Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Carlo Borromeo a cura di Ermes Dovico
CORONAVIRUS

Contagi e morti non calano, il "modello italiano" è fallito

Lo scorso 11 marzo, il presidente del Consiglio Conte aveva garantito gli effetti positivi della chiusura totale dell'Italia entro due settimane. È passato più di un mese e i numeri peggiorano. Invece di porsi delle domande e prendere misure adeguate, il governo continua a puntare sul "Tutti a casa", e a tempo indeterminato, instaurando un regime da "socialismo reale". Senza queste misure andrebbe molto peggio? Non è vero, anzi: se non si cambia strategia si mettono le basi per un disastro peggiore dell'epidemia in sé.
GLI ITALIANI SONO I PIÙ RECLUSI AL MONDO, di Stefano Magni
- I MONOLOGHI DI CONTE E MENTANA, BRUTTA COSA, di Ruben Razzante
- FATE PRESTO STAVOLTA, E SENZA BUROCRAZIA, di Romano l'Osservatore
SAN GIUSEPPE MOSCATI, UNA LUCE PER I MEDICI, di Valerio Pece
- DOSSIER CORONAVIRUS
- ORE 12.45: ROSARIO IN DIRETTA FACEBOOK DALLA REDAZIONE DELLA BUSSOLA

Attualità 15_04_2020

Era la sera dell’11 marzo, oltre un mese fa: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte firmava il decreto che trasformava tutta l’Italia in zona rossa, una misura annunciata già due giorni prima di fronte all’avanzare di contagi e morti, che erano stati prima drammaticamente sottovalutati. Tutto chiuso, escluse le attività essenziali, fino al 25 marzo: «L’Italia si chiude per due settimane», titolava il Corriere della Sera. L’effetto di questo grande sforzo, disse allora Conte, lo vedremo solo fra un paio di settimane. Calcolo logico: se l’incubazione del virus può durare fino a 14 giorni, è solo dopo questo tempo che avremo una diminuzione dei contagi. Fino all’11 marzo si erano registrati 12.462 casi totali e 827 morti in totale.

Arriviamo al 25 marzo e vediamo gli effetti di questo grande sforzo: i casi totali registrati sono saliti a 74.386, ma i deceduti addirittura a 7.503. L’aumento dei casi era prevedibile ma la moltiplicazione per dieci dei decessi non era esattamente nei piani. Da allora sono passati altri venti giorni di segregazione nelle case e di inattività economica e siamo arrivati a 162.488 casi totali accertati (ma la cifra, come sappiamo è altamente sottostimata), mentre i decessi hanno superato quota 21mila, con una crescita che continua ad essere di circa 600 al giorno (cioè ben più dei 463 in totale contati fino al 9 marzo, giorno in cui il governo ha deciso il lockdown).

Dunque, i risultati annunciati l’11 marzo non li abbiamo visti due settimane dopo e neanche ora che è passato più di un mese, malgrado con uno sforzo di ottimismo si continui a dire che siamo sul picco. Peraltro negli ultimi giorni da più parti si afferma che anche i decessi sono decisamente più di quelli ufficialmente conteggiati. Ce ne sarebbe abbastanza per mettere in discussione la strategia del “restate tutti in casa”. O perlomeno per farsi qualche domanda sul perché il lockdown non ha funzionato.

Invece no, ufficialmente il lockdown all’italiana funziona e semmai è tutta colpa di quelli che fanno una passeggiata o vanno al supermercato due volte la settimana invece di una. Così si scatena la guerra fra poveri, il ragionamento è semplice: se il signor Bassini si fa una passeggiata, poi a me tocca stare più tempo in isolamento. Poco importa se alla luce della ragione, la cosa non funziona così, la propaganda entra nella testa e detta le reazioni. Ecco quindi che tutti si trasformano in delatori contro chiunque sia beccato in strada, senza neanche chiedersi se abbia un motivo riconosciuto dalla legge; al supermercato ti vengono anche a controllare quanta spesa fai, non sia mai che ti muovi solo per qualche stupidaggine; e se per caso incontri un conoscente e scambi due parole c’è chi ti guarda in cagnesco. Il giornalismo di stato scatena la caccia al trasgressore, dando l’impressione che le strade siano ancora piene di gente che, però, stranamente non vediamo dalle nostre finestre.

È il socialismo reale, senza neanche che ce ne accorgessimo. Il che permette a chi ci governa di coprire le proprie magagne e incapacità e di evitare di rispondere a domande scomode. Ad esempio: lasciamo pure perdere i 62mila contagiati ufficiali nel periodo tra l’11 e il 25 marzo, facciamo finta che siano stati contagiati prima della chiusura totale e facciamo anche finta che diverse restrizioni non ci fossero già nelle due settimane precedenti; ebbene, ma quei 90mila che risultano contagiati dal 25 marzo ad oggi, come si spiegano? E come si spiegano quei 13.564 morti nello stesso periodo (il 65% circa del totale)? Davvero ci si vuol far credere che tutto dipenda dal signore che porta il cane a fare i suoi bisognini e dalla signora che va al supermercato, o addirittura da chi, solitario, si è fatto una corsetta?

