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IL NODO

«Che fa la Farnesina?». L’SOS degli italiani bloccati in Venezuela

Ancora bloccati in Venezuela centinaia di italiani, abbandonati alla loro sorte dal Ministero degli Esteri che ha deciso di non usare il Meccanismo europeo di protezione civile che prevede fondi per il rimpatrio degli europei. «Qui c’è una seria crisi umanitaria», denuncia Luigi Emiliani alla Bussola: «Chiediamo voli umanitari per centinaia di connazionali che si trovano in gravissima difficoltà»

Attualità 18_07_2020

“Chiediamo un intervento urgente, che il governo italiano si faccia promotore di un’iniziativa che preveda l’apertura di spazi aerei con un programma di rientro degli italiani bloccati in Venezuela. Per favore, per favore, per favore, chi può faccia qualcosa!”. È l’appello disperato di Luigi Emiliani, uno dei tanti italiani che dal Venezuela gridano aiuto.

Il profilo Facebook di Emiliani è diventato lo storytelling del dramma che soffre la comunità italiana intrappolata nella crisi venezuelana, aggravata dall’arrivo del Coronavirus. Così Facebook sta diventando l’unica valvola di sfogo alla sua amarezza per l’indifferenza dell’attuale governo giallo-rosso, completamente assente quando si parla degli italiani all’estero. “L’unità di crisi della Farnesina è una struttura che non si capisce a che cosa serva e che cosa stia facendo, mentre ha il compito istituzionale di salvaguardare l’incolumità dei propri connazionali che per varie ragioni si trovano all’estero. È inspiegabile questa inefficienza, questa crudeltà, questa indifferenza”, ha commentato sul social network.

Dalla chiusura delle frontiere italiane per la crisi da Coronavirus, centinaia di connazionali sono rimasti bloccati all’estero, abbandonati alla loro sorte, perché la Farnesina - non si sa per quale motivo - ha deciso di non utilizzare il Meccanismo europeo di protezione civile che prevede fondi per il rimpatrio dei cittadini europei attraverso voli umanitari. L’abbiamo denunciato in diversi articoli (leggere qui e qui) e perfino il senatore Giovanbattista Fazzolari (Fratelli d’Italia) ha fatto partire un’interrogazione parlamentare al ministro Luigi Di Maio, chiedendo risposte alle nostre denunce (leggere qui). Sono passati due mesi e ancora oggi non ci sono risposte.

Nel frattempo, ci sono centinaia di italiani che non riescono a ritornare in sicurezza a casa, come i 150 connazionali bloccati in Venezuela. Un Paese in grave crisi umanitaria, completamente al collasso e dove ogni giorno è incerto, tra la mancanza quasi totale di servizi pubblici e l’azione di un regime demenziale che aggredisce chiunque osi denunciare la situazione.

Nonostante i rischi, Luigi Emiliani, di 74 anni e residente a Caracas, ha deciso di farsi portavoce non solo di quelli che non riescono a ritornare in Italia, ma anche dell’intera comunità italiana in Venezuela: “È possibile che in Italia non ci sia qualcuno che possa dimostrare di essere utile alla società, di avere solidarietà. Non è un capriccio, chiediamo voli umanitari per centinaia di connazionali che si trovano in gravissima difficoltà. Gli italiani in Venezuela devono chiedere l’elemosina alle altre ambasciate europee per vedere se si trova qualche volo che poi ti lascerà chissà dove, arrangiati! Non è questo che meritiamo. Qui c’è una seria crisi umanitaria e serve un intervento umanitario immediato”.

Il grido di auto è molto chiaro: gli italiani in Venezuela hanno bisogno dell’urgente attivazione di un programma di rientro, sia per quelli che sono rimasti bloccati per l’emergenza che per quelli che hanno bisogno di abbandonare il Paese, con voli umanitari e un piano di sostegno che possa agevolare la loro integrazione, come quello che esiste in Spagna dal 2008. Già nel 2018 era stato richiesto dall’associazione “Venezuela: la piccola Venezia” al Ministero degli Esteri, attraverso il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (leggi qui). Sono passati due anni, la situazione è ancora più grave, ma nessuna risposta.

Ma per capire la gravità della situazione, la Nuova Bussola Quotidiana ha parlato con Luigi Emiliani, un umbro arrivato nel 1983 in Venezuela per crearvi una fabbrica di prodotti per l’imballaggio alimentare, la più importante dell’America Latina. La bellezza del posto e l’ospitalità dei venezuelani l’hanno fatto rimanere. Dopo 37 anni non riconosce più il Paese che oggi è diventato la sua trappola e chiede aiuto disperato per rientrare in Italia, dove si trovano i suoi figli.

Signor Emiliani, come si vive in Venezuela?
Questa terra ha permesso a molte persone, venezuelane e non, di avere un futuro. Un futuro con problemi, certo, ma per i quali si vedeva una soluzione. Oggi invece siamo costretti a vivere senza benzina, senza acqua, senza energia elettrica, senza servizi sociali, a convivere con un’inflazione che oscilla intorno al 10% giornaliero, con un valore della moneta locale praticamente inconvertibile, priva di qualsiasi potere di acquisto. Tutto ciò crea una situazione di mancanza di dignità, alla quale però va aggiunta la mancanza di sicurezza, per cui le persone non si possono esprimere liberamente, perché finiscono in galera. Può sembrare fantasia o un’esagerazione, invece è la cruda realtà. Quindi ci troviamo di fronte a uno Stato o un governo che non è in grado di garantire ai propri cittadini le condizioni basilari per una vita normale.

Come se non ci fossero già abbastanza problemi, ora c’è anche il Covid-19…
Certamente in questa realtà è piombato come un falco il Coronavirus. Molti cittadini italiani, che per vari motivi si trovavano in Venezuela, vivono un “sequestro”, senza avere nessuna via d’uscita, senza un futuro. Credo che sia doveroso che il governo italiano attui un’azione umanitaria per aiutare i cittadini italiani bloccati in Venezuela. Sicuramente mi diranno che in questo momento ci sono tanti problemi anche in Italia ed è vero, però è anche vero che in piena crisi da Coronavirus è stata riportata velocemente in patria Silvia Romano, giusto, con un volo umanitario, in un’operazione che ha avuto un alto costo economico.  Applicando il concetto costituzionale dell’uguaglianza, credo che una cittadina italiana con tre bambini o un’altra signora incinta con il desiderio di partorire in Italia - faccio l’esempio di alcune delle persone che hanno bisogno di rientrare - debbano avere il diritto di veder applicato lo stesso criterio umanitario. Questo è il momento di dimostrare i veri valori umanitari e civili dell’Italia.