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ORA DI DOTTRINA / 67 - LA TRASCRIZIONE

Creatore del cielo e della terra - Il testo del video

Con la Creazione siamo alle radici della rivelazione cristiana e della comprensione della realtà alla luce della fede. Dio ha creato tutto per un atto della propria onnipotenza senza servirsi di altro. Creare è causare l'essere delle cose. La Creazione è comunicazione dell'essere secondo una certa misura.

Catechismo 07_05_2023

Proseguiamo il nostro commento al Credo. La scorsa volta abbiamo visto l’aggettivo «onnipotente»: Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem. Adesso proseguiamo aprendo il grande capitolo della Creazione. Il testo del Credo dice: (…) factórem caeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Questo è un capitolo fondamentale della teologia e in generale della comprensione che l’uomo cerca della realtà. E, come vediamo dalla formulazione del Credo, abbiamo diversi capitoli all’interno, cioè la spiegazione dell’aggettivo «creatore» e poi la spiegazione di ciò che viene creato, quindi il cielo e la terra, le cose visibili e le cose invisibili.

Dunque, adesso apriamo un “file” molto articolato, che occuperà diverse domeniche, ma che è tanto importante, perché se la dottrina, l’insegnamento della Chiesa sulla Santissima Trinità è il mistero dei misteri, il fondamento senza fondamento - nel senso che la Santissima Trinità è il fondamento di tutto, ma non è fondata da altro, è il mistero primordiale, eterno -, la Creazione è il mistero fondamentale di ciò che è creato, quindi fa da fondamento, ma è a sua volta fondato in altro. Quindi siamo veramente alle basi, alle radici della rivelazione cristiana e della comprensione della realtà alla luce della fede e della ragione illuminata dalla fede. Non a caso, la rivelazione, nella sua fonte scritta, quindi nelle Sacre Scritture, inizia proprio così: In principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1,1). Dunque, già il capitolo 1,1 della Genesi ci pone davanti a questa realtà imprescindibile, senza la quale non si riescono a capire tanti aspetti della vita umana e della vita della fede, della vita morale, ma anche in fondo del grande mistero dell’Incarnazione e della Redenzione. Misteri che, come avremo modo di vedere, sono legati al mistero della Creazione, non sono tutta un’altra cosa.

L’altro aspetto per cui è importantissimo il capitolo sulla Creazione è che è il fondamento della virtù di religione. Ne abbiamo parlato, non ci ritorniamo, ma la virtù di religione ha proprio questo suo fondamento principale, cioè il riconoscimento, anzitutto, di Dio come creatore. Creatore di tutto ciò che esiste e quindi creatore anche di me stesso. Questo è appunto il sostrato di questa virtù fondamentale che perfeziona l’essere umano, e che è appunto la virtù di religione, cioè il rendere culto a Dio, riconoscere Dio come Dio o, se vogliamo, dare a Cesare quel che è di Cesare… un capitolo oggi tanto dimenticato, tanto minacciato.

Un’altra introduzione riguarda il primo grande capitolo di questo “libro” sulla Creazione. Nelle puntate che vi dedicheremo, ci occuperemo di ognuno dei termini di questa parte del Credo, ma oggi iniziamo quello relativo a Dio creatore: factórem, Colui che crea.

Questo macro-capitolo si deve suddividere in altre parti. Perché? Perché il mistero della Creazione lo dobbiamo intendere non solo come la creazione propriamente detta, cioè il porre in essere qualcosa che non c’era (e vedremo alcune verità che pongono questo atto come creazione vera e propria, e non come una semplice trasformazione), ma anche due altri grandi capitoli: 1) la conservazione della creazione, che va anche sotto il nome di «creazione continuata» (creatio continua), perché l’atto creatore non è da intendere come qualche cosa di compiuto che non è più relato con la realtà, che non ha più niente da dire sulla realtà, secondo il famoso “impulso” dato da Dio, il quale poi si ritira e il mondo va avanti per i fatti suoi: invece, vedremo l’idea fondamentale della conservazione della creazione; 2) l’altro grande capitolo è quello del governo della creazione: da qui l’idea, molto cara al mondo cristiano, della Provvidenza divina, cioè Dio che governa quella creazione che ha posto in essere e che mantiene quell’essere.

Sono temi a cui intanto accenniamo e che sono importantissimi anche per sottrarsi a una mentalità che per noi è diventata normale, ma che normale non è, ossia tutta quella mentalità che nasce dal processo di secolarizzazione e dal laicismo.

Adesso vediamo dunque la spiegazione di creatore, soffermandoci sulla prima parte, cioè la creazione propriamente detta. Più in là ci occuperemo della conservazione e del governo della creazione stessa.

