Attentato a Monaco, ancora il jihad delle auto
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Un terrorista si è lanciato con un'auto contro una folla di tedeschi, radunatasi in una piazza centrale di Monaco per uno sciopero. La dinamica è sempre la stessa degli attentati islamici con armi improprie. L'autore un richiedente asilo afgano.
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«L’attentato dimostra che deve cambiare qualcosa in Germania, e in fretta», lo ha detto Söder il presidente della Baviera, mentre correva sul posto. A poche ore dall’inizio della Conferenza sulla sicurezza che riunisce molti leader occidentali, giovedì 13 febbraio, intorno alle 10 del mattino, una Mini Cooper bianca si è lanciata sulla folla a Stiglmaierplatz, dove si stava svolgendo una manifestazione, all’angolo tra Dachauerstraße e Seidlstraße, a Monaco di Baviera. Almeno trenta i feriti ,alcuni gravissimi e tra questi anche un bambino di due anni in pericolo di vita.
L’auto si è lanciata intenzionalmente contro il gruppo di persone mentre era in corso uno sciopero dei dipendenti dell’amministrazione comunale - che chiedevano un aumento di stipendio - indetto dall’Unione dei sindacati del settore dei servizi, Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft - il secondo sindacato più grande della Germania. Viene spesso abbreviato come ‘Ver.Di’, ma che nulla c’entra con il partito dei Verdi o con i gruppi ambientalisti. Lo stesso sindacato che sul numero della sua rivista, a febbraio di un anno fa, scriveva: «l’immigrazione non è un problema».
Ventiquattr’ore dopo, la strada è blindata. Il silenzio copre gli oggetti che i feriti hanno perso mentre venivano investiti. C’è ancora il carrozzino del bimbo investito a raccontare l’ennesima tragedia nel cuore d’Europa. I video diffusi mostrano le grida di dolore, le lacrime, la disperazione di un anonimo giovedì mattina.
Secondo le informazioni del Bild, l’uomo neutralizzato dalle forze è Farhad N. Nato nel gennaio 2001 a Kabul, è arrivato in Germania come richiedente asilo nel 2016, nel pieno della stagione delle porte aperte firmata Merkel. Ma prima era passato per l’Italia. La sua ultima residenza è nel quartiere Laim di Monaco di Baviera. Già noto alle forze dell’ordine per droga e furti, sebbene la sua domanda d’asilo fosse stata respinta, l’afghano godeva del cosiddetto permesso di tolleranza, un provvedimento che sospende l’espulsione.
All’epoca, era un minore non accompagnato, quindi ha potuto godere di tutte quelle agevolazioni a loro destinate - diritto alla protezione internazionale; sistemazione in strutture specializzate; tutela legale, assistenza sanitaria. Secondo Spiegel, l’afghano avrebbe pubblicato post islamici prima dell’attentato. E secondo le indiscrezioni della polizia avrebbe legami con il mondo dell’islam locale. La Germania, non dice perché ha rifiutato l’asilo, ma sappiamo per certo che soddisfa tutti i criteri per rientrare nello stesso schema di politica migratoria folle che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni di attentati terroristici sul suolo europeo.
Anche in questo caso, il presunto autore è un richiedente asilo respinto, quindi qualcuno a cui non è consentito soggiornare in Europa. Di nuovo, qualcuno noto alla polizia che non rispetta le leggi.
E, ancora una volta, si tratta di un’auto sulla folla. Basta un breve salto indietro nel tempo per arrivare al 20 dicembre scorso, quando a Magdeburgo, un saudita di 50 anni ha lanciato una Bmw contro la folla al mercatino di Natale, causando la morte di cinque persone, tra cui un bambino, e ferendone 200. Speculare al tristemente famoso attentato di Berlino del 2016, quando il richiedente asilo tunisino, si lanciò contro il mercatino di Natale Breitscheidplatz provocando 13 morti e circa sessanta feriti. Ma soprattutto la Germania, conta l’ennesimo attentato terroristico in pochi mesi. Il 22 gennaio ad Aschaffenburg, ancora in Baviera, un afgano di 28 anni, attaccava con un coltello un gruppo di persone in un parco, uccidendo un uomo di 41 anni e un bambino di due anni, e ferendo gravemente altre due persone. Come il siriano ventiseienne che lo scorso 23 agosto, a Solingen, accoltellava diverse persone durante un evento pubblico, uccidendo tre persone e ferendone otto, con tanto di rivendicazione Isis.
È in questo contesto molto travagliato oltre Reno che domenica 23 febbraio si terranno le elezioni legislative anticipate. Il tema dell’immigrazione è stato presente durante tutta la campagna. Ed è destinato ad essere l’unico ago della bilancia dopo i fatti di queste ore. Considerando anche che, a fine gennaio, il Bundestag respingeva la proposta di legge dei conservatori per una stretta alla politica migratoria.
Specie se si pensa, tra l’altro, alla misura presa dalle autorità tedesche contro i recenti attentati: campagne di sensibilizzazione sull’uso dei coltelli. Perché se qualche terrorista islamico non fosse ancora a conoscenza dei pericoli che seguono l’accoltellare qualcuno, la campagna di sensibilizzazione glielo farebbe sapere. E forse sarà stata la stessa a indurre l’attentatore di Monaco ad utilizzare un’auto anziché un coltello.
È certo, però, che accurate istruzioni per l’impiego di auto come “arma mortale contro i crociati” erano contenute nel numero del 2014 del magazine dell’Isis Rumiyah. «Se non potete far scoppiare una bomba o sparargli, trovate un […] infedele e […] investitelo con un’automobile […]», scriveva al-Adnani - il portavoce dell’Isis, tra gli ideatori dell’attentato del Bataclan del 2015 - in un proclama che ispirò il sempreverde “terrorismo veicolare”. È la tattica di lanciare veicoli contro edifici e persone adottata da terroristi islamici, non per forza addestrati, e definita “Vehicle Ramming” (speronamento) da cui “Vehicular Terrorism” (terrorismo veicolare).
Per anni la Germania è stata dipinta come il buon samaritano d’Europa, il Paese generoso che trasformava in risorse gli immigrati dall’alto del suo essere una potenza economica capace di tendere due mani e far fruttare l’immigrazione.
Mentre le prospettive di una reale integrazione sono ormai utopia, il Paese si confronta con le centinaia di migliaia di richiedenti asilo nascosti un po’ ovunque e la pressione sempre maggiore dell’opinione pubblica esasperata dalle tensioni sociali crescenti per scoprirsi più fragile che mai. È il prezzo del multiculturalismo.