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ORA DI DOTTRINA / 68 - LA TRASCRIZIONE

Creazione, riflesso di Dio - Il testo del video

Il fine soggettivo della Creazione - che è opera di tutte e tre le persone della Trinità - è la libera bontà di Dio, che vuole condividere il proprio bene. Il fine oggettivo, cioè lo scopo di ciò che è creato, è perciò la gloria di Dio. Ogni cosa creata porta in sé l'impronta del Creatore. Per questo il primo atteggiamento che dobbiamo avere davanti alla creazione è un atteggiamento di contemplazione, non di uso. 

Catechismo 14_05_2023

Proseguiamo la nostra riflessione sull’articolo del Credo riferito alla Creazione. In particolare, la scorsa volta abbiamo detto che il grande capitolo della Creazione comincia proprio con una riflessione su che cosa significhi che Dio sia creatore.

Abbiamo tre grandi sotto-capitoli: 1) l’atto della creazione propriamente detto; 2) l’atto della creazione continuata o della conservazione della creazione; 3) l’atto del governo della creazione.

La scorsa volta abbiamo iniziato il primo di questi tre sotto-capitoli, oggi lo proseguiamo e concludiamo. Il cuore dell’ultima lezione sta nel concetto di creazione ex nihilo: l’atto di creare propriamente è l’atto di dare l’essere, di comunicare l’essere o, come dice san Tommaso, «causare l’essere delle cose». Abbiamo visto che cosa comporta questo, dunque la struttura fondamentale della creazione, l’esse partecipato, dove invece Dio è l’Essere sussistente, l’Esse subsistens. Abbiamo visto come Dio crei secondo una volontà libera, onnipotente e sapiente. Dio crea non secondo idee esterne, ma secondo le cosiddette idee eterne, secondo le proprie perfezioni, comunicando le proprie perfezioni nel modo però finito delle cose. Ci riagganciamo qui.

La dottrina insegna che il fine soggettivo o, come si chiama anche, il finis operantis della creazione - per capirci, la finalità di Colui che crea, il motivo della creazione - non è altro che la libera bontà di Dio. Dio non crea per uno scopo proprio, non trae, per così dire, dalla creazione un vantaggio, non ricerca qualcosa nella creazione a proprio utile, a proprio vantaggio, ma crea per comunicare la Sua perfezione. Quindi è un atto di liberale elargizione, di bontà sapiente: Dio non è necessitato a creare. Crea precisamente perché vuole condividere il proprio bene, le proprie perfezioni, questo è ciò che costituisce l’entità, la sostanza di tutte le cose che non sono Dio; propriamente le cose esistono perché riflettono, sono la comunicazione di questo finis operantis, di questo motivo per cui Dio crea.

Il finis operantis è dunque il fine soggettivo, il motivo di colui che fa qualcosa, quindi in questo caso di Dio che crea.

Il finis operis, cioè il fine oggettivo, è lo scopo di ciò che è creato, quindi della creazione. Il finis operantis è del Creatore, il finis operis riguarda la creazione. Ora, qual è il fine della creazione? Poiché Dio ha posto in essere la creazione, il fine della creazione non può che essere uno solo, cioè la gloria di Dio. Anche in questo caso, come avevamo già detto la scorsa volta, non è un atto egoistico. Come comunicare le proprie perfezioni non è un atto narcisistico, così il fatto che il fine della creazione sia la gloria di Dio non è egoismo.

Ma come stanno insieme le due cose che abbiamo appena detto, cioè che Dio crea per libera elargizione e che crea per la sua gloria? Molto semplice. Il fatto che Dio sia la causa, cioè che Dio ponga in essere le cose, vuol dire che tutte le cose derivano il loro essere da Dio, sono legate in questo modo a Dio, quindi hanno il loro fine, il loro bene in Dio. Non può essere diversamente, altrimenti semplicemente non sarebbero, non saremmo. Se il nostro fine - il fine di ogni ente creato, ciascuno nel proprio ordine - non fosse la gloria di Dio, semplicemente noi non saremmo. Dunque, la gloria di Dio è il bene essenziale di ogni creatura, della creazione, ciò a cui ogni creatura tende nel modo proprio alla sua natura. La materia inanimata vi tende in un certo modo, la materia animata in un altro, gli animali in un altro, l’uomo in un altro, l’angelo in un altro ancora; ma ciò che accomuna tutti, in quanto creature, è che il nostro bene, il nostro fine (perché il fine è ciò che costituisce il bene di ogni cosa, raggiungere quel fine è il bene della creatura) è la gloria di Dio.