Allora, vediamo la creazione propriamente detta. L’elemento centrale di fede che dobbiamo credere, confessare, è l’affermazione che Dio ha creato tutte le cose e cioè ha tratto tutte le cose dal nulla, da cui l’espressione ex nihilo o de nihilo o, più tecnicamente, ex nihilo sui et subjecti: questo, in sostanza, vuol dire che Dio ha creato tutto per un atto della propria onnipotenza senza servirsi di altro. Dio non è un demiurgo che trasforma una materia preesistente, non ha posto in essere un piano di collaborazione con altro o altri da Sé, ma è l’unica causa di tutto ciò che esiste, di tutto ciò che è. La Sua volontà onnipotente è la ragione necessaria, sufficiente ed esclusiva, la causa vera e unica della creazione.

Ora, bisogna capire bene questo ex nihilo, questo «dal nulla», perché ci sono state alcune obiezioni di natura filosofica: dal nulla non è da intendere come ciò da cui Dio ha tratto qualcosa, perché altrimenti cadremmo nell’obiezione che dal nulla viene nulla; e giustamente, perché non è che se prendo un po’ di nulla e lo metto con ancora un altro po’ di nulla, all’infinito poi ottengo qualcosa. Dal nulla può venire solo nulla: quindi non è il “da cui” Dio trae qualcosa, ma significa che nulla preesisteva, cioè Dio è - come dicevamo - l’unica causa della creazione, non c’è altro “da cui” Dio trae la creazione o “per mezzo del quale” o “con il quale” Dio pone in essere la creazione. Questo è un primo punto fondamentale, quindi il concetto di creazione richiede questo ex nihilo, dal nulla, nel senso che abbiamo appena spiegato.

Come lo dobbiamo intendere questo atto di creazione? Che cosa vuol dire creare? San Tommaso, nella prima parte della Summa Theologiae, dedica la quaestio 45 al tema della creazione. Andiamo a vedere il primo articolo di questa quaestio e, in particolare, il sed contra.

Ma che cos’è il sed contra? Come ho detto altre volte, ogni articolo della Summa è diviso così: c’è la tesi, “sembra che”, in cui vengono riportate una serie di motivazioni a favore di questo “sembra che”; poi, c’è il sed contra, “ma al contrario”, dove viene riportata la citazione di un’autorità, delle Scritture, dei Padri o a volte anche di filosofi; e poi c’è il corpo dell’articolo, che spiega questo sed contra; e alla fine abbiamo la risposta alle obiezioni originarie, quelle che sembravano sostenere la tesi, che invece poi è stata “rovesciata”, contraddetta dal sed contra. Questa è la struttura di ogni articolo della Summa.

Dunque, tornando alla quaestio 45, nel sed contra, che è un po’ la sintesi centrale di quello che viene poi spiegato nel corpo di ogni articolo, Tommaso scrive: «Creare, propriamente, è causare l’essere delle cose». Questa è una definizione corretta ed esaustiva della creazione, cioè, creare è causare l’essere delle cose. Quindi, non è causare un certo modo d’essere, da un certo modo d’essere a un altro, come è la “creazione” nostra o di un artista: noi usiamo il termine “creazione”, ma non lo intendiamo nel senso propriamente detto, perché noi non siamo in grado di causare l’essere delle cose. Invece, la creazione è propriamente causare l’essere. Che cosa significa?

Dio è l’Essere sussistente: Dio non è colui che “ha” l’essere, ma che è l’Essere, pienamente, perfettamente, infinitamente, senza alcuna finitudine. Filosoficamente, si direbbe, colui che non ha l’essenza o, meglio, la cui essenza è l’essere stesso, ma dal punto di vista della catechesi non dobbiamo tenere necessariamente questa terminologia, anche se è importante capirla, non per la terminologia in sé ma perché è l’espressione di una realtà.

Dunque, Dio, che è l’Essere sussistente (che è pienamente l’Essere, che non ha bisogno di altro per essere), vuole partecipare l’essere secondo una certa misura. La creazione è proprio questo, cioè una comunicazione di Colui che è pienamente l’Essere, è l’Essere sussistente: dunque, una comunicazione dell’essere, ma anche chiaramente secondo una certa misura. Perché secondo una certa misura? Perché altrimenti sarebbe Dio questo altro che riceve l’essere. Tutto ciò che invece non è Dio, cioè che è altro da Dio, vuol dire che riceve l’essere secondo una misura propria, una misura che è data dalla sua essenza. E che è il suo bene, cioè: non è un male per il cagnolino non essere un uomo; non è male per l’uomo non essere un angelo; è bene per l’uomo essere uomo, cioè ricevere l’essere nella sua misura di uomo; per il cagnolino nella sua misura di cagnolino e per l’angelo nella sua misura propria di angelo. Questo è il bene di ogni ente, di ogni realtà creata.

