A destra e a sinistra ci si riposiziona dopo le europee
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Il voto di giugno non ha scalfito la solidità del governo ma ha avuto effetti all'interno di entrambi gli schieramenti: assestamenti nella maggioranza e una rivoluzione all'opposizione. E Renzi rilancia il campo largo.
Chi sosteneva che le elezioni europee del mese scorso non avrebbero avuto riflessi sugli equilibri politici nazionali è stato smentito dai fatti. Apparentemente ha avuto ragione perché la solidità del governo non è stata in alcun modo scalfita. I tre partiti che lo sostengono sono usciti nel complesso rafforzati o stabili dall’appuntamento con le urne per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, ma al loro interno e nei rapporti con gli alleati si stanno in qualche modo riposizionando.
Stessa cosa sta accadendo a sinistra, dove la situazione è però ben diversa: c’è il Pd di Elly Schlein che ha ben figurato nel voto europeo ma c’è anche un Movimento Cinque Stelle in crisi di identità e in caduta libera. E i vari cespugli centristi, divisi tra loro, si mostrano irrequieti e incapaci di aggregare.
Partiamo dal centrodestra, dove Giorgia Meloni, che continua a crescere nei sondaggi, sfiorando ormai il 30%, ha tenuto fede all’impegno preso con gli elettori e non ha votato Ursula von der Leyen alla guida della commissione Ue. Secondo alcuni, questo voto potrà avere effetti negativi sull’Italia, nel senso che potrebbe isolarla, ma questo è tutto da dimostrare, visto e considerato che la von der Leyen ha ricevuto un’investitura debole, figlia di un compromesso tra perdenti, e non è detto che la sua navigazione alla guida dell’organo esecutivo dell’Ue risulti agevole come quella degli ultimi cinque anni. In caso di inciampi di Ursula, il premier italiano potrebbe rivendicare il merito di aver contestato fin da subito la sua riconferma e di essersi opposta al metodo seguito per rimettere insieme i cocci della maggioranza precedente.
In questo modo la Meloni si rafforza in Italia, tanto più perché evita di lasciare alla Lega di Salvini il monopolio dell’opposizione al nuovo governo europeo, considerato il fatto che Forza Italia ha invece appoggiato convintamente il bis di Ursula e ha criticato Fdi e Lega per non aver fatto altrettanto.
Ma se nella maggioranza che sostiene la Meloni a Palazzo Chigi si può parlare di semplici assestamenti, con rapporti di forza abbastanza stabili, nel centrosinistra sembra prepararsi una vera e propria rivoluzione.
Il Pd di Elly Schlein che veniva dato per morto un anno fa ora sembra in ripresa e in grado di fungere da calamita per le altre forze di quell’area politica. Giuseppe Conte, dopo la sonora sconfitta grillina alle europee, ha abbassato la cresta e rinunciato definitivamente alle sue ambizioni di premiership. Il Movimento Cinque Stelle in Europa ha aderito alla famiglia socialista e quindi ha implicitamente confermato di voler provare anche in Italia a realizzare il famoso campo largo.
Ma la novità non è tanto questa e cioè il fatto che i rapporti di forza tra pentastellati e dem siano ormai definiti e che il candidato premier del centrosinistra alle prossime politiche dovrà necessariamente essere espressione del Pd in quanto forza trainante della coalizione. Il vero segnale politico su questo versante l’ha lanciato ancora una volta Matteo Renzi, dichiarando la sua disponibilità ad aderire al campo largo, che pure aveva sempre escluso. In un’intervista al Corriere della Sera il leader di Italia Viva ha ammesso che l’unica strada per tentare di battere la Meloni è quella di unire tutte le forze di centrosinistra attorno a un progetto alternativo a quello dell’attuale premier e dunque ha dichiarato la sua disponibilità ad aderirvi.
Dopo aver realizzato e distrutto il cosiddetto Terzo Polo, Matteo Renzi prova a riposizionarsi, puntando ad essere determinante per una ipotetica vittoria futura del centrosinistra, sia attraverso le sue truppe di Italia Viva sia attraverso i suoi fedelissimi che ancora gli giurano fedeltà dentro il Pd. In verità, però, dentro Italia Viva non tutti sono entusiasti di andare con i Cinque Stelle.
Dal canto suo Carlo Calenda, che pure aveva sempre escluso alleanze con i Cinque Stelle, sarà probabilmente costretto ad intrupparsi in una coalizione allargata a tutte le anime del centrosinistra, altrimenti si condannerebbe all’irrilevanza.
Tuttavia, le reazioni alla nuova e imprevista sortita renziana sono contrastanti. Se il leader di Azione chiude (per ora) all’ipotesi di centrosinistra allargato e attacca il suo ex compagno di viaggio («Matteo si alleerebbe con i nazisti dell’Illinois»), Conte si dice scettico («La politica è una cosa seria») e Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, frena («L’unità va praticata, vediamo nelle Regioni»).
Nulla lascia presagire scossoni nella politica italiana, a parte le cicliche inchieste giudiziarie che investono governatori regionali e sindaci di città importanti. Questo significa che l’opposizione ha tre anni per riorganizzarsi e tentare di rinverdire la tradizione che dal 1994 al 2013 ha sempre visto destra e sinistra alternarsi alla guida del Paese. Va detto che tre anni in politica sono un’eternità e quindi è un po' incauto azzardare previsioni. Di sicuro risulterà decisiva la scelta della legge elettorale. In base a quella gli schieramenti potrebbero riorganizzarsi, soprattutto il centrosinistra, che solo con l’ammucchiata tra tutte le sue componenti può sperare di vincere.
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