Chi sta facendo la guerra al cibo
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L'Onu sta lanciando da anni continui allarmi carestia. Ma l'Onu stessa, i governi europei e diversi altri governi progressisti occidentali, stanno facendo di tutto per ridurre la produzione di cibo, colpendo l'agricoltura con politiche ecologiste.
Già da alcuni anni, ancor prima della guerra in Ucraina, l’ONU e le agenzie internazionali che si occupano della fame nel mondo vanno lanciando allarmi per l’arrivo di possibili carestie se non saranno raggiunte le mete onusiane per il clima. Adesso è un crescendo. Nel settembre 2021 il direttore del World Food Program aveva parlato con toni apocalittici di carestia globale in arrivo. Poco tempo fa la Banca Mondiale ha pubblicato un libro bianco sulla “insicurezza alimentare che monta”. Nel maggio scorso il Segretario Generale dell’Onu ha parlato dello “spettro di una mancanza globale di cibo”.
Detto questo, non si capisce come mai, invece di prendere provvedimenti per aumentare o almeno tutelare la produzione alimentare nel mondo, si stanno prendendo provvedimenti per ridurla.
Si sta assistendo infatti in varie parti del mondo all’imposizione al primo settore di obblighi suicidi quali la riduzione draconiana nell’uso di concimi e pesticidi e l’abbattimento a freddo di centinaia di migliaia di capi di bestiame sanissimi ma colpevoli di aumentare il livello di metano nell’atmosfera con le deiezioni. Provvedimenti che non stanno in piedi neppure se si ragiona nei termini voluti dall’apparato Onu, perché imposti in supposto ossequio ad uno solo dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030, la lotta alle emissioni, senza nemmeno citare le ricadute negative sulla maggior parte degli altri 16, a partire dal primo: la riduzione della povertà.
Il disastro a cui si va incontro si è visto già dall’altra parte del mondo, in Sri Lanka, dove la trasformazione, per legge, dell’agricoltura da convenzionale in “biologica” ha portato al collasso del sistema agricolo, riducendo alla fame oltre il 90% della popolazione. Certo, il Paese era già in crisi da tempo per via della corruzione e dell’inflazione galoppante. Ma la situazione è precipitata in anarchia dopo che nell’aprile del 2021 il Presidente Rajapaksa decise di punto in bianco di vietare l’importazione di concimi chimici e pesticidi; imposizione radicale e immediata che fece collassare le rese di tutte le coltivazioni e impennare i prezzi, in alcuni casi quintuplicati. Il popolo affamato insorse, arrivarono a buttare dei parlamentari nei bidoni della spazzatura e ad invadere il palazzo presidenziale. Alla fine il divieto fu tolto, ma troppo tardi per salvare le colture e i raccolti continuarono a scemare.
Si vede così anche qui la vittoria dell’attivismo ambientalista, gratificato e inserito nella galassia Onu e diffuso per i sistemi scolastici di tutti i paesi, e il rifiuto di ascoltare la voce degli scienziati che pure in gran numero in tutto il mondo non abdicano al dovere di avvertire e documentare il vero pericolo per l’umanità. A prevalere nelle considerazioni dei legislatori è il luogo comune che vede le agricolture bio come garanzia di sostenibilità, mentre al contrario, come ha chiarito Luigi Mariani su queste colonne il biologico è una tecnologia obsoleta che a sostanziale parità di prodotto rende dal 20 al 70% in meno e produce tre volte le emissioni di CO2.
Nei Paesi Bassi, minuscolo ma potente esportatore di derrate alimentari, il governo ha ingaggiato già da tempo un braccio di ferro con le aziende agricole, varando leggi per ridurre le emissioni di azoto, presente nei concimi chimici, e prendendo di mira anche le emissioni di metano, prodotte in massima parte dagli allevamenti di bestiame. La meta del governo Rutte, definita da molti suicida, è di ridurre le emissioni del comparto agricolo del 50% entro il 2030, il che richiederà ad alcune aziende riduzioni anche superiori, a seconda del territorio. La protesta della categoria è stata lunga e gagliarda, arrivando anche a sparare letame sulla casa del Ministro dell’agricoltura ed attirando la collaborazione in tandem degli agricoltori canadesi. Ma, come a sottolineare la chiusura del governo, le autorità olandesi hanno lavorato nel frattempo alla riorganizzazione del territorio, con la costituzione di una megalopoli, detta Tri-State City, che deborderà anche oltre i confini con il Belgio e la Germania, talmente grande da coprire anche ... i terreni agricoli.
Ma la battaglia continua. Gli agricoltori e gli allevatori si sono costituiti in partito politico, capitanato da una donna, Caroline van der Plas, che a sorpresa ha vinto a man bassa le elezioni provinciali e senatoriali, e adesso gode di ottimi pronostici per le elezioni anticipate che si terranno in novembre. Intanto però le leggi vanno avanti, anzi accelerano, e così anche le pressioni sugli agricoltori: adesso si parla di esproprio delle aziende, che verrebbero indennizzate dall’Unione Europea, sempre in nome della riduzione delle emissioni e della salvezza del pianeta.
Oltreatlantico, si sono uniti idealmente alla protesta degli olandesi gli agricoltori canadesi, impegnati in un braccio di ferro con il Premier Justin Trudeau, che a paragone delle decisioni draconiante del governo olandese sembrano miti: vuole imporre una riduzione del 30% nelle emissioni da fertilizzanti entro il 2030. Dopo, ovviamente, si vedrà.
Tornando all’Europa, il governo irlandese ha prospettato un taglio delle emissioni da agricoltura del 25% entro il 2030, il che manderà in rovina molte aziende. Il nocciolo del problema sono le mucche da latte, che con le loro emissioni corporali creano alti livelli di emissioni di metano, gas serra che secondo l’Iea, International Energy Agency, ha da 28 a 36 volte il potenziale di riscaldamento della CO2. La prospettiva è di dover abbattere almeno duecentomila mucche. Sanissime, redditizie e necessarie per sfamare milioni di persone.
Tutto questo mentre una guerra sta devastando quella che una volta era nota come il “bread-basket”, la cesta del pane del mondo: l’Ucraina.