Chi sono gli angeli – Il testo del video
Per i Padri gli angeli avrebbero un corpo sui generis, sottile, non carnale. Invece, per san Tommaso la distinzione radicale tra gli angeli e Dio sta nel fatto che i primi ricevono l’essere. La differenza tra conoscenza angelica e umana.
Proseguiamo la nostra catechesi sugli angeli. Ci stiamo occupando di questo bellissimo capitolo della teologia da alcuni incontri (vedi qui, qui, qui e qui). Proseguiamo in questa direzione e oggi cerchiamo un po’ di capire chi sono gli angeli. Dopo aver visto l’attestazione della presenza di queste creature spirituali nelle Sacre Scritture, nella Tradizione della Chiesa, nei Padri – in particolare abbiamo visto la posizione di sant’Agostino per quanto riguarda il cristianesimo occidentale e Dionigi l’Areopagita per quanto riguarda quello orientale, due autori che poi confluiranno nella sintesi che ne fa san Tommaso d’Aquino – oggi cerchiamo un po’ di entrare, aiutandoci proprio con la sintesi teologica dell’Aquinate, nell’identità degli angeli.
Il primo approccio che dobbiamo avere richiede una carta d’identità, per così dire, metafisica, il loro statuto metafisico. Cioè, come si pongono gli angeli rispetto a noi e rispetto a Dio. È chiaro che la nostra conoscenza degli angeli, la nostra riflessione sugli angeli in qualche modo è costretta a partire dal nostro punto di vista: pur avvalendosi di quelli che sono gli elementi propri della Rivelazione, rimane il fatto che la Rivelazione viene consegnata alla Chiesa, ai fedeli, per mezzo di un linguaggio e di categorie di pensiero chiaramente umane.
Lo status metafisico degli angeli è stato una questione abbastanza dibattuta, in modi diversi, nei secoli. In particolare la posizione più comune che ritroviamo è quella di ritenere che gli angeli fossero un po’ come noi, ma rispetto a noi dovevano avere un corpo sottile. Quella del corpo sottile è una modalità per indicare un corpo che però non è propriamente carnale e che quindi permetteva alla loro vita intellettiva e volitiva di essere più perfetta, più acuta rispetto a noi. Questa posizione era stata sintetizzata da sant’Agostino con una brevissima espressione molto esplicita: «Corpus, non caro», cioè hanno un corpo ma non hanno la carne, un corpo sui generis, un corpo sottile.
San Gregorio Magno, nella sua opera Moralia in Iob (II, 3), scrive: «In comparazione ai nostri corpi sono puri spiriti. Ma in comparazione allo Spirito supremo e senza limiti [cioè Dio] sono corpi». Una posizione simile ce l’ha anche san Giovanni Damasceno nella sua summa, che è il De Fide Orthodoxa (La fede ortodossa).
Che cosa ci dicono i Padri? Ci dicono – vedi l’argomentazione di san Gregorio Magno – che si tratta di trovare una collocazione per gli angeli che li distingua da noi, ma che li distingua anche da Dio. Da qui la corporeità, questa corporeità sui generis, questo corpo sottile, corpo ma non carne; questa idea comunque di una corporeità negli angeli è data, come dice molto chiaramente san Gregorio Magno, perché deve trovare una collocazione nella comparazione tra Chi gli sta sopra (Dio) e chi gli sta sotto (noi). In qualche modo, quindi, l’affermazione che gli angeli abbiano un corpo, un corpo sottile, è nata dalla preoccupazione di salvaguardare la trascendenza di Dio. In soldoni, per affermare che gli angeli non sono Dio, sono superiori agli uomini ma inferiori a Dio, i Padri hanno avvertito l’esigenza di affermare una loro corporeità.
Ora, l’altra ragione che ha portato i Padri ad affermare questo corpo sui generis sono le angelofanie che troviamo nella Bibbia, cioè le manifestazioni angeliche che troviamo nelle Sacre Scritture. Queste manifestazioni angeliche potrebbero far pensare appunto al fatto che gli angeli abbiano una corporeità: una corporeità particolare che a volte, per permissione divina o per missione divina, si manifesta alla sensibilità dell’uomo, che quindi vede l’angelo, sente l’angelo.
Ora, questa idea degli angeli con un corpo, un corpo sottile, è anche per esempio comune alla tradizione francescana. Ma san Tommaso ha una posizione diversa, perché riesce a far comprendere come lo statuto ontologico, metafisico proprio dell’angelo, che lo distingue da Dio e dall’uomo, non richiede necessariamente la presenza di un corpo sottile, spirituale.
