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LETTERA DELLA COMECE

Aborto e Polonia, i vescovi contro il bullismo targato UE

Con una lettera al presidente dell’Europarlamento, David Maria Sassoli, i vescovi della Comece hanno criticato la Risoluzione del 26 novembre 2020 che prende di mira la Polonia per le sue decisioni pro vita. La missiva smonta, Trattati alla mano, le falsità contenute nel documento approvato da 455 eurodeputati. E ricorda che l’aborto non rientra nelle competenze dell’UE e che la vita dei nascituri va protetta sempre.

Attualità 27_02_2021

La vita nascente va protetta sempre e l’aborto è una materia che non rientra nelle competenze dell’Unione Europea. Con una lettera breve ma argomentata in modo incisivo, indirizzata al presidente del Parlamento Europeo, David Maria Sassoli, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (Comece) ha espresso la propria preoccupazione per i contenuti della Risoluzione del 26 novembre 2020 sul «Diritto all’aborto in Polonia».

Ricordiamo che quella risoluzione, approvata a larghissima maggioranza (455 sì, 145 no, 71 astenuti), è diretta a stigmatizzare le misure a difesa di vita e famiglia adottate di recente in Polonia e, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale polacca che lo scorso 22 ottobre aveva dichiarato incostituzionale l’aborto eugenetico, ossia praticato in caso di probabili gravi malformazioni nel nascituro. La risoluzione del 26 novembre arriva perfino ad affermare che il ritardo e la negazione del «diritto umano» all’aborto «possono equivalere a tortura e/o a trattamenti crudeli». E alla luce di questa e altre chicche, mai suffragate dai trattati maldestramente richiamati nella medesima risoluzione, si spinge ad esortare la Commissione Europea «a garantire la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti includendo il diritto all’aborto nella prossima strategia europea in materia di sanità». Se tale strategia si concretizzasse sarebbe un vero abuso di potere, che colpirebbe non solo la Polonia bensì la possibilità dei vari Stati membri di resistere all’agenda abortista comunitaria (e mondiale).

I vescovi europei hanno quindi deciso di intervenire: «La Chiesa Cattolica, la quale si sforza di sostenere le donne in situazioni di vita derivanti da gravidanze difficili o indesiderate, richiama alla protezione e alla cura di tutta la vita nascente. Ogni persona umana è chiamata in vita da Dio e ha bisogno di protezione, soprattutto quando è più vulnerabile», si legge nella lettera, che porta la firma del presidente della Comece, l’arcivescovo di Lussemburgo e cardinale Jean-Claude Hollerich, e degli altri quattro vescovi membri del Comitato permanente della stessa Comece, i monsignori Mariano Crociata (primo vicepresidente), Franz Josef Overbeck, Noel Treanor, Jan Vokál (vicepresidenti).

La missiva, recante la data del 22 febbraio, prosegue sottolineando l’errore di fondo della risoluzione dal punto di vista giuridico, consistente nel fatto che «né la legislazione dell’Unione Europea, né la Convenzione Europea dei Diritti Umani prevedono un diritto all’aborto. La questione è di competenza dei sistemi giuridici degli Stati membri». I vescovi ricordano che «un principio fondamentale dell’Unione europea è il principio di attribuzione, in base al quale l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze a lei conferite dagli Stati membri nei trattati, per raggiungere gli obiettivi in essi stabiliti (articolo 5.2 del Trattato sull’Unione europea)».

Poiché il rispetto del principio di attribuzione «è, a sua volta, un requisito dello Stato di diritto», i vescovi hanno gioco facile a mettere in luce la contraddizione in cui cadono gli europarlamentari che hanno votato la risoluzione: quest’ultima, infatti, bersaglia la Polonia sull’aborto parlando di «attacco» e «collasso» dello Stato di diritto; ma la Comece, da parte sua, evidenzia a ragione che «lo Stato di diritto richiede anche il rispetto delle pertinenze degli Stati membri e delle scelte da essi operate nell’esercizio delle loro esclusive competenze». Touché. A questo riguardo va ricordato che l’espressione «Stato di diritto» è usata in modo sempre più ossessivo in seno alle istituzioni comunitarie (lo si è visto di recente con il diffuso ostracismo verso Polonia e Ungheria e la questione della “condizionalità” dei fondi europei) quale pretesto per far avanzare ovunque, chiamiamolo così, lo «Stato dei nuovi diritti».

Incoraggia quindi la presa di posizione della Comece, ed è tanto più significativa se si considera che il suo presidente, monsignor Hollerich [nella foto], ha una convinta visione europeista e a livello ecclesiale può essere fatto rientrare tra i “progressisti” (come certamente anche mons. Overbeck), al lordo dell’approssimazione che queste categorie sempre comportano. Si può comunque notare che sarebbe stato opportuno almeno un accenno esplicito sulla famiglia naturale e i suoi presupposti, visto che la risoluzione attacca in più punti la Polonia anche sul fronte delle rivendicazioni Lgbt.

Detto questo, nella lettera dei vescovi c’è poi un altro richiamo importante, di nuovo con inclusa citazione del pertinente riconoscimento giuridico: «La COMECE è altresì allarmata dal fatto che la risoluzione sembri contestare il diritto fondamentale all’obiezione di coscienza, che deriva dalla libertà di coscienza (articolo 10.1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Ciò è particolarmente preoccupante, se si considera che nel settore sanitario gli obiettori di coscienza sono, in molti casi, oggetto di discriminazione».

A proposito di «non discriminazione» e «parità di trattamento», va detto che pure queste espressioni vengono più volte pretestuosamente usate nella risoluzione. Perciò, i vescovi scrivono: «Siamo preoccupati che il principio di non discriminazione possa essere usato per estendere o offuscare i limiti delle competenze dell’Unione europea. Questo infrangerebbe inoltre l’articolo 51.2 della Carta dell’Unione europea […]».

L’ultimo, specifico, rilievo della Comece riguarda un altro punto inquietante della risoluzione dell’Europarlamento: «Abbiamo anche notato con amarezza - affermano i vescovi, mantenendo sempre toni moderati - che nel testo nessuna condanna o tantomeno solidarietà è stata espressa riguardo agli inaccettabili attacchi alle Chiese e ai luoghi di culto, avvenuti in Polonia nel contesto delle proteste legate a questa legge», fin dalle ore immediatamente successive alla suddetta sentenza di ottobre della Corte costituzionale.

In quegli attacchi, alimentati da una regia internazionale, gruppi di Lgbt e abortisti avevano impedito la celebrazione di Sante Messe, imbrattato e devastato chiese, vandalizzato statue di san Giovanni Paolo II, urlato slogan contro il clero, eccetera, senza dimenticare le violenze generali al di fuori dei luoghi di culto. Ebbene, la risoluzione approvata da 455 europarlamentari solidarizza con i manifestanti… senza muovere loro alcuno appunto. Il che contribuisce a fomentare le rivolte e nuove persecuzioni.

I vescovi concludono facendo presente a Sassoli e implicitamente all’intero Europarlamento che «la risoluzione avrà un impatto fortemente negativo sul modo in cui l’Unione è percepita dagli Stati membri». Continuerà il bullismo istituzionale di un’Ue che rinnega proprio le radici europee o i giusti richiami dei vescovi saranno ascoltati?