Difese il matrimonio: assolta Päivi Räsänen (e la Bibbia)
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La Corte d’Appello di Helsinki ha assolto la parlamentare Päivi Räsänen e il vescovo luterano Juhana Pohjola, processati per aver difeso la visione cristiana sulla sessualità e il matrimonio. Una buona notizia, ma i “nuovi diritti” restano.
2-0 per la Bibbia. Succede in Finlandia. Dopo la sentenza di primo grado (marzo 2022), anche la Corte d’Appello di Helsinki ha assolto all’unanimità, da tutte le accuse, la parlamentare Päivi Räsänen e il vescovo luterano Juhana Pohjola, entrambi processati per “incitamento all’odio” per aver espresso pubblicamente la visione cristiana sulla sessualità e il matrimonio, ricordando la peccaminosità degli atti omosessuali.
In particolare, alla Räsänen, ex ministro degli Interni, sono stati contestati un tweet del 2019, un intervento radiofonico nello stesso anno e un opuscolo dal titolo: “Maschio e femmina li creò. Le relazioni omosessuali sfidano il concetto cristiano di umanità”. Per questi fatti, è stata formalmente accusata nel 2021, ai sensi di una sezione del codice penale finlandese intitolata “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Dal canto suo, su Pohjola pendeva l’accusa di aver pubblicato, nel 2004, il suddetto opuscolo. Opuscolo che era stato ripescato dagli accusatori della Räsänen a seguito del sopra menzionato tweet, in cui la parlamentare, oggi sessantatreenne e nonna di undici nipoti, lamentava il sostegno della sua chiesa a un gay pride.
I giudici d’Appello non hanno dunque condiviso le assurde argomentazioni del pubblico ministero Anu Mantila, che lo scorso 31 agosto, nella dichiarazione di apertura al processo, aveva affermato che «puoi citare la Bibbia, ma sono l’interpretazione e l’opinione di Räsänen sui versetti della Bibbia ad essere criminali». Inoltre, l’accusa contestava l’uso del termine «peccato», riferito agli atti omosessuali. E, sempre a proposito di quanto espresso dall’ex ministro, Mantila asseriva che «il punto non è se sia vero o no, ma che è offensivo», in pratica sostenendo che il principio di verità debba essere sacrificato sull’altare del relativismo e soggettivismo morale, in linea con quel processo culturale che ha normalizzato l’omosessualità, con grave danno per le anime.
La difesa della Räsänen, coordinata da Alliance Defending Freedom (Adf), ha fatto presente che la donna ha usato la parola «peccato» come citazione diretta della Bibbia e che quindi condannarne il suo uso avrebbe comportato condannare le stesse Sacre Scritture.
In definitiva, i giudici d’Appello non hanno trovato nessuna accusa capace di ribaltare l’assoluzione della Corte distrettuale e quindi hanno confermato il verdetto di primo grado. Verdetto, quest’ultimo, in cui tra l’altro si affermava che «non spetta alla Corte distrettuale interpretare i concetti biblici». L’accusa dovrà rimborsare le spese legali dei due imputati (Adf fa un generico riferimento a «decine di migliaia» di euro), ma ha due mesi di tempo – fino al 15 gennaio 2024 – per fare ricorso alla Corte suprema. Dunque, il calvario giudiziario potrebbe in teoria ancora continuare.
Intanto, comunque, i protagonisti della vicenda possono dirsi sollevati dall’esito dell’Appello e indicare anche dei risvolti positivi. «I tentativi di perseguirmi per aver espresso le mie convinzioni – ha detto Päivi Räsänen – si sono tradotti in quattro anni estremamente difficili, ma la mia speranza è che il risultato costituisca un precedente chiave per proteggere il diritto umano alla libertà di parola». Diritto che chiaramente, aggiungiamo, può incontrare dei limiti fondati su criteri oggettivi e volti al bene comune (perciò, ad esempio, è vietata la diffamazione), ma altrettanto chiaramente non può essere soggetto alle ideologie di turno, come molte ce ne sono oggi, a partire da quella Lgbt che vorrebbe impedire che si ricordi quella che è la verità sulla natura maschile e femminile, sul significato che la sapienza del Creatore ha iscritto nei nostri corpi.
Al di là della buona notizia della sentenza di Appello, resta il fatto che è già grave di suo che si debba essere processati o si debba subire un’altra forma di martirio bianco semplicemente per aver difeso un principio cardine della legge morale naturale. Per chi segue le cronache, è noto che casi del genere sono sempre più diffusi nelle società occidentali, alimentati spesso dalla proliferazione di norme sui cosiddetti “discorsi d’odio” (hate speech, in inglese) o dal loro uso strumentale, nonché da altre leggi ideologicamente orientate. Il che conferma come l’introduzione di quelli che si chiamano “nuovi diritti” non è, come sostengono certe élite, una mera aggiunta a beneficio di una minoranza; bensì rappresenta un vulnus per tutti, inclusa la minoranza che si vorrebbe tutelare (perché se ne incoraggiano le condotte contrarie al proprio stesso bene), e comprime la vera libertà, fondata sul diritto naturale.