Ora, questa volontà libera e sapiente di Dio di dare l’essere, di comunicare l’essere secondo questa certa misura, questo dare inizio ad altro è proprio il fatto della Creazione. Questo dare inizio è proprio dare l’essere, partecipare l’essere. Adesso vedremo anche questo termine così importante. Quindi, a dare consistenza alle cose è questo atto libero e sapiente di Dio. E dunque questo essere, che costituisce la realtà di ciascuno secondo la propria natura, è il bene proprio della realtà. Questa è la grammatica fondamentale di tutta la realtà.

E c’è - faccio un’altra piccola precisazione, ma a mio avviso importante per comprendere meglio - una distinzione fondamentale, strutturale, primaria tra Dio,  l’Esse subsistens, Colui che è l’Essere sussistente, infinito, eterno, che non è causato da altri, ma causa - per volontà libera, sapiente – l’essere, e la creatura. Se Dio è l’Esse subsistens, la creatura è un esse partecipato. Non è l’Esse subsistens, è l’esse partecipato, riceve l’essere, partecipa dell’essere, secondo la sua misura; ha una misura, non è infinita, non è l’Essere stesso, nessuna creatura è l’Essere, ma ha l’essere, lo riceve. Questo suo ricevere l’essere, questo suo partecipare dell’Essere, è il suo bene, è tutta, per così dire, la sua consistenza ontologica. Questo è molto importante.

Perché ho voluto insistere così tanto su questa polarità tra l’Esse subsistens (cioè Dio, che è l’Essere) e la creazione e ogni ente della creazione, che ha l’essere, che partecipa secondo una misura finita dell’essere, per una volontà onnipotente di Dio? Perché questa distinzione mette al riparo da due enormi problemi che affliggono da sempre la storia del pensiero e quindi poi il modo concreto d’intendere la realtà.

1) Il primo problema è quello che possiamo inserire nella categoria del panteismo: lo possiamo trovare in tante versioni, ma sostanzialmente [il panteismo] è l’affermazione che la realtà creata non è creata, non è creazione, ma è Dio, cioè ha le caratteristiche proprie di Dio o è un’emanazione di Dio e quindi è una parte, un’emanazione della divinità. Si vedano tutte le concezioni, magari non tematizzate, ma al fondo presenti nell’idea della “Madre Natura”, della Natura con la “n” maiuscola. Questa idea della Natura, quella che invece noi chiamiamo creazione, la considera come se fosse essa stessa una divinità. In che senso? Nel senso che non viene pensata, non viene colta come originata, creata, ma come da sempre sussistente, cioè sostanzialmente eterna, che dunque non ha ricevuto l’essere, ma l’ha da sempre, che non ha ricevuto un ordinamento sapienziale, ma l’ha da sempre. Questo è un punto molto delicato, molto importante: ecco perché noi cristiani dovremmo essere sempre molto attenti a non usare il termine “Natura”, qui inteso non in senso biologico; né intendo che non si debba parlare di “natura” quando parliamo dell’ ordine morale, delle leggi naturali. Ma non va usato in questo concetto panteistico, divinizzante. Il termine corretto è creazione perché esso “chiama” il Creatore, apre una finestra sul Creatore, perciò è importante tenerlo fermo.

2) L’altro grosso problema che viene ovviato da questa importante precisazione, cioè della creazione come partecipazione dell’essere - Dio che partecipa l’essere e questa è la consistenza di ogni ente della realtà creata - è quello di pensare che la realtà non abbia nulla a che vedere con Dio; in questo caso, si afferma la differenza tra Dio e la realtà, ma Dio lo si relega in qualche iperuranio e la realtà va avanti, in qualche modo, per i fatti suoi, come se non avesse nulla a che vedere con Dio. Questo lo vedremo soprattutto poi, quando tratteremo la conservazione e il governo della creazione, ma le basi sono quelle appena dette.

Ora, se è chiaro questo, dovrebbe essere chiara anche un’altra cosa, che ha un’implicazione diretta, cioè: mentre Dio è eterno, la creazione, il mondo non sono eterni. Dio è eterno e, come dice sant’Agostino, non ha creato il mondo nel tempo, ma ha creato il mondo con il tempo. Questa è una citazione dal De civitate Dei (11,6), una citazione molto conosciuta e molto presente nei trattati sulla creazione, ed è molto densa, se ci pensiamo. Cosa vuol dire che Dio non ha creato il mondo nel tempo, ma Dio ha creato il mondo con il tempo?

