Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L'INTERVISTA

Crepaldi: benedire le coppie gay è una falsa accoglienza

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Discontinuità e pastoralismo, con l’illusione di andare incontro alle persone negando loro la carità nella e della verità: alla Bussola il vescovo emerito di Trieste esamina i problemi insiti in Fiducia supplicans.

Ecclesia 05_01_2024

«Il problema delle benedizioni delle coppie irregolari mette in evidenza una diversità di visioni teologiche dentro la Chiesa su questioni vitali», dice a La Nuova Bussola mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo-vescovo emerito di Trieste, che in Fiducia supplicans coglie discontinuità e pastoralismo, ovvero la pretesa di produrre “nuova” dottrina mediante la pastorale. Queste persone vanno accolte, ma Fiducia supplicans dimentica di accoglierle nella verità.

A seguito della pubblicazione della Dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede, firmata dal Prefetto, il cardinale Fernández, nella Chiesa cattolica si è sollevato un ampio moto di protesta da parte di cardinali, di singoli vescovi e di intere conferenze episcopali, nonché di molti laici. Qualche osservatore ha parlato di una “guerra civile” nella Chiesa, altri di un documento “scandaloso” e “tremendo”. Di fatto, non si era mai vista una protesta così profonda e ampia verso un documento del magistero. Lei cosa ne pensa?
La questione presenta molti aspetti che richiedono un’attenta e responsabile valutazione. Da parte mia vorrei solo fare notare che sulla questione delle benedizioni sono intervenuti gli ultimi tre Prefetti del Dicastero per la Dottrina della Fede, tutte personalità autorevolissime per preparazione teologica. Il dato che emerge è questo: i due predecessori dell’attuale Prefetto si sono pronunciati contro la benedizione delle “coppie” cosiddette “irregolari”, ossia i conviventi eterosessuali, compresi i divorziati risposati, e le unioni tra due persone dello stesso sesso. Il cardinale Ladaria, infatti, immediato predecessore del cardinale Fernández, ha licenziato il documento, il famoso Responsum del 2021, per dichiarare inammissibili queste benedizioni, che in alcune parti dell’Europa già venivano impartite. Il cardinale Müller, che aveva guidato il Dicastero per la Dottrina della Fede prima del cardinale Ladaria, ha espresso giudizi molto duri su questo tipo di benedizioni, giungendo a parlare di “blasfemia” per i sacerdoti che le impartissero. L’attuale Prefetto, invece, le ammette. Bisogna prendere atto di questa grande diversità di impostazione della questione, ossia, come anche si dice in questi casi, di questa “discontinuità”. La cosa è di per sé molto problematica e causa di grande e comprensibile preoccupazione.

La nuova Dichiarazione risponde indirettamente a questa sua osservazione sostenendo di aver semplicemente completato le istruzioni del Responsum, che verrebbero confermate ma anche ampliate in campo pastorale. In altre parole, in precedenza il Dicastero avrebbe affrontato la questione sul piano dottrinale, la Fiducia supplicans invece lo affronterebbe su quello pastorale, confermando quindi quanto detto in precedenza. Ritiene valida questa spiegazione?
Qui è bene spendere una parola sull’impostazione del rapporto tra dottrina e pastorale. È importante soprattutto distinguere bene tra la pastorale e quello che, in altri interventi, ho chiamato “il pastoralismo”. La prima ritiene che affrontare le nuove sfide pastorali richieda la luce della dottrina, secondo le linee di una “teologia della pastorale”. In questo caso si ribadisce il primato della dottrina sulla pastorale, senza con ciò negare la creatività della pastorale, che la luce della dottrina favorisce anziché impedire. Il pastoralismo sostiene che la pastorale è pure essa produttrice di dottrina, perché altrimenti la fede cristiana verrebbe ridotta ad una serie di principi astratti. Questa equivalenza tra dottrina ed astrattezza non può essere accettata, dato che Gesù Cristo è la Dottrina. Il pastoralismo, quindi, considera la pastorale come co-produttrice di dottrina. Questo è quanto dice anche Fiducia supplicans, sostenendo di essere un ampliamento pastorale alla precedente dottrina.