Allora, qui c’è un “problema” enorme: questi due fini - il finis operantis e il finis operis, che poi non sono due fini, ma sono due aspetti dello stesso fine, i due aspetti dell’atto creativo e dell’essere creato - non sono qualcosa che si può cambiare. Cambiare questo significa annichilire. E dunque si comprende la grande e radicale menzogna che vorrebbe una creazione - poi chiamata “Natura” - e ogni ente di questa Natura come se possa prescindere da Dio, come se non avesse nel più profondo del proprio essere questa caratterizzazione, cioè di essere un’immagine delle perfezioni divine e di avere Dio stesso, la Sua gloria, come fine, come bene proprio.

Una concezione secolarizzata della creazione, una concezione secolarizzata dell’uomo è semplicemente la negazione della verità più profonda, più strutturale, più ontologica dell’uomo e della creazione. Attenzione: Dio non è un oggetto che si può togliere o mettere come un soprammobile della nostra umanità e della creazione, ma Dio è Colui senza il quale la creazione non esisterebbe, molto semplicemente perché la creazione dipende radicalmente da Dio non solo nel suo inizio, ma nel suo essere, nel suo sussistere, nel suo bene, nel suo fine: è radicale la nostra dipendenza da Dio, che non è come la modernità ci ha insinuato e in fondo ci ha abituato a pensare. La dipendenza da Dio non è una menomazione della creazione e ancora di più della libertà umana: non è un limite, ma è ciò che le dà consistenza.

Tratteremo della creazione dell’uomo, quindi ci addentreremo un po’ nell’antropologia teologica, tornando a riflettere su questi punti. Ma intanto questi collegamenti sono importanti, perché qui non stiamo facendo considerazioni un po’ “aeree”, con l’idea di vedere poi quelle “pratiche”: no, le verità di fede sono strettamente legate tra loro, l’una chiama l’altra, una anticipa l’altra, e l’altra attualizza quella che è venuta prima, la concretizza in un certo ambito. Quindi, è importante aprire ogni tanto la focalizzazione, per poi restringerla su quello che ci serve.

Quando noi diciamo che la creazione è opera di Dio vuol dire che è opera delle tre Persone della Santissima Trinità. Ne abbiamo già parlato nelle puntate precedenti. Il fatto che nel Credo l’aggettivazione «omnipotentem, factórem caeli et terrae [...]» sia legata al Padre non è per esclusione delle altre due Persone. Rimando alla lezione sulla Santissima Trinità nella quale abbiamo visto come ogni opera divina sia opera della Santissima Trinità, di ogni Persona della Santissima Trinità in concerto con le altre. La creazione non è quindi solamente opera del Padre.

Ora, andiamo alla quaestio 45 della prima parte della Summa Theologiae, all’articolo 6. Questo articolo si intitola proprio «Se creare sia la proprietà di una sola Persona divina». Secondo la struttura di cui avevo parlato la scorsa volta, l’articolo inizia così: «Sembra che creare sia la proprietà di una sola Persona divina», in questo caso sembra che sia proprietà solo del Padre. In realtà, sappiamo che ogni atto di una Persona divina è un atto delle tre Persone. Nel corpo di questo articolo san Tommaso dice: «Il creare non è proprio di una sola Persona, ma è comune a tutta la Trinità». Questo è il dato fondamentale, perché se l’atto divino della creazione è causare l’essere, produrre l’essere (questo è propriamente la creazione) - se è questo, ed è questo - allora avviene in forza dell’Essere divino, che è comune alle tre Persone, non è pertinenza solo di una delle Persone.

