Zen trova un difensore a Roma: il cardinal Filoni
Il processo a Hong Kong contro il cardinale Joseph Zen è, in realtà, un monito affinché nessuno si senta al riparo dalla scure del regime. La gestione vaticana del caso provoca malumori anche in casa nostra, ma il cardinal Fernando Filoni scende in campo per denunciare le ingiustizie subite dal confratello cinese: “la Cina e la Chiesa hanno in lui un figlio devoto”.
Il processo a Hong Kong che vede tra gli imputati il cardinale novantenne Joseph Zen è stato rinviato di una settimana rispetto alla data prevista del 19 settembre. Il motivo è la malattia del giudice che presiede questo processo, Ada Yim Shun-yee, che ha contratto il Covid. All’inizio si pensava ad un rinvio di soli due giorni ma evidentemente le condizioni di salute del giudice hanno richiesto un rinvio più lungo.
Il processo ad una figura di così alto profilo come quella del cardinale, più che una punizione per quello che avrebbe fatto, è un avvertimento per tutti: qualunque sia la loro posizione, non devono sentirsi al riparo dalla legge. E questo in teoria sarebbe anche giusto – se si compie un atto criminoso si deve essere puniti a prescindere dal proprio prestigio sociale – a condizione però di chiarire bene cosa intendiamo per “atto criminoso” ed essere sicuri che la magistratura giudichi secondo la legge e non per assecondare una certa agenda dettata da ragioni politiche. Tutti sperano che Hong Kong dimostri che l’indipendenza tra i poteri sia ancora attiva.
C’è da dire che questa vicenda sta causando malumori anche a casa nostra, persino dietro le mura vaticane, dove non pochi mostrano il proprio disappunto per come il Vaticano sta trattando la questione. Sicuramente il tema sarà stato oggetto di discussioni riservate fra i rappresentanti della Santa Sede e il Vescovo di Hong Kong, Stephen Chow, che in questi giorni si trova a Roma per alcune questioni legate al suo ministero episcopale e che ha dovuto prolungare la sua presenza in Italia, anche lui per via del Covid. C’è da dire che al momento dell’arresto e del rilascio del cardinale Zen, c'erano il vescovo Chow e il suo vescovo ausiliare. Hanno visitato il cardinale per sincerarsi delle sue condizioni di salute e per mostrare il proprio sostegno personale e quello della diocesi.
Ma anche tra la gerarchia vaticana c’è chi si fa sentire, come il cardinale Fernando Filoni, che certamente conosce bene la situazione di Hong Kong e in una lettera ad Avvenire del 23 settembre, tra l’altro, afferma: «Il suo rispetto e il sostegno alla persona è sempre stato il pilastro della sua visione umana e sacerdotale, e così lo è fino a oggi, anche se in Hong Kong in questi giorni è tratto in giudizio. L’integrità morale e ideale furono ritenute di altissimo livello quando Giovanni Paolo II lo nominò vescovo e Benedetto XVI lo creò cardinale. Qualcuno lo ritiene caratterialmente un po’ spigoloso. E chi non lo sarebbe davanti ad ingiustizie e davanti alla rivendicazione della libertà che ogni autentico sistema politico e civile dovrebbe difendere? Devo testimoniare ancora due cose: il cardinal Zen è un “uomo di Dio”; a volte intemperante, ma sottomesso all’amore di Cristo, che lo volle suo sacerdote, profondamente innamorato, come Don Bosco, della gioventù. Per essa è stato un maestro credibile. Poi è un “autentico cinese”. Nessuno, tra quanti ho conosciuto, posso dire essere veramente “leale” quanto lui! In un processo, la testimonianza è fondamentale. Il cardinal Zen non va condannato. Hong Kong, la Cina e la Chiesa hanno in lui un figlio devoto, di cui non vergognarsi. Questa è testimonianza alla verità».
Certo, è una bella testimonianza da parte del cardinale Filoni, che da monsignore visse a Hong Kong per otto anni al servizio della Santa Sede. Anche a livello internazionale c’è apprensione per questo processo e ammirazione per l’indomito spirito cristiano di questo anziano guerriero della fede.