Cosa mi può dire a questo riguardo?
Farei tre osservazioni. La prima, molto semplice e perfino banale in verità, è che questo nuovo ruolo della pastorale capace di produrre dottrina è a sua volta frutto di una enunciazione dottrinale. Il pastoralismo è, in fondo, una dottrina. La posizione così si contraddice perché considera la dottrina come qualcosa di astratto e di insufficiente (il Responsum del 2021 è considerato tale dalla Fiducia supplicans), ma lo fa enunciando a sua volta una dottrina.
La seconda osservazione riguarda in generale la visione dell’uomo e delle sue facoltà. Ognuno di noi pensa prima di agire. Certamente la prassi può fornire nuovi elementi, ma non può essere la prassi a conferire a se stessa la verità, perché sarebbe una verità irrazionale e ingiustificata, quindi una non-verità. Queste osservazioni possono essere applicate anche alle questioni teologiche, perché la ragione teologica non elimina le argomentazioni della ragione naturale.
Infine, credo che vada riconosciuto che l’ampliamento della dottrina tramite la pastorale non possa evitare di cambiare la dottrina. Fiducia supplicans sostiene che dal punto di vista pastorale è possibile fare una cosa diversa da quanto previsto dal punto di vista dottrinale e questo essa chiama “ampliamento”, mentre invece è una richiesta di cambiamento della dottrina, già implicitamente avvenuto in chi fa la proposta e suscitatore di cambiamenti futuri.

 Si tratta in definitiva di diversità di visioni teologiche dentro la Chiesa su questioni vitali. Cosa mi dice al riguardo?
È fuori dubbio che il problema delle benedizioni delle coppie irregolari mette in evidenza una diversità di visioni teologiche dentro la Chiesa su questioni vitali. È questo, in fondo, il nocciolo della questione che rimanda a contenziosi antropologici, ecclesiologici, sacramentali e pastorali enormi, relativi al valore della salvezza, al significato della sessualità, alla concezione del peccato, al potere della Chiesa, ecc. Il rischio è quello che aumenti la confusione dottrinale nella Chiesa. Sono convinto che è proprio la confusione dottrinale quella che deve preoccupare di più, non quella pastorale che ne è una conseguenza. Non dimentichiamo che, finché siamo in questa vita terrena, la fede ha il primato sulle altre virtù dato che non si può sperare ciò che non si conosce né si può esercitare la carità senza sapere cosa essa sia. Sic stantibus rebus, inoltre, la prima vittima della confusione sarebbe l’evangelizzazione, quella vecchia e quella nuova, la quale verrebbe svuotata del suo contenuto proprio che è l’annuncio della fede in Gesù Cristo, custodito dalla Tradizione ecclesiale come afferma San Paolo: “Vi ho trasmesso quello che a mia volta ho ricevuto” (1Cor 15,1).

Lei, se richiesto, impartirebbe simili benedizioni?
Non lo farei. Per molti motivi, alcuni dei quali ho brevemente esposto qui. In particolare, vorrei indicarne uno che mi sembra possa essere compreso facilmente: non lo farei per rispetto delle stesse persone interessate. Questa risposta però non basta. Mi pare che, facendo proprio tesoro di un’istanza caratterizzante il documento Fiducia supplicans, si debba lavorare in prospettiva per sviluppare un’autentica pastorale per queste persone. A questo riguardo mi preme dire quanto segue: l’incontro pastorale di un vescovo o di un sacerdote con queste persone deve essere un incontro nella carità e nella verità, un incontro cristiano, cioè rivolto all’ascolto e all’accoglienza della Parola di Dio, nella consapevolezza da parte di tutti che solo essa ha il potere di delineare il vero bene per le persone e per la Chiesa. Ma per far questo bisogna che chi chiede la benedizione non sia mosso da desideri di rivendicazione ma da un sincero proposito di conversione; d’altra parte, chi impartisce la benedizione non sia guidato da facili buonismi, ma da una onesta volontà di guidare le persone al loro vero bene spirituale. Solo così l’incontro può partire con il piede giusto ed essere vero, serio, maturo e liberante per tutti. La Parola di Dio purifica, libera e salva, ma evidentemente è una Parola esigente, perché l’incontro deve servire sempre e solo a ricercare, ad ascoltare, a fare propria la volontà di Dio.