Ora, il fatto che creare non sia proprio di una sola Persona, ma comune a tutta la Trinità non annulla un’altra realtà fondamentale, cioè, come dice Tommaso, «non annulla la natura delle rispettive processioni», cioè delle relazioni tra le tre Persone. Abbiamo visto che il Padre genera e non è generato, il Figlio è generato ma non è generante, e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, quindi è procedente ab utroque, da entrambi. Dice san Tommaso, sempre all’articolo 6 della quaestio 45: «Tuttavia le Persone divine hanno un influsso causale sulla creazione in base alla natura delle rispettive processioni». Cioè, tutta la Trinità crea, ma, dice san Tommaso, c’è una diversità in qualche modo che rispecchia la diversa natura delle rispettive processioni delle tre Persone della Santissima Trinità.

E adesso vediamo come san Tommaso spiega questo aspetto tanto importante - cioè la diversità, la distinzione nell’unico atto creativo della Santissima Trinità - che ha una conseguenza altrettanto importante. Fa un esempio: «L’artigiano si pone all’opera servendosi di un verbo [un’idea] concepito dall’intelligenza, e spinto da un amore della sua volontà verso qualche oggetto». Cosa vuol dire qui con amore? È un’inclinazione della volontà nel voler fare quell’oggetto che ha concepito con la sua intelligenza. E così, aggiunge san Tommaso, «anche Dio Padre ha prodotto le creature per mezzo del suo Verbo, che è il Figlio; e per mezzo del suo Amore, che è lo Spirito Santo». C’è un’analogia, che chiaramente serve a spiegare (ricordandoci che gli esempi umani devono sempre tener presente che Dio è Dio), ma è un’analogia importante: il Padre crea, concependo il Verbo, cioè l’idea fondamentale della creazione è il Verbo e, per così dire, l’inclinazione fondamentale dell’atto della creazione è lo Spirito Santo.

Dice san Tommaso: «E sotto questo aspetto le processioni delle Persone sono la ragione della produzione delle creature, in quanto esse includono gli attributi essenziali della scienza e della volontà». Vediamo, nella risposta alla seconda obiezione, come san Tommaso prosegue e amplia questa spiegazione. «Come la natura divina, pur essendo comune alle tre Persone, conviene ad esse secondo un certo ordine, in quanto il Figlio la riceve dal Padre, lo Spirito Santo da entrambi; così anche la potenza creatrice, sebbene sia comune alle tre Persone, tuttavia conviene ad esse secondo un certo ordine», cioè secondo quell’ordine che rispecchia l’ordine all’interno della natura divina, dell’unica natura divina.
Aggiunge san Tommaso: «Quindi si attribuisce al Padre di essere Creatore, come a colui che non riceve da altri la potenza creatrice».

Siccome il Padre è il principio generante all’interno della Santissima Trinità, così si attribuisce al Padre di essere il principio creatore, Colui che non riceve da altri la potenza di creare, secondo il concetto di creazione ex nihilo di cui abbiamo parlato.

«Del Figlio invece si afferma che “per mezzo di Lui tutte le cose sono state create”, poiché Egli ha il medesimo potere del Padre, ma ce l’ha da altri»; questo perché nella generazione il Figlio è generato dal Padre. «Infatti, la preposizione per [“per mezzo di Lui tutte le cose sono state create”] suole denotare una causa intermedia, ossia un principio che viene da un principio». E questo è l’essere proprio del Figlio e dunque anche nelle operazioni ad extra gli viene attribuito questo essere per: pensiamo alle conclusioni di tutte le orazioni, per Dominum nostrum, per il nostro Signore Gesù Cristo, eccetera.

«Allo Spirito Santo, infine, che ha questa medesima potenza da entrambi [ha la stessa onnipotenza del Padre e del Figlio], viene attribuito il dirigere come Signore e vivificare ciò che è stato creato dal Padre mediante il Figlio».

Dunque, l’unico atto creatore di Dio e quindi di ciascuna delle Persone della Santissima Trinità, dell’intera Santissima Trinità, viene declinato nella modalità propria a ciascuna delle Persone secondo quella che è la loro distinzione propria all’interno della Santissima Trinità.

