Cop26 di Glasgow, un inizio apocalittico
Dopo una conclusione deludente del G20 di Roma, in cui non si è raggiunto alcun accordo di massima sulla lotta al cambiamento climatico, la Cop26, la conferenza internazionale sul clima di Glasgow, Scozia, viene inaugurata con un inizio a dir poco scoppiettante. Discorsi apocalittici e piani immensi di rivoluzione economica a nostre spese.
Dopo una conclusione deludente del G20 di Roma, in cui non si è raggiunto alcun accordo di massima sulla lotta al cambiamento climatico, la Cop26, la conferenza internazionale sul clima di Glasgow, Scozia, viene inaugurata con un inizio a dir poco scoppiettante. Questo il tenore medio dei discorsi delle autorità: il mondo sta per finire. O raggiungiamo un accordo per dotarci di pieni poteri (economici, sociali, politici) per fermare l’aumento della temperatura, contenendolo ad 1,5 gradi, oppure le prossime generazioni “ci malediranno”, come ha dichiarato anche l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby.
Boris Johnson, premier britannico conservatore che ospita l’evento, ha abbandonato lo scetticismo climatico che caratterizza il suo partito e ha puntato tutto sul catastrofismo, da film: il mondo si trova come “James Bond in quei film in cui deve disinnescare un macchinario mortale pochi minuti prima che scatti, ma questo non è un film” “l'orologio corre in modo furioso” e quindi si deve “agire ora, prima che sia troppo tardi”. “Abbiamo un minuto prima di mezzanotte. Dobbiamo agire, più aspettiamo più sarà costoso”. Poi una nota realmente apocalittica: “Dobbiamo disattivare questo dispositivo del giorno del giudizio”
Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, rincara la dose: “I sei anni passati dalla Cop21 di Parigi sono stati i più caldi mai registrati e siamo sull'orlo della catastrofe”. Quindi: “il fallimento non è più un'opzione, sarebbe il modo peggiore di affrontare tutto questo”, prosegue Guterres, ora “le sirene stanno suonando, il nostro pianeta ci sta parlando”. Conclude con un appello rivolto ai leader mondiali: “scegliete l'ambizione, scegliete la solidarietà e salvate l'umanità”.
Joe Biden, il presidente americano che succede allo scettico Donald Trump, si è prima di tutto scusato per il suo predecessore, che aveva osato ritirarsi dai precedenti accordi di Parigi. Poi si è unito al coro catastrofista: “Non c'è altro tempo per rimanere a guardare, questa è una minaccia per la nostra esistenza”. E dunque, a nome degli Usa, si chiede: “Faremo quello che è necessario o faremo soffrire le future generazioni? Questo è il decennio decisivo sul clima, e la finestra si sta chiudendo rapidamente. Glasgow deve dare il calcio di inizio al cambiamento”.
Mario Draghi non è da meno: “il cambiamento climatico ha anche gravi ripercussioni sulla pace e la sicurezza globali. Può esaurire le risorse naturali e aggravare le tensioni sociali. Può portare a nuovi flussi migratori e contribuire al terrorismo e alla criminalità organizzata. Il cambiamento climatico può dividerci”.
Nel Regno Unito non sono mancate le voci dei reali, soprattutto del principe Carlo che è intervenuto personalmente all'apertura della conferenza: “Il mondo deve mettersi in una disposizione di spirito bellica, da ultima spiaggia, di fronte alla sfida dei cambiamenti climatici che incombono sul pianeta”. Come per il Covid-19, anche per la lotta al cambiamento climatico, la retorica diventa bellica, per sostenere uno sforzo collettivo, a forze unificate. Che, quindi, non ammette l'esistenza di oppositori, da trattare alla stregua di disfattisti e disertori.
Dobbiamo preoccuparci? Sì. Ma il fallimento eventuale (e probabile, vista l’assenza di leader essenziali quali Xi Jinping e Vladimir Putin) della Cop26, potrebbe essere l’ultimo dei nostri problemi. Dovremmo piuttosto chiederci cosa potrebbe succedere se la Cop26 avesse successo. O se, per lo meno, i Paesi europei e nord-americani dovessero implementare le nuove misure draconiane studiate da team di esperti per contenere a 1,5 gradi l’aumento della temperatura.
Mario Draghi ha dato un piccolo anticipo a Roma, in occasione del G20, quando ha affermato: “Stiamo costruendo un nuovo modello economico e il mondo sarà migliore”. Una frase che indica un costruttivismo simile a quello delle utopie socialiste del Novecento e che si riflette ancora nel suo discorso a Glasgow: “Dobbiamo aumentare i nostri sforzi sui fondi per il clima, far lavorare insieme pubblico e privato. Decine di trilioni (migliaia di miliardi, ndr) sono disponibili. Ora dobbiamo usarli, trovare un modo intelligente di spenderli velocemente. Abbiamo bisogno che tutte le banche multilaterali e in particolare la Banca mondiale condividano con il privato i rischi”. Questo piccolo discorso fa già comprendere quanto grande sarà il cambiamento delle nostre economie, se i confini fra pubblico e privato saranno sempre più porosi. Tutto, dagli investimenti ai progetti, dovrà avere un unico fine e sarà la classe politica a tenere le redini.
All’atto pratico, può rendere l’idea su cosa siano queste politiche, il calcolo che è stato eseguito dal Climate Change Committee, organo di consulenza del governo britannico sul cambiamento climatico. Il Regno Unito, solo per fare alcuni esempi, dovrebbe, entro il 2035 (14 anni da oggi) incentivare la sostituzione di 23 milioni e mezzo di caldaie a gas con pompe di calore, chiudere tutte le centrali termiche, quadruplicare la produzione di energia eolica (da 10 a 40 GW), smettere di vendere del tutto autoveicoli (sia personali che commerciali e passeggeri) a combustibile fossile entro il 2040 e al tempo stesso decuplicare le colonnine di ricarica delle batterie già entro il 2030. Il Comitato chiede al governo anche una strategia per “congelare” la domanda di viaggi aerei, sia passeggeri che mercantili e di ridurre le emissioni delle navi. Ma il cambiamento passa anche dalla dieta e dall’utilizzo delle campagne. Dalla dieta prima di tutto: il consumo di carne quotidiano deve essere ridotto almeno del 20%. E dalle campagne: le terre coltivate o destinate al pascolo devono di nuovo essere ricoperte da foreste.