Cristiani in Siria, una presenza che è seme per il futuro
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Nel video-incontro di ieri la testimonianza di padre Antonio Haddad: minoranza, ma siriani a pieno titolo da duemila anni. E la risposta alle tempeste non è la paura, ma la consapevolezza che «è l’ora di tornare a ricostruire il nostro Paese».
I cristiani in Siria sono minoranza ma siriani a pieno titolo, ha ribadito padre Antonio (Mtonius) Haddad, vicario generale dell’Ordine Basiliano del Santissimo Salvatore, intervistato dal direttore Riccardo Cascioli nel corso della video-diretta de “I venerdì della Bussola”. Quella del religioso siriano è la prima di una serie di testimonianze incentrate sul tema Nella tempesta una fede certa, filo conduttore dei prossimi incontri nel periodo della campagna di raccolta fondi natalizia. Una «fede certa» nel mezzo delle tempeste che hanno travolto la Siria – in preda a una guerra civile dal 2011 e ora alle prese con nuove incognite dopo la destituzione del presidente Bashar al-Assad – di cui padre Haddad aveva già portato la sua testimonianza otto anni fa, ospite della Giornata della Bussola nel 2016. La Siria è in primo piano oggi come allora. E la presenza cristiana, ininterrotta da duemila anni, malgrado tutto continua e deve continuare tra mille difficoltà.
Padre Haddad è vicario generale dell’Ordine Basiliano del Santissimo Salvatore, di rito melchita, fondato più di tre secoli fa dal vescovo siriano Eutimio Sayfi, metropolita di Sidone: «Era il momento del ritorno all’unità del patriarcato di Antiochia e alla comunione con Roma», cui ha preparato il terreno mons. Sayfi, «conservando la nostra identità orientale: abbiamo la stessa fede, gli stessi dogmi, ma ognuno con la sua personalità», nel loro caso l’identità di cattolici melchiti (al “mosaico” dei cristiani d’Oriente La Bussola Mensile dedicherà il numero di gennaio).
In Siria ci sono «18 famiglie cristiane, con una bella convivenza con musulmani e drusi, ebrei e alawiti», ha spiegato padre Haddad, evocando le parole di Benedetto XVI sul Libano come «missione», che valgono anche per la Siria. E ha ricordato che «duemila anni fa siamo stati chiamati “cristiani” per la prima volta» proprio ad Antiochia, che allora era parte della Siria – «e mi auguro adesso che la politica non ci faccia perdere anche Aleppo e altre zone», ha aggiunto riferendosi alla situazione attuale.
Purtroppo i cristiani in Siria sono drasticamente ridotti, ha osservato Cascioli. «Questa emorragia risale indietro nella storia. Da quando si è iniziato a parlare del nuovo Medio Oriente, da quando l’economia internazionale ha voluto mettere mano alle ricchezze dei Paesi arabi», ha sintetizzato padre Haddad, iniziando dalla Libia, dall’Iraq e arrivando alla Siria. Per porvi mano più agevolmente, la politica si è posta come protettrice delle religioni, «e questo è stato l’inizio del problema, poiché la politica deve proteggere le religioni ma per dar loro libertà, non per imporre idee politiche», con la presa del potere da parte di un partito e poi in Siria con la dinastia degli Assad. «Siamo stati liberi di svolgere le nostre funzioni, nella nostra vita religiosa a condizione di non immischiarci in politica. Quando abbiamo iniziato a parlare della nuova costituzione siriana, quando nei paesi arabi a maggioranza musulmana hanno voluto che l’islam dettasse la legge, è iniziata l'emorragia, la paura dei cristiani di non poter andare avanti». Altri sono rimasti in Siria chiedendo che, anche se il presidente è di religione musulmana, non devono esserlo la costituzione e le leggi. «Noi cristiani, pur essendo una minoranza in cifre, non ci consideriamo mai minoranza, siamo una componente importante per la Siria». Al riguardo padre Haddad ha auspicato che tanti cristiani e musulmani tornino in Siria (anche i musulmani hanno lasciato la Siria anche se la percentuale dei cristiani andati via è maggiore».
Quanti hanno deciso di restare come hanno vissuto una situazione che è andata peggiorando negli ultimi 15 anni? – ha chiesto Cascioli. Dopo aver chiesto che la costituzione fosse laica anche con un presidente musulmano, padre Haddad ha risposto che, pur essendo una minoranza in percentuale, i cristiani hanno sollevato il problema della discriminazione riguardo alla religione del presidente. Un cambiamento della costituzione che non è stato possibile «perché è iniziata la crisi interna con l’arrivo del terrorismo». Coloro che attualmente governano la Siria «dicono belle parole», da verificare alla prova dei fatti, una volta passata la tempesta: «dobbiamo aspettare che si calmino le acque per vedere la volontà di questo nuovo governo». L’emorragia dei cristiani «è legata all’arrivo del terrorismo nel 2011 che voleva eliminare i cristiani»: Haddad punta l’indice su Europa e Turchia che «hanno aiutato questi terroristi legati al fanatismo islamico per combattere il governo alawita di Bashar al-Assad», provocando un’emorragia non solo di cristiani ma – benché in proporzione minore – anche di musulmani moderati.
Di qui la drastica riduzione rispetto a vent’anni fa quando «eravamo circa il 20% del popolo», ma ora «anche l’emigrazione ha fatto la differenza, forse siamo al 5%». Tuttavia per Haddad «è l’ora di tornare a ricostruire il nostro Paese».
Siamo però lontani dalla fine della tempesta, commenta Cascioli, citando anche la testimonianza di padre Dany, salesiano della regione di Idlib. Padre Haddad concorda, basando però la sua «fiducia» nella «presenza cristiana mai interrotta» nella storia siriana, sin dall’inizio del cristianesimo. Ripete l’invito a giudicare dai fatti le «belle parole» dei «nuovi arrivati», che promettono libertà di culto; soprattutto invita i cristiani a «non rispondere con la paura», ma – a loro volta – con i fatti: «noi torniamo al nostro Paese e riprendiamo i nostri diritti». Se i nuovi governanti si presentano con un volto diverso dal terrorismo, devono comportarsi di conseguenza; altrimenti cristiani e musulmani moderati devono alzare la voce, se le promesse si rivelano false. Sarà un bene «per la Siria, per l’Iraq, per il Libano, per la Turchia, dove questi cristiani sono stati ricevuti prima, ma poi umiliati, uccisi – avete sentito quanti siriani uccisi in Turchia? Adesso la Turchia appoggia questo nuovo governo, ma qual è il prezzo: perdere Aleppo? O avremo legge, lingua e moneta turca in Siria? Se così fosse sarebbe una vergogna per questo nuovo governo, arrivato pacificamente – vuol dire che c’era una preparazione a questo piano». Se questo piano consiste nel «dividere la Siria tra Israele e la Turchia, cosa ci rimane?».
Tra mille difficoltà e l’emorragia di cristiani e non cristiani, «vescovi, movimenti cristiani, scout, con le feste, le cerimonie a Natale, la Settimana Santa, la processione della Risurrezione per le strade di Damasco, abbiamo conservato tutto come se niente fosse» per mantenere l’ininterrotta presenza cristiana che è seme per il futuro.