Sarebbe stato importante svolgere una seria indagine epidemiologica per capire dove e come le persone si contagiano, così da prendere misure ad hoc, ma nessuno pare averci pensato. E così tutti a casa, è più semplice. E invece di investire in esami, tamponi, presidi sanitari, si acquistano droni per controllare strade, montagne e spiagge. Tutti a casa, e a tempo indeterminato, perché – ormai è chiaro – il virus non ci lascerà facilmente. E intanto 60 milioni di persone sono agli arresti domiciliari.

Già, 60 milioni di persone in casa, indiscriminatamente. Eppure i contagiati totali, pur moltiplicando per dieci i numeri ufficiali (tanto per prenderla molto larga), sono meno del 3%. Sicuro che non si possa mettere in atto politiche che si concentrino sui contagiati e sulla cerchia dei loro contatti invece che bloccare il 95% della popolazione? Anche se partiti con colpevole ritardo, di tempo ormai per prendere le contromisure ne hanno avuto molto. E ha senso trattare allo stesso modo la popolazione che vive nei comuni lombardi più colpiti e quella della Sardegna dove si registrano appena un migliaio di casi su 1 milione e 700mila abitanti?

L’Italia è il paese con il maggior tasso di mortalità da Covid-19. Ma governo e grande  stampa di corte eccoli a lì a vantarsi del modello italiano, che tutti ovviamente cercherebbero di imitare. Anche qui però le cose stanno diversamente, come spiega quest’altro articolo (clicca qui). Non c’è un unico modo di affrontare il coronavirus, e sicuramente ci sono approcci che hanno funzionato meglio rispetto alla strategia “cinese” del governo Conte. Perché qui sta una grande menzogna: far credere che ci siano soltanto due opzioni: o tutti in casa o tutti fuori. Non è così.

Ma a questo punto intervengono i modelli matematici, che ci dicono che se il governo italiano non avesse chiuso tutto, ci sarebbero stati centinaia di migliaia di morti. E di fronte a questo argomento si dovrebbe tacere. Sui social poi è tutto un fiorire di “piccoli statistici” che ogni giorno ci fanno vedere curve, parabole, modelli vari per dimostrare che alla chiusura totale – e a tempo indeterminato - non c’è alternativa.

Ma la verità è che questi modelli non hanno alcuna attendibilità, sono pure esercitazioni. È lo stesso discorso che vale per i modelli che prevedono il clima sulla Terra dei prossimi 50-100 anni e che hanno lo scopo di convincerci che siamo sull’orlo dell’abisso e siamo destinati a morire arrostiti. Senonché ciò che i modelli prevedevano venti anni fa puntualmente non si è verificato.

Per il coronavirus va molto di moda lo studio pubblicato lo scorso 16 marzo dall’Imperial College di Londra, ovviamente autorevolissimo, che per l’alternativa al lockdown rigido prevedeva almeno 250mila morti per il Regno Unito e 1.1-1.2 milioni per gli Stati Uniti. Lo studio è stato alla base del cambiamento di indirizzo politico del governo Johnson in Gran Bretagna. Senonché, come fa notare un'analisi pubblicata dal Wall Street Journal, dopo pochi giorni usciva un altro studio, stavolta dell’Università di Oxford, che invece dava uno scenario molto meno terrificante e prevedeva addirittura una rapida uscita dalla pandemia. Chi ha ragione? Probabilmente nessuno dei due, fa notare il Wall Street Journal, perché i modelli matematici sono inaffidabili.
Il motivo è semplice: i modelli, per avere un minimo grado di affidabilità devono essere costruiti con dati certi, omogenei, più numerosi possibile. Ciò che nel caso del Covid-19 è praticamente impossibile: troppo pochi gli elementi certi riguardo a origine, contagio, evoluzione; qualsiasi risultato sarà quindi condizionato dalla percezione soggettiva della malattia che hanno coloro che partecipano allo studio.

Il punto è che i governanti non possono prendere decisioni drastiche, con enormi costi sociali, economici, sanitari sulla base di modelli matematici costruiti su dati incerti. Si deve invece agire con prudenza calcolando tutti i fattori in gioco. Contrariamente alla percezione che si ha oggi, in Italia non si muore solo di coronavirus, anzi: nel 2019 in Italia sono morte 647mila persone. Vale a dire che non si può assolutizzare questa epidemia come se non esistesse altro; oltre a ciò vanno valutati anche i danni alla salute provocati dalla prolungata permanenza in casa, le conseguenze psicologiche e psichiatriche che questo comporta, per non parlare del disastro economico conseguente al lungo fermo delle attività che, a sua volta, avrà ricadute drammatiche per la salute e il sistema sanitario nel suo insieme.

Quello che oggi appare lo scenario più realistico è una presenza del coronavirus per molti mesi a venire, forse anni, per cui diventa necessario conviverci. Continuare la chiusura totale del Paese vuol dire solo porre le basi per un disastro ben peggiore del virus in sé. Bisogna cambiare radicalmente strada per poter minimizzare i danni sia del Covid 19 sia degli effetti collaterali.