Che cosa consegue dall’affermazione fondamentale di fede che la creazione è opera di tutta la Santissima Trinità e non solo di una Persona? Lo vediamo nell’articolo 7, dove san Tommaso ci dice una cosa molto importante, che ci aiuta ad avere nei confronti della creazione un atteggiamento fondamentale e sostanziale di contemplazione. «Le processioni delle Persone si presentano quali atti dell’intelletto e della volontà. Infatti, il Figlio procede come Verbo dell’intelletto divino, e lo Spirito Santo come Amore della volontà. Quindi, nelle creature razionali, in cui si trovano volontà e intelligenza [dunque negli uomini e negli angeli, nda], si ha una rappresentazione della Trinità a modo di immagine, in quanto si riscontra in esse un verbo mentale e un amore che ne deriva».

Cioè, le creature razionali, in quanto dotate di intelletto e di volontà, sono un’immagine della Santissima Trinità, per quello che ha detto san Tommaso poco prima, ossia il Figlio procede dal Padre, è da Lui generato, «procede come Verbo dell’intelletto divino, e lo Spirito procede come Amore della volontà». Nella creatura razionale, che è precisamente tale perché connotata da intelletto e volontà, abbiamo un’immagine, una imago della Santissima Trinità: «si ha una rappresentazione della Trinità a modo di immagine».

E tutto il resto della creazione? Dice san Tommaso: «Troviamo in tutte le creature [tutte, a prescindere che siano razionali o no, nda] la rappresentazione della Trinità a modo di vestigio, in quanto si trovano in ogni creatura degli aspetti che è necessario attribuire, come a loro causa, alle Persone divine». Qui san Tommaso fa una distinzione. Tutta la realtà porta un’impronta della Trinità, perché è opera della Trinità. Nella creatura razionale troviamo un’immagine e abbiamo visto perché; nelle creature non razionali non è che non troviamo niente, perché sono creature di Dio e quindi portano un’impronta della Trinità, che san Tommaso, per distinguerla dall’immagine, chiama vestigio. Da qui tutte le grandi meditazioni medievali delle vestigia Dei, delle vestigia di Dio.

Ora, vediamo qual è questo vestigio fondamentale che tutta la creazione porta in sé. Spiega san Tommaso: «Allora diciamo che, in quanto essa [ogni creatura] è una sostanza creata, rappresenta la causa o principio. E così [la creatura] indica la Persona del Padre, che è il principio senza principio. In quanto invece ha una data forma o specie rappresenta il Verbo, poiché la forma dell’opera d’arte deriva dal verbo mentale dell’artista. Infine, in quanto la creatura dice ordine o tendenza, offre una somiglianza con lo Spirito Santo».

Dunque, attenzione, san Tommaso ci dice che in quanto ogni creatura è causata, ha un principio, essa stessa - in quanto sostanza, che è un principio, è un qualcosa, è un quid – riflette, in quanto è qualcosa, il principio senza principio, che nella Santissima Trinità è il Padre. È un principio, è un quid. Poi dice che, in quanto invece ha una certa forma, una certa specie, una certa natura, in quanto è qualcosa e non altro, ha la sua essenza, rappresenta il Verbo, «poiché la forma dell’opera d’arte deriva dal verbo mentale dell’artista». Il Verbo è l’idea, diciamo così, della creazione divina e in quanto ogni cosa ha appunto una sua natura che corrisponde a questa idea ecco che porta il vestigio del Verbo. Quindi, (porta il vestigio) del Padre in quanto è, in quanto è sostanza, in quanto è qualcosa, in quanto è un ente; in quanto è quell’ente particolare, ha una certa essenza, corrisponde quindi a una certa idea, porta l’impronta del Figlio. E, infine, in quanto la creatura, ogni creatura «dice ordine o tendenza», ordine o inclinazione o finalità, «offre una somiglianza con lo Spirito Santo, che è Amore». Infatti, l’ordine o l’attitudine di una creatura verso qualcosa deriva dalla volontà del Creatore.

