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IL BUON USO DELLE PAROLE / 23

Wojtyła ai polacchi, quando un discorso cambia la storia

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Ci sono discorsi che hanno contribuito a cambiare il corso della storia. Tra essi va ricordato certamente quello di san Giovanni Paolo II nella sua visita del 1983 alla Polonia. Parole attualissime.

Cultura 30_09_2024

Alcuni personaggi nella storia dell’umanità hanno lasciato ai posteri discorsi memorabili che hanno inciso sulla mentalità comune e sulle vicende storiche successive. Alcuni uomini hanno infiammato il popolo con l’accento di verità delle loro parole e l’hanno portato a prendere una coscienza più profonda dell’aspirazione dell’animo umano. Costoro hanno saputo unire le loro capacità retoriche alla tensione al bene e all’ideale che li muoveva. Da qui sorge il fascino dei loro discorsi.

Pensiamo a Martin Luther King che usò la parola «sogno» per richiamare tutti gli uomini a ricordarsi del destino buono cui tutti sono chiamati. Le sue parole I have a dream divennero emblema di un cammino da intraprendere insieme ad altri: con un popolo. Pensiamo al discorso di Nelson Mandela dopo la vittoria elettorale dell’African National Congress il 2 maggio 1994: il Sudafrica era uscito dall’Apartheid, per la prima volta veniva eletto un presidente di colore che chiamava tutti alla riconciliazione e a lavorare insieme.

Pensiamo a san Giovanni Paolo II che il 18 giugno 1983 parlava ai suoi connazionali in occasione della sua seconda visita alla Polonia. Già nel 1979 il Papa aveva visitato la sua terra. L’anno seguente nacque il sindacato indipendente Solidarność («Solidarietà»). L’iscrizione in massa dei lavoratori portò alla sua messa fuorilegge e alla carcerazione dei suoi capi. L’attentato del 13 maggio 1981 non fermò il Papa che appunto, due anni più tardi, si recò di nuovo in Polonia. A Czestochowa, nel santuario di Jasna Gora, si radunò più di un milione di persone per ascoltarlo. Il popolo polacco da sempre aveva invocato e pregato la Madonna nera, l’antica icona, nei momenti di difficoltà. Sentiamo l’afflato con cui il Papa si rivolgeva ai giovani: «La Signora di Jasna Gora è maestra del bell’amore per tutti. E questo è particolarmente importante per voi, cari giovani. In voi, infatti, si decide quella forma d’amore che avrà tutta la vostra vita e, tramite voi, la vita umana nella terra polacca. Quella matrimoniale, familiare, sociale, nazionale, ma anche sacerdotale, religiosa, missionaria. Ogni vita si determina e si valuta mediante la forma interiore dell’amore. Dimmi qual è il tuo amore, e ti dirò chi sei».

Il futuro della Polonia si decide nella scelta per l’amore operata da quei giovani presenti alle parole del Papa. E la risposta all’amore risiede nella veglia, nell’attesa. «Cristo molte volte dice: “Vegliate”» (Mt 26, 41). Vegliare significa essere uomini di coscienza e chiamare «per nome il bene e il male». Il male deve prima di tutto essere vinto in noi stessi, non negli altri. Nella sua terra, in cui erano così evidenti il potere dell’ideologia totalitaria comunista e le conseguenze da esso provocate, il Papa sottolinea il metodo (ovvero la strada corretta) per la lotta contro il male: ciascuno deve lasciare spazio al bene dentro di sé («elaboro in me il bene, e cerco di correggermi dal male, superandolo in me stesso»).

Il male c’è. Non si può vivere con l’ingenuità di chi guarda il mondo, la realtà e sé stessi come se non esistesse:

«Questo è un problema fondamentale, che non si potrà mai sminuire, né spostare su un piano secondario. No! Esso è dappertutto e sempre un problema di primo piano. È tanto più importante, quanto più numerose sono le circostanze che sembrano favorire la nostra tolleranza del male e il fatto che facilmente ci assolviamo da esso, specie se così fanno gli adulti».

Sono parole di un’attualità sconcertante, che dovrebbero accompagnare i commenti delle tragedie quotidiane di cui sentiamo parlare. Ecco la rivoluzione di Cristo: amare il prossimo, desiderare il bene prima nel proprio cuore e da sé stessi. La lotta non è contro l’altro uomo, ma contro il male:

«Ciò dovete esigere da voi stessi, anche se gli altri non lo esigessero da voi. Le esperienze storiche ci dicono quanto costò a tutta la Nazione l’immoralità di certi periodi. Oggi quando lottiamo per la futura forma della nostra vita sociale, ricordate che questa forma dipende da come sarà l’uomo. Dunque: vegliate!»

Cristo l’ha detto agli apostoli nel Getsemani: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione» (Mt 26, 41). Papa Giovanni Paolo II insiste sul verbo «vegliare»:

«Veglio vuol dire inoltre: vedo un altro. Non mi chiudo in me, nella stretta cerchia dei miei propri interessi, dei miei propri giudizi. Veglio vuol dire: amore del prossimo; vuol dire: fondamentale solidarietà interumana».

E ancora, san Giovanni Paolo II approfondisce:

«Veglio significa anche: mi sento responsabile di questa grande comune eredità, il cui nome è Polonia. Questo nome definisce tutti noi. Questo nome obbliga tutti noi. Questo nome costa a tutti noi».

Il popolo polacco non è solo, può confidare nella Madre dell’umanità, la Madonna:

«Miei giovani amici! Davanti alla nostra comune Madre e Regina dei cuori, desidero dirvi, alla fine, che conosce le vostre sofferenze, la vostra difficile giovinezza, il senso di ingiustizia e di umiliazione, la mancanza di prospettive per il futuro tanto spesso sentita, forse le tentazioni di fuga in qualche altro mondo».

Il popolo polacco può confidare nella preghiera del Papa e nella sua costante sollecitudine, anche quando sarà tornato a Roma:

«Anche se non sono tra voi ogni giorno, come in passato succedeva per tanti anni, tuttavia porto nel cuore una grande sollecitudine. Una grande, enorme sollecitudine. Una sollecitudine per voi».

Anni più tardi Lech Wałesa, fondatore di Solidarność, presidente della Polonia dal 1990 al 1995, premio Nobel per la pace nello stesso anno (1983) in cui papa Giovanni Paolo II fece il secondo viaggio apostolico in Polonia, avrebbe lasciato memoria di quella visita e di quegli anni. In un frangente storico in cui 7.500 militanti di Solidarność erano in carcere e il Paese viveva sempre sotto la legge marziale in un’atmosfera cupa, già dalle prime parole all’aeroporto il Papa ricordò i detenuti che non poteva vedere chiedendo loro di essergli accanto nello spirito.

Lech Wałesa ricordava che il Papa lo aveva incontrato il 23 giugno 1983 in un rifugio dei monti Tatra, in una stanza imbottita di apparecchi di intercettazione. Nonostante la scarsità del pane e di libertà, Wałesa era grato alla Provvidenza per la situazione in cui i polacchi si trovavano:

«Ogni giorno, di fronte alle violenze, al male, eravamo chiamati a definirci, a confermare le nostre ragioni. Sapevamo che la ragione era dalla nostra parte, anche se gli altri non volevano riconoscerlo. Ciò liberava in noi un'energia aggiuntiva. […] Durante gli incontri col Papa milioni di persone scandivano nelle piazze: “La Polonia è qui”».

Qualche anno più tardi la votazione del popolo avrebbe portato alla sconfitta del sistema comunista.