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100 ANNI DI CALVINO / 23

Al bivio tra "Gli amori difficili" e quelli impossibili

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I protagonisti dei racconti pubblicati nel 1970 perlopiù non si incontrano. Come Arturo ed Elide, che, nonostante le difficoltà poste dalla routine quotidiana, tuttavia esprimono il desiderio di incontrarsi.

Cultura 06_11_2023

Amori tragici e impossibili sono l’oggetto di gran parte della letteratura occidentale. Che Calvino abbia raccontato Gli amori difficili ma quotidiani è una grande novità della letteratura contemporanea. Poesia e romanzi della tradizione riguardano più amanti irraggiungibili che mogli e mariti. Grandi opere che hanno posto a tema il rapporto matrimoniale hanno spesso avuto protagonisti infelici incorsi in una morte prematura o che hanno atteso per tanto tempo l’amato sposo.

Tra gli amori tragici tutti ricordano la storia di Giulietta e Romeo, sposatisi di nascosto e morti poco dopo, senza poter coronare il sogno di un amore felice; o la sventurata Didone che, perduto il primo marito Sicheo, ha di nuovo creduto all’amore, sposando lo straniero Enea, ma, straziata di dolore alla partenza di lui, sceglie il suicidio; o la vicenda di Paolo e Francesca, cognati, che cedono alla tentazione dell’amore adulterino e che, colti in flagrante, vengono uccisi da Gianciotto.

L’elenco degli amori impossibili è inenarrabile: Petrarca ama Laura, ma percepisce questo stesso amore come un peccato che si sana solo con la morte di lei; Orlando impazzisce d’amore per Angelica che convola a nozze con Medoro; Tancredi, ignaro, uccide in duello l’amata Clorinda; Ortis si suicida perché non può amare Teresa che è promessa sposa di Odoardo.
La poesia occidentale, dai provenzali in poi, ha cantato l’amore di un uomo che persegue una donna irraggiungibile, non si è mai soffermata sull’amore quotidiano, compagno della vita, nelle gioie e nelle asperità.

Tra i pochi che hanno cantato l’amore coniugale non si può non ricordare Chrétien de Troyes che in Erec et Enide racconta di un cavaliere che, sposatosi, vuole mostrare di essere ancora in grado di compiere le prodezze cavalleresche, perché il vincolo matrimoniale non è di ostacolo.

Le famiglie non sono certo protagoniste delle opere letterarie. Tra le poche che si stampano nella mente del lettore per la felicità di cui è espressione c’è quella del sarto, descritta nel capitolo XXIV de I promessi sposi. Il sarto è il marito della donna del paese in cui è in visita pastorale il cardinale Federigo Borromeo, incaricata di far compagnia e dar sollievo a Lucia, appena liberata dall’Innominato. Il sarto e i figli tornano da messa e «si fermano un momento a dare un’occhiata curiosa a Lucia, poi corrono alla mamma, e le s’aggruppano intorno: chi domanda il nome dell’ospite sconosciuta, e il come e il perché; chi vuol raccontare le maraviglie vedute: la buona donna risponde a tutto e a tutti con un – zitti, zitti –». La scena è vivace e realistica e documenta che i figli non sono estranei alla genuina carità dei genitori; ne prendono parte con la curiosità e lo stupore tipici dei bambini.

Nel Novecento italiano Saba e Montale dedicano tanti versi all’amore coniugale. Il primo canta l’amore della vita, Lina, che è non solo moglie, dotata di spirito di abnegazione e di sacrificio, ma anche madre della sua Linuccia. Il secondo mette al centro delle sezioni Xenia la sua Drusilla Tanzi, cantata col nome di Mosca, compagna nel cammino verso il destino in una sorta di catabasi contemporanea nei versi Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. 

Calvino intitola una raccolta di racconti Gli amori difficili. Le storie, scritte tra il 1949 e il 1967, vengono pubblicate nel 1970 per conto di Einaudi, suddivise in due sezioni: la prima, più lunga, intitolata Gli amori difficili come il libro, comprende tredici vicende; la seconda, La vita difficile, ha al suo interno due lunghe storie (La speculazione edilizia e La nuvola di smog).