Più sinteticamente, poco dopo san Tommaso, richiamando sant’Agostino, ci dice che  il vestigium, il vestigio della Santissima Trinità in ogni cosa creata lo si trova «e perché “essa è qualche cosa”», è sostanza, è principio, quindi immagine del principio senza principio, il Padre; perché è qualcosa e perché è costituita in «una specie» che porta il vestigio dell’idea, il Verbo, «e perché “conserva un certo ordine”», dunque porta il vestigio dello Spirito Santo.

L’affermazione della creazione - sia quando la consideriamo come atto di Dio sia quando la consideriamo più specificamente come atto della Trinità - porta necessariamente in sé un’impronta che nel caso delle creature razionali abbiamo definito immagine, mentre nel caso delle creature non razionali abbiamo definito vestigio. Ma - e qui torniamo alla lezione della scorsa volta - la consistenza propria della creazione è quella di portare in sé le perfezioni divine nel modo proprio a ogni creatura e comunque sempre in un modo limitato alla creatura, e di avere come sua finalità la gloria di Dio.
E nella sua struttura fondamentale, la creazione porta l’immagine della Santissima Trinità, cioè l’immagine, l’impronta (quando diciamo “impronta” includiamo sia l’immagine che le vestigia) del fatto che il suo autore, il suo creatore è principio, verbo e volontà d’amore. Nelle creature razionali lo vediamo proprio nel fatto che hanno intelletto e volontà; e in quelle non razionali nel fatto che sono un principio loro stesse, qualcosa, sono questo e non quello, cioè esprimono un’idea, un’essenza, e hanno un ordine, una finalità, una tendenza.

Il primo atteggiamento che dobbiamo avere di fronte alla creazione non è dunque un atteggiamento di uso, che non vuol dire che non ci sia anche questo, in un debito ordine. Ma è un atteggiamento di contemplazione: la creazione è proprio questo specchio finito della realtà infinita di Dio e quindi, essendo l’uomo chiamato a conoscere, amare, contemplare Dio in questa vita e poi pienamente nell’altra, il suo modo di vedere la realtà creata è principalmente, essenzialmente quello della contemplazione, la contemplazione di Dio nella realtà creata e, dunque, riconoscere il bene di ogni realtà creata non in quanto è funzionale a me, ma in quanto - come dicono i Salmi - narra la gloria di Dio. E tende a questa gloria.

Io stesso sono parte di questa creazione, ma secondo la modalità propria della creatura razionale (questo lo vedremo meglio quando tratteremo l’uomo), che la distingue dal resto della creazione non razionale, ma non lo distingue come altro rispetto alla creazione, bensì come un ente creato con la sua propria costituzione, la sua propria natura che si rapporta al resto della creazione. Da qui deriva anche quella grande idea dell’uomo come micro e macrocosmo, che poi vedremo. Dunque, la prima modalità di reazione e di relazione dell’uomo di fronte alla creazione è proprio quella di contemplarla, di riceverla dalle mani di Dio, come indica il racconto del libro della Genesi, con Adamo che vede “sfilare” la creazione davanti a sé e Dio stesso gli conduce davanti la creazione perché gli desse un nome. La creazione non può darsi un nome; Adamo le dà un nome perché partecipa della natura personale, intelligente, libera del Creatore, ma pur sempre riconoscendola come la creazione del suo Creatore.

E dunque vediamo che la prima azione di Adamo non è usare la creazione, ma è darle un nome, che è proprio il senso della comprensione dell’opera che Dio fa. Adamo “restituisce”, diventa la voce della creazione perché riconosce nella creazione l’opera di Dio, secondo quell’intelligenza originaria dell’uomo, che dopo il peccato originale “entra” invece in una condizione di ignoranza. L’uomo riconosce la creazione come riflesso del suo Creatore, come riflesso della Santissima Trinità.

Abbiamo concluso questo primo sotto-capitolo, quello della creazione propriamente detta. Vedremo poi il capitolo sulla conservazione o creazione continuata.