San Tommaso tratta questo argomento nella sua critica all’ilemorfismo universale, cioè una teoria per la quale tutto ciò che esiste ha in qualche modo una materialità. San Tommaso riesce a riflettere sullo statuto metafisico dell’angelo, affermando che gli angeli non hanno un corpo, nemmeno un corpo sottile. E come fa ad affermarlo? Il problema, ricordiamo, è salvaguardare la trascendenza di Dio, cioè marcare la differenza ontologica, metafisica tra Dio e l’angelo e nello stesso tempo marcare la differenza ontologica tra l’angelo e l’uomo. Allora san Tommaso spiega che a distinguere radicalmente l’angelo da Dio non è la presenza della corporeità, ma è il fatto che nell’angelo c’è una prima composizione metafisica di essere ed essenza.
In soldoni, l’angelo non è l’essere stesso, come Dio, ma riceve l’essere, cioè l’angelo è creato da Dio che – come abbiamo visto quando abbiamo parlato della Creazione – gli partecipa l’essere. L’angelo riceve l’essere da Dio, non è il proprio essere, non è lo stesso essere. E quindi, ricevendolo, lo riceve nella misura propria della sua essenza; quindi non è un essere infinito, è un essere limitato dalla propria essenza, da quello che è. Così viene salvaguardato un grande salto ontologico, tra Dio – che è l’essere stesso, l’essere infinito, che non riceve l’essere, ma lo è da sempre e lo comunica – e l’angelo che invece lo riceve. E lo riceve in una misura limitata, secondo la sua essenza. È chiara quindi la distinzione radicale rispetto a Dio.
Rispetto all’uomo, qual è la differenza? L’angelo non ha la doppia composizione che ha l’uomo. Anche l’uomo riceve l’essere secondo la misura della propria essenza, ma perché è diverso dall’angelo? Perché l’angelo ha solo questa composizione. Nell’uomo invece c’è una seconda composizione, che è quella di materia e forma. La forma è la forma di una precisa materia. Questa seconda composizione non c’è nell’angelo.
Questa visione, questa spiegazione che dà san Tommaso ha delle conseguenze. Se Dio è una linea infinita che non ha principio e non ha fine, l’uomo è un segmento, l’angelo è una retta che ha un inizio ma non una fine. È un’infinità relativa, potremmo chiamarla così. Cosa vuol dire un’infinità relativa? Vuol dire che non è infinito come Dio; Dio non ha principio e non ha fine; l’angelo ha un principio, ma è infinito nel senso che non è soggetto ai limiti propri della materia. In questo senso è un’infinità sui generis.
Può essere utilizzata anche un’altra immagine: l’immagine del cono. Il cono ha un vertice, ha un principio ben chiaro, ma poi si apre e potenzialmente questa apertura può andare all’infinito. Questo è un po’ lo statuto dell’angelo. Il che non significa un limite e non significa neppure che non possa agire sulla materia o non possa agire su di noi che siamo composti anche di materia. Ma, di fatto, gli angeli lo possono fare più rapidamente, senza in pratica quelli che sono i limiti spazio-temporali propri della materia. Pensiamo alla reale capacità che lo spirituale ha di agire sul materiale. Pensiamo alla nostra intelligenza, al nostro pensare che è immateriale; e pensiamo pure a quanta capacità ha di muovere la materia, tanto è vero che il pensiero, l’intenzione di fare una certa cosa mette in moto la corporeità. Questo è un po’ il quadro.
La prima conseguenza di questo è un po’ tecnica. Ve lo annuncio, ma non è un tema propriamente di catechismo, ma più di filosofia: ogni angelo è una specie. Nelle realtà che noi conosciamo sensibilmente, c’è una specie e nella specie ci sono tanti individui. Perché? Perché nessun individuo riesce pienamente a realizzare in sé tutta la specie. Non essendoci la materia, la corporeità, ogni angelo è una specie a sé. Per capirci: un angelo differisce da un altro non come io differisco da chi ascolta e legge, ma come, per così dire, gli uomini differiscono dai gatti. Quindi c’è una differenza di specie, perché ogni angelo realizza pienamente in sé tutto quello che è proprio della sua essenza.
La seconda conseguenza è che l’angelo è immortale e incorruttibile, perché non c’è un elemento materiale. Come spiegare allora le angelofanie presenti nelle Sacre Scritture? San Tommaso ritiene che siano veramente delle manifestazioni angeliche, quindi non che siano delle proiezioni della psiche umana e nemmeno che siano delle mere rivelazioni interiori. Hanno perciò una “consistenza”. Ma l’angelo, dice san Tommaso, si forma in qualche modo un corpo sottile, particolare, per condiscendenza verso di noi, cioè per permettere a noi di percepirlo mediante il nostro modo di percepire e di conoscere.
