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LA QUESTIONE

Baby trans, gli studi confermano: la transizione fa danni

L’Institute for Research & Evaluation (USA) pubblica un documento sui danni dei trattamenti ormonali per bambini e adolescenti. Cinque i punti sottolineati, tra cui il peso dei fattori sociali che inducono a identificarsi in un trans. Intanto, in Italia, la Società Psicoanalitica avverte sulla pericolosità dei farmaci blocca-pubertà.

Editoriali 18_01_2023

Si chiama Protocollo olandese e consiste nel trattamento dei bambini, con presunta o reale disforia di genere, tramite bloccanti della pubertà (triptorelina). Trattamenti chimici per sospenderli in una bolla sessualmente neutra. Un reportage del giornalista Jan Kuitenbrouwer e del sociologo Peter Vasterman pubblicato sul quotidiano NRC Handelsblad ha svelato che il Protocollo si fonda su un unico studio del 2006 che fa pure acqua da tutte le parti (forse perché lo studio è stato finanziato dalla Ferring Pharmaceuticals, l'azienda che commercializza la triptorelina?): assente il gruppo di controllo (bambini a cui non è stato dato il farmaco blocca-pubertà), il follow up - ossia il periodo successivo alla sperimentazione, utile per verificare gli effetti avversi - è stato troppo breve e inoltre molti partecipanti non sono stati più intervistati ed esaminati durante il follow up.

Spostiamoci ora negli USA. Un documento dal titolo La ricerca sul tema transgender. 5 cose che ogni genitore e decisore politico dovrebbe sapere dell’Institute for Research & Evaluation, di Salt Lake City, ha messo sotto la lente di ingrandimento questi trattamenti che vogliono far diventare un giovane o un adolescente o un bambino un trans in erba. Le criticità non sono mancate. Nel documento, pubblicato il novembre scorso, si legge come preambolo: «La politica federale dell’attuale amministrazione statunitense, che sostiene la “presa in carico affermativa precoce” per “bambini e adolescenti” (HHS Dipartimento della salute e Servizi Umani, 2022), è considerata da molti controversa. E la forte crescita nell'uso di ormoni e interventi chirurgici cross-sex per i giovani è al centro di un acceso dibattito, generando incertezza nei pazienti, nei genitori, nei medici e nei decisori politici su cosa sia meglio. Di seguito si trova un elenco di evidenze della ricerca su cinque questioni chiave in merito». Poi vengono elencati questi cinque punti. Qui di seguito citeremo solo il riassunto degli stessi.

Punto n. 1: «Le evidenze scientifiche non hanno dimostrato che i trattamenti cross-sex abbiano effetti benefici su bambini o adolescenti. Le ricerche che lo affermano non sono scientificamente affidabili. In realtà ci sono evidenze di un impatto dannoso. Di conseguenza, un numero crescente di organizzazioni scientifiche non consigliano questi trattamenti. Raccomandano invece il counselling e una vigile attesa per i giovani che hanno una confusione di genere». Questo infatti è il nuovo approccio che sta prendendo piede in Svezia, Finlandia e Inghilterra, Paesi lanciatissimi un tempo sulla strada della cosiddetta transizione di genere per i minori.

Punto n. 2: «La ricerca non dimostra che la transizione di genere medica sia necessaria per prevenire i suicidi. In realtà, ci sono evidenze che le procedure di transizione medica possano aumentare il rischio suicidario nei giovani con confusione di genere».

Punto n. 3: «Le ricerche mostrano che, se non viene incoraggiata la “transizione”, la disforia di genere si risolve spontaneamente nei bambini prima che raggiungano l'età di giovani adulti. Questo evita gli effetti dannosi degli interventi medici cross-sex».

Punto n. 4: «Le evidenze scientifiche indicano che le cause della disforia di genere sono complesse. I fattori sociali e culturali possono influenzare in modo significativo l'identificazione transgender di un giovane».

Punto n. 5: «Non ci sono evidenze scientifiche che mostrino che i bambini traggano beneficio da insegnamenti scolastici sulla sessualità, sull'identità transgender o sull'omosessualità, o che mostrino che questi insegnamenti non siano dannosi». Il documento è corredato da un ricchissimo apparato bibliografico che viene citato per validare queste conclusioni.

Tutti e cinque punti sono d’importanza capitale, ma qui, per esigenze di sintesi, ci possiamo soffermare solo su uno. Scegliamo il quarto, il quale ricorda che sono le condizioni sociali che incidono maggiormente in questo stato di confusione in merito alla propria identità psicologica sessuale durante l’età dello sviluppo. A tale proposito ricordiamo che le lobby Lgbt, come stanno cercando da tempo, ma invano, il gene gay per affermare che l’omosessualità sia secondo natura, così vorrebbero trovare una caratteristica cromosomica che avalli il transessualismo. Gli studi invece confermano ciò che il buon senso già da tempo diceva: è l’ambiente circostante, soprattutto familiare, che può influire maggiormente sull’orientamento sessuale e sull’identità psicologica sessuale. Ciò detto, anche nel caso in cui un giorno si trovassero i geni gay e trans, occorrerebbe rammentare che non tutto ciò che è innato è anche secondo natura. Una malformazione cardiaca potrebbe essere congenita, ma questo non significherebbe che sia naturale, ossia fisiologica.

Infine, riportiamo alcuni stralci di una lettera che la Società Psicoanalitica Italiana ha indirizzato qualche giorno fa al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in merito a questo tema (qui il testo integrale): «L’esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana esprime grande preoccupazione per l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale in ragazzi di entrambi i sessi a cui è stata diagnosticata una “disforia di genere”, cioè il non riconoscersi nel proprio sesso biologico». Segue l’elenco dei punti critici di tale percorso fittiziamente terapeutico: «La diagnosi di “disforia di genere” in età prepuberale è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso. Solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione nell’adolescenza, dopo la pubertà. Sospendere o prevenire lo sviluppo psicosessuale di un soggetto, in attesa della maturazione di una sua definizione identitaria stabile, è in contraddizione con il fatto che questo sviluppo è un fattore centrale del processo della definizione. […] Lo sviluppo sessuale del proprio corpo anche quando contraddice un opposto orientamento interno consente un appagamento erotico che un corpo “bloccato” o manipolato non offre. La sperimentazione in atto elude un’attenta valutazione scientifica».