Il tempo è una realtà creata, cioè il tempo inizia precisamente con la creazione. Dunque, l’atto creatore di Dio non è un atto nel tempo, è un atto eterno; è un atto eterno che “inizia nel tempo”, dà inizio propriamente al tempo. Ecco perché il mondo, la creazione non può essere intesa come eterna: ha avuto un inizio e avrà in qualche modo un termine. Non c’è una visione eterna della creazione, circolare, nella visione cristiana; c’è invece una visione che riconosce un inizio e una fine, il che non impedisce che ci siano dei movimenti a spirale, ma non sono appunto un cerchio chiuso in sé stesso. Cioè, per rubare un’espressione di Nietzsche, non c’è un «eterno ritorno dell’uguale», ma c’è un inizio e una fine. La realtà è creata con il tempo. L’atto di creazione, essendo un atto divino, è un atto eterno che dà origine al tempo, crea il tempo con la creazione o la creazione con il tempo. Dunque, non c’è un’eternità del mondo, ma c’è un’eternità di Dio che crea il mondo.

L’altro aspetto importante che volevo sottolineare oggi è che la creazione è opera dell’onnipotenza divina (e qui vi rimando alla catechesi precedente sull’onnipotenza). Ora, abbiamo detto tante volte che in Dio la sua sapienza, la sua volontà, la sua potenza sono tutt’uno, perché Dio non “ha” la sapienza, è la Sapienza; non “ha” l’onnipotenza, è l’Onnipotenza. E così via. Ora, quindi la creazione è sì chiaramente un atto della volontà divina, ma è tutt’uno con la sua infinita sapienza. Cioè, vuol dire che Dio crea secondo un’idea sapiente, un’idea che in Dio è semplice ed eterna, perché Dio non conosce la molteplicità e la successione delle idee che è tipica del raziocinio umano.

Che cos’è in sostanza la creazione? È una delle possibilità di comunicare, riprodurre nella realtà finita le proprie perfezioni. Ora spieghiamo questo aspetto. Intanto, ricordiamo quanto detto la scorsa volta, a proposito dei mondi possibili, cioè se Dio possa fare le cose diversamente da come sono, eccetera: la risposta è sì perché, come abbiamo detto, la modalità di comunicazione delle perfezioni infinite di Dio in un mondo finito è molteplice. Se le infinite perfezioni di Dio potessero essere comunicate in un solo modo, dove starebbe l’infinità di queste perfezioni? Bisogna capire bene questo aspetto, cioè: cosa vuol dire che Dio, nella creazione, riproduce, comunica le proprie perfezioni? Questo non è un narcisismo - e lo dico perché è stato obiettato anche questo, non si tratta di uno scherzo o di un’iperbole - cioè Dio non è un narcisista che non fa altro che comunicare le proprie perfezioni, ma il Suo è l’unico modo perché le cose possano essere e possano essere bene.

Perché, se l’unico modo con cui le cose possono essere è partecipare dell’essere (Dio che partecipa l’essere), diversamente avremmo il nulla. Analogamente, anche per essere bene, per essere vere, le cose partecipano delle perfezioni divine. Quindi, quando diciamo che Dio, nella creazione, partecipa, comunica, riproduce (termine un po’ meno adeguato, ma è per capirci) le proprie perfezioni non lo fa perché è narcisista, lo fa perché Dio è tutto il bene, tutta la perfezione. Perciò, se decide di dare origine ad altro, perché questo altro sia, perché questo altro sia bene, questo altro sia vero, partecipa di queste perfezioni. Dunque, creare è un atto di elargizione, di sapiente bontà divina; nel momento in cui Dio crea, comunica l’essere e l’essere bene.

Rispecchiare le perfezioni divine (pur in una modalità finita, limitata) è il bene proprio della creatura stessa. Si parla qui, classicamente, delle «idee esemplari» oppure delle «cause esemplari»: cosa vuol dire? Vuol dire che Dio non crea secondo idee esterne a Sé, chiaramente non c’è nulla di esterno a Dio, ma secondo l’idea semplice delle proprie perfezioni divine. E questo è un punto fondamentale, perché dice l’ordine della creazione, cioè la creazione riceve un ordine. Che cos’è questo ordo della creazione? È precisamente quello di essere un’immagine, un riflesso (poi lo vedremo in modo più specifico) delle perfezioni divine.

Dunque, vediamo che l’idea di ordine nella creazione, l’idea di quello che è la creazione non è qualcosa che decidiamo a priori, ma è qualcosa di strettamente connesso con l’essere stesso della creazione, in quanto partecipa delle perfezioni divine, in quanto Dio partecipa alla creazione l’essere, il proprio bene, le proprie perfezioni, secondo la modalità finita della creazione, di ciascun ente della creazione.

La prossima domenica continueremo con questo capitolo, ma spero che aiuti a capire che comprendere il mistero della Creazione è la base, la radice per comprendere qual è il bene di questa creazione.