comunque così estesa e ricattatoria come quella perseguita dal governo italiano). Il tutto con risultati del tutto negativi sul piano sanitario, visto che con il 90% della popolazione adulta vaccinata nell'ultimo mese i contagi sono cresciuti di quasi 20 volte e i decessi di quasi 10 volte.

Ora l'escamotage concordato da Djokovic per la partecipazione al torneo Atp è arrivato, per l'esecutivo federale australiano, come il "cacio sui maccheroni". Il campione serbo è stato cinicamente utilizzato come bersaglio su cui indirizzare la rabbia e la frustrazione di tanti cittadini, distraendoli dalle decisioni folli dell'esecutivo stesso: spingendo all'inverosimile sulla retorica - anche in Italia utilizzata continuamente da governo, Cts e propaganda mediatica - dei "sacrifici" da difendere (questa l'argomentazione di Morrison) contro i "privilegiati" come Novak che pretenderebbero di essere "al di sopra delle regole". 

Una retorica fatta apposta per dare gratificazione a masse profondamente frustrate, che in questo modo si sentono apprezzate, riconosciute all'interno del "sistema", e concentrandosi sull'odio verso il capro espiatorio scelto dal potere - tanto più odiato in quanto ricco e potente - dimenticano i danni, le umiliazioni, l'espropriazione dei loro diritti fondamentali subìti ad opera di quel potere in nome di una "emergenza pandemica" usata solo per consolidare se stesso. Un meccanismo che in Italia vediamo usato continuamente non solo con le accuse di comportamenti irresponsabili e antisociali nei confronti dei "no vax" e di chiunque osi muovere critiche alle politiche di segregazione e discriminazione poste in atto dal governo Draghi, ma anche con la continua ricerca di "furbi" da additare al pubblico ludibrio, che, appunto, secondo questa narrazione rendono inutili i "sacrifici" fatti dai cittadini obbedienti.

Insomma Djokovic è stato per il regime emergenziale australiano il capro espiatorio per eccellenza all'interno di una categoria di persone già additate a pubblici untori. Ma ad un prezzo molto alto: quello di esporre l'Australia agli occhi del mondo intero come un Paese che tratta gli stranieri - e stranieri che sono una risorsa anche per la sua economia - con autoritarismo e prepotenza. Una simile forzatura danneggerà sicuramente la sua immagine e la sua economia nel futuro. Per il momento, però consolida la presa sull'opinione pubblica del suo governo. Che, come molti altri drogati di emergenzialismo, sembra non vedere oltre il giorno presente, chiuso in un atteggiamento da “dopo di noi il diluvio”.