Ma è un corpo però che non è nell’ordine sostanziale, ma nell’ordine operativo. Cosa vuol dire? Non è un corpo che si unisce all’angelo: l’angelo non è il soggetto personale di un corpo come nel nostro caso o un corpo che viene assunto come per l’Incarnazione del Verbo; è un corpo, diciamo, funzionale a una certa missione, a una certa operazione che viene fatta dall’angelo. Questo è un po’ il quadro dello statuto ontologico degli angeli.
Ora, se è chiara questa spiegazione sullo statuto metafisico dell’angelo, comprendiamo anche che le operazioni proprie dell’angelo, la vita propria degli angeli è una vita essenzialmente intellettiva e volitiva. Gli angeli sono persone che non hanno un corpo, non hanno una vita vegetativa, una vita sensitiva, ma hanno invece le facoltà superiori che sono l’intellezione, la conoscenza che vedremo essere molto diversa da quella dell’uomo (non del tutto diversa, perché altrimenti non potremmo parlare in termini analoghi di conoscenza e intellezione in entrambi, ma diversa), e la volizione, cioè la volontà con la quale tendono al loro fine, amano, vogliono.
Vediamo che il primo grande capitolo è quello della conoscenza: come conoscono gli angeli, che cosa conoscono gli angeli. È una tematica interessante, non è mera curiosità, ma è proprio la riflessione che discende da quello che loro sono nel piano di Dio, nella creazione di Dio e che ha anche conseguenze importanti per la riflessione teologica. La prima cosa che dobbiamo dire è che l’angelo conosce in modo, per così dire, immediato rispetto a noi. Cosa vuol dire? Vuol dire che l’angelo conosce conoscendo sé stesso e le idee innate – le famose species – che Dio gli partecipa. Facciamo subito un confronto con il nostro modo di avere un atto intellettivo. Noi abbiamo bisogno, per la nostra conoscenza, di partire sempre dai sensi: partire, non fermarci. È la famosa spiegazione di san Tommaso, cioè «non c’è nulla nell’intelletto che non sia stato prima nei sensi», che non sia passato dai sensi. Noi, per avere l’idea di questo libro, abbiamo bisogno della conoscenza sensibile. Noi astraiamo dal sensibile quella che è la specie intellegibile, passando dalla conoscenza sensibile di questo libro all’idea di questo libro. Nell’angelo, non essendoci la corporeità, questo passaggio non c’è.
L’angelo non astrae le specie intellegibili tramite la sensibilità. Allora come conosce? Conosce perché Dio ha posto in lui le species, le idee, quindi potremmo dire che conosce in sé stesso, in quanto ha ricevuto le idee di ogni cosa direttamente da Dio. Uno potrebbe pensare che sia una conoscenza astratta, dandole una connotazione negativa. No, è una conoscenza più perfetta, in quanto non ha bisogno di questo processo di astrazione che dobbiamo fare sistematicamente noi, passando dalla conoscenza sensibile alla conoscenza intellettiva. Diciamo che l’angelo “vede”, conosce in modo immediato, senza dover fare questo processo di astrazione. Anche tra gli angeli, dice san Tommaso, c’è una diversità di conoscenza: gli ordini, i gradi più vicini a Dio conoscono in modo più perfetto, non tanto perché abbiano una molteplicità di idee, ma perché, al contrario, si avvicinano sempre di più a quella unificazione, a quella semplicità della conoscenza propria di Dio, il quale non ha bisogno non solo di una conoscenza sensibile (in quanto Dio), ma neanche di una molteplicità di idee. Dio vede tutto in un unico “sguardo”.
Quanto più gli angeli sono vicini a Dio tanto più hanno questa unità, questa sintesi, questa semplicità, dove queste “poche” idee sono idee intense, nelle quali è già presente tutto il resto. E man mano che si allontanano da Dio c’è invece una molteplicità di idee. Ma quello che a noi interessa sottolineare qui è questa capacità di conoscenza immediata rispetto a quella dell’uomo, che invece deve astrarre sempre partendo dalla conoscenza sensibile fino ad arrivare poi alla conoscenza intellettiva.
Se è chiaro questo, si comprende che l’angelo non può conoscere tutto. L’angelo può conoscere ciò che Dio gli partecipa, quelle idee che Dio pone in lui e secondo quel grado di perfezione che Dio gli conferisce, perfezione che è appunto determinata dalla trasmissione di quello che Dio dà all’angelo, ogni perfezione creata e ricevuta. Ed è chiaro anche che la conoscenza angelica, rispetto alla conoscenza umana, è una conoscenza più semplice: non è la semplicità assoluta di Dio, ma è una conoscenza più semplice. In che senso? Nel senso che non è una conoscenza raziocinante.