Sono per lo più storie in cui i protagonisti del rapporto sentimentale non si incontrano, come se l’impossibilità di incontrarsi rappresentasse addirittura la nota fondamentale dell’amore. Calvino le chiama «avventure»: un soldato, un bandito, un bagnante, un impiegato, un fotografo, un viaggiatore, un lettore, un miope, una moglie, due sposi, un poeta, uno sciatore, un automobilista.

Le storie raccontate contraddicono quasi il significato del termine «avventura»: advenio vuol dire in latino «mi reco incontro», «mi imbatto», «trovo qualcosa lungo il cammino». L’avventura richiama quindi la dimensione dell’incontro, ma anche quella dell’imprevisto. Nelle vicende Calvino più che raccontare incontri documenta situazioni di difficile comunicazione o di silenzio o ancora tentativi di camminare con l’altro nel percorso della vita ostacolati dalla complessa routine della quotidianità.

Esemplare al riguardo è L’avventura di due sposi. Un operaio, Arturo Massolari, rincasa dopo il turno di notte verso le sette del mattino, quando suona la sveglia della moglie Elide. I due sposi non sono mai in sincronia. Quando una si alza, l’altro va a letto. Quando l’operaio la guarda, lei non si è ancora pettinata e truccata e appare «in disordine, con la faccia mezz’addormentata». «Quando due hanno dormito insieme è un’altra cosa, ci si ritrova al mattino entrambi dallo stesso sonno, si è pari». La moglie chiede al marito che tempo faccia e lui risponde con i suoi brontolii: «il percorso in bici, il tempo trovato uscendo di fabbrica […] e le grane sul lavoro».

Mentre lui si lava per ripulirsi dello sporco dell’officina, lei si prepara per andare al lavoro. Sembra giunto il tempo della confidenza in cui si insinua una carezza e si può cedere ad un abbraccio, quando la moglie si avvede dell’orario ormai tardo e corre a vestirsi di fretta, si infila il cappotto, dà un bacio al marito e corre giù dalle scale. Arturo segue i passi di lei, i movimenti, il rumore del tram. S’immagina Elide in mezzo alla folla di operai e di operaie. Poi va finalmente a dormire anche lui, spostandosi poco a poco dalla parte dove ha dormito la moglie, «in quella nicchia di tepore» che conserva «ancora la forma del corpo di lei» e affonda «il viso nel suo guanciale, nel suo profumo».

Quando la moglie torna verso sera, Arturo ha già svolto alcuni lavori. Elide trova «tutto malfatto». Il marito segue una sorta di rituale, in attesa dell’arrivo della moglie, quasi un andarle incontro, «pur restando tra le pareti di casa». Attende anche il suono del passo di lei, differente da quello del mattino, appesantito ora dalla stanchezza del lavoro. Le si fa poi incontro sul pianerottolo, l’aiuta a portare la spesa e iniziano a parlare. Preparano da mangiare per la cena e per il giorno dopo.

Nonostante il desiderio di stare insieme, forte è anche il rischio di urtarsi e «di dirsi qualche parola brutta», perché lei vorrebbe Arturo più attento e preciso nei mestieri domestici, più affettuoso e più attaccato a lei, mentre lui è già con la mente al lavoro. A cena i due sono dispiaciuti del fatto che abbiano così poco tempo per stare insieme, quasi non riescono a mangiare per il desiderio «di star lì a tenersi per mano».

Quando abbraccia la moglie, prima di salutarla, solo allora Arturo sembra comprendere  quanto è «tiepida e morbida la sua sposa». Elide scuote la testa, vedendo i mestieri svolti dal marito; poi va a dormire coricandosi dalla parte del marito, ma si accorge che anche lui ha dormito dalla parte di lei e per questo prova «una grande tenerezza». Tutta l’avventura dei due sposi è tenera, perché, nonostante le difficoltà che la coppia attraversa, dovute alle vicissitudini quotidiane, i due protagonisti manifestano il desiderio di incontrarsi.  
 



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È il 1953, Italo Calvino è segretario di seggio al Cottolengo-Piccola Casa della Divina Provvidenza. Quell’esperienza lo segna profondamente. Dieci anni più tardi, non più iscritto al PCI, esce “La giornata di uno scrutatore”. Il protagonista rivela la crisi del suo credo illuministico davanti ai deboli del Cottolengo e alle suore che li assistono, per i quali gratitudine e amore hanno una sola sorgente: Dio.
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