Di nuovo possiamo comprendere qualcosa facendo riferimento alla nostra esperienza. Noi, quando conosciamo, in realtà dobbiamo andare per progressivi “avvicinamenti” e poi per una conoscenza discorsiva: connettiamo tra loro delle affermazioni, ci formiamo un giudizio, cioè tutto quel processo a volte più semplice, altre volte più elaborato e faticoso, che è proprio della conoscenza razionale, la conoscenza progressiva, per gradi, per approfondimenti, per giudizi che si legano e si affiancano tra di loro. Nell’angelo non è così.
Nell’angelo la conoscenza è intuitiva, è già tutta lì, per così dire. Noi non abbiamo un’esperienza di questo tipo. L’angelo non ha bisogno di questa discorsività, di questo raziocinio [propri dell’uomo]. Infatti non parliamo di una razionalità degli angeli, ma di una conoscenza intellettiva, che è più simile a quella che noi intendiamo come visio – visione – che non appunto al raziocinio, il ragionamento vero e proprio. Dunque, mentre la conoscenza umana è progressiva, la conoscenza angelica no: essa è intuitiva. È già piena, ha già tutto nel momento dell’intellezione. La conoscenza dell’angelo è vera conoscenza ‒ quindi noi parliamo di conoscenza in Dio, di conoscenza dell’angelo e conoscenza dell’uomo, ma ne parliamo in modo analogico: hanno qualcosa di simile e qualcosa di diverso. Rispetto a Dio l’angelo non conosce tutto e non ha la pura semplicità di Dio; ha una certa semplicità, quindi una certa complessità, ma non ha la complessità propria della conoscenza dell’uomo che deve anzitutto partire dai sensi e poi deve raziocinare; è una conoscenza [quella umana] discorsiva, per ragionamento, per connessioni.
Questo significa una cosa importantissima: nella sua intellezione, l’angelo non può sbagliare, proprio perché nel momento in cui conosce esaurisce in sé, nell’atto di intellezione, la conoscenza. Perciò l’angelo, in questa sua conoscenza, non è soggetto ad errore. Invece l’uomo è soggetto ad errore non nell’intellezione vera e propria, ma è soggetto ad errore nel processo raziocinante, nel processo discorsivo, nel processo logico, nel trarre conclusioni, nel collegare tra loro un soggetto e un predicato: qui l’uomo è fallibile. L’angelo non ha questa complessità e, quindi, sotto questo aspetto la conoscenza dell’angelo non è soggetta ad errore. È un discorso molto interessante.
La prossima volta andremo a indagare tre “curiosità” molto importanti che ci permettono di approfondire ulteriormente la conoscenza angelica e cioè: 1) se gli angeli siano in grado di conoscere il futuro; 2) se gli angeli siano in grado di conoscere i segreti del cuore, ossia i segreti del cuore umano, ma anche l’intimità di ciascun angelo rispetto a un altro; 3) se siano in grado di conoscere i misteri della grazia.
Quello di cui noi abbiamo parlato fin qui è la conoscenza naturale dell’angelo, ciò che è dovuto alla sua essenza, quello che lui è. Ma anche l’angelo, analogamente, come per l’uomo, viene elevato allo stato soprannaturale, quindi a una conoscenza e a una finalità (questo lo vedremo quando faremo la parte volitiva) che sorpassano la sua natura, al di sopra della sua natura.
Per domande riguardanti l’Ora di dottrina, potete scrivere a eventi@lanuovabq.it
Gli angeli nei Padri della Chiesa – Il testo del video
Sant’Agostino afferma che gli angeli sono la luce creata da Dio nel primo giorno della Creazione. Luce non materiale, ma intellettiva. Dionigi l’Areopagita descrive la gerarchia angelica: tre gradi, ciascuno con tre ordini. Il legame con la gerarchia ecclesiastica.
Gli angeli nella Tradizione – Il testo del video
I Padri dei primissimi secoli sottolineano che gli angeli sono creati e non creatori, confutando così l’eresia gnostica. Altro aspetto centrale: la comunione della liturgia terrestre con la liturgia della Chiesa celeste.
Gli angeli nelle Sacre Scritture - Il testo del video
L’angelologia dell’Antico Testamento è incentrata soprattutto sull’unicità di Dio, con gli angeli al Suo servizio. Nel Nuovo Testamento risalta il loro ruolo di mediatori di Cristo, vero Dio e vero uomo. A ciò si contrappone l’azione degli angeli decaduti, su cui parlano chiaro sia l’AT che il NT.
Perché parlare degli angeli - Il testo del video
L’esistenza degli angeli è una verità di fede, che non contrasta bensì è conveniente alla ragione, a dispetto di ciò che ritiene il materialismo. Un modo restrittivo di intendere la realtà ha accantonato l’angelologia, anche nella Chiesa. Ma è fondamentale recuperare la verità sugli angeli, sia buoni che decaduti.