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L’INTERVISTA

Vi racconto suor Luisa, parla Sara Fumagalli

Nel giorno dei funerali di suor Luisa Dell’Orto, uccisa ad Haiti un mese fa, il ricordo di Sara Fumagalli, coordinatrice delle missioni di Umanitaria Padana, che con la suora lecchese condivise l’aiuto alla popolazione colpita dal sisma nel 2010. Una testimonianza sull’autentico sviluppo umano che sgorga dalla fede.

Ecclesia 23_07_2022

Nel febbraio 2010, all’indomani del terribile terremoto che sconvolse Haiti, anche l’Italia fece la sua parte per prestare aiuto alla popolazione. Punto di riferimento sul posto per volontari e militari divenne suor Luisa Dell’Orto, uccisa il 25 giugno scorso. A distanza di un mese dal martirio, Sara Fumagalli, coordinatrice delle missioni di Umanitaria Padana onlus, ci offre la sua testimonianza diretta di quei giorni vissuti fianco a fianco con la missionaria figlia di San Charles de Foucauld.

Come sei entrata in contatto con suor Luisa?
Quando partiamo per le missioni, in contesti di guerra o di calamità naturali, c’è sempre qualche intervento provvidenziale. Avevamo imbarcato un bel carico di farmaci a bordo della portaerei Cavour. Al santuario della Madonna del Bosco, a Imbersago (Lecco), parlando con amiche di Lomagna mi dissero che a Port-au-Prince c’era una suora originaria di lì. Chiesi loro un contatto, perché in questi Paesi preferisco sempre appoggiarmi ai missionari, per essere sicura che gli aiuti arrivino a chi ha più bisogno. Parlai con Maria Adele, la sorella di suor Luisa, che poi sarebbe venuta in missione insieme a noi. Quando il Comandante della portaerei Cavour mi chiamò dalla plancia in vista di Haiti chiedendomi se avessi identificato a chi portare gli aiuti, gli risposi che bisognava portarli a suor Luisa Dell’Orto, delle Piccole Sorelle del Vangelo. Suor Luisa divenne così un punto di riferimento anche per i militari italiani, che si affezionarono subito, contraccambiati, a questa santa donna dal carattere operativo, tipico della nostra gente. Noi siamo arrivati poco tempo dopo, con quasi una tonnellata e mezzo di aiuti, su un aereo della Protezione Civile Italiana.

Quale situazione avete trovato all’arrivo?
Al dramma del terremoto si aggiungevano le difficoltà logistiche. Per esempio, portarsi a casa un saccone con 10 kg di riso, come quelli distribuiti dalle grandi organizzazioni internazionali, era impossibile per i terremotati dei quartieri periferici sulle colline. Le suore riuscirono ad organizzare approvvigionamenti e distribuzioni ordinate nel quartiere poverissimo dove vivevano. Suor Luisa andava dai nostri militari a riempire dei sacchettoni di pane che poi veniva spezzato e distribuito ai poveri. L’altra emergenza riguardava l’acqua potabile, si soffriva davvero la sete. È stato straordinario portare l’acqua agli assetati: le suore avevano una cisterna vuota, che abbiamo riempito con l’autobotte dei militari facendoci incredibilmente strada tra le macerie di rue Delmas. Era bello vedere le famiglie venire ad attingere l’acqua alla cisterna delle Piccole Sorelle, una metafora della sorgente d’acqua viva e, del resto, il loro simbolo è il Sacro Cuore.

Che impressione hai avuto al primo incontro con suor Luisa?
Nel video si vede sua sorella che le corre incontro, immagini commoventi che valgono più di quello che possiamo raccontare. Mi avevano colpito la serenità e il sorriso sul volto di suor Luisa, che pure era consapevole dei problemi (anche a livello sociale, era una donna colta, laureata in sociologia) e in fondo era anche lei terremotata. La sua speranza era fondata nel Signore. Sono stata sulla Cavour a coordinare gli interventi con il comandante Reversi e gli uomini del Battaglione San Marco, ma poi ho alloggiato nella casa, lesionata ma non troppo, delle Piccole Sorelle. La mattina presto andavo a Messa insieme a loro, si doveva camminare tanto per raggiungere la chiesa, camminando in mezzo a baracche ed edifici pericolanti, cumuli di macerie talora odoranti di morte, fogne a cielo aperto, passaggi improvvisati, ma anche tanti colori. Suor Luisa si muoveva sicura in quella desolazione, era al contempo dolce e forte e in lei c’era totale assenza di retorica, nessun atteggiarsi – come ho riscontrato anche in altri santi che per grazia di Dio ho conosciuto. Il suo fare era alimentato dalla preghiera, dai sacramenti e dalla comunione ecclesiale. Si prendeva cura dei poveri di Cité Okay, soprattutto dei bambini, ma anche delle sorelle che abitavano con lei, piuttosto anziane (ad eccezione di suor Maddalena, una simpatica missionaria fidei donum ambrosiana che stava con loro per aiutarle in quel periodo). Si prodigò inoltre per condividere gli aiuti provenienti dall’Italia, portandoci a visitare diverse realtà cattoliche in modo che potessimo aiutare anche loro attraverso i nostri militari, i quali, dal canto loro, le ricostruirono la scuola.  Divenne discretamente motore e moltiplicatore di interventi. Per esempio, ai Camilliani abbiamo inviato un grosso radiografo portatile (pensiamo a quanta gente aveva avuto arti schiacciati sotto le macerie). Povera, magrissima, mangiava appena un pugnetto di riso. Viveva davvero da povera tra i poveri, ma senza discorsi ideologici di stampo pauperista.

Da quanto mi dicevi alla profonda fede univa anche uno sguardo altrettanto profondo sul contesto sociale in cui operava.
Quando le chiesi il perché della differenza tra Santo Domingo e Haiti, con gli indici di povertà tra i peggiori del mondo e i blindati dell’ONU per strada, mi spiegò i passaggi storici cruciali del Paese, l’estrema frammentazione della società e l’ulteriore spinta alla disgregazione tra spiritualismi, superstizioni e sette. In questo contesto, per suor Luisa il cattolicesimo costituiva ancora un importante (e forse scomodo) elemento di coesione del popolo di Haiti e un fattore di promozione integrale delle persone e di protezione dei più deboli. Anche la sua analisi sociale scaturiva da una visione di fede, con fondamenta ben piantate nella Dottrina Sociale della Chiesa, lontana da ideologie come, per esempio, la “teologia della liberazione”. Al dinamismo della fede e di una carità fattiva senza protagonismi, suor Luisa univa spirito di collaborazione con chiunque potesse dare una mano e di condivisione con le altre congregazioni presenti sull’isola (Camilliani, Gesuiti, Monfortani, Salesiani, Suore Francescane, di Madre Teresa, eccetera). In altre parole, suor Luisa era una donna ecclesiale, nel cuore della Chiesa cattolica. Sebbene fosse acuta nell’esaminare le situazioni geopolitiche, sapeva che la vera pace e l’autentico sviluppo umano nascono dalla conversione al Signore e per questo la sua opera primaria era l’evangelizzazione. Negli anni ho mantenuto i contatti con lei tramite la sorella Maria Adele, che recentemente mi aveva riportato anche le sue preoccupazioni e richieste di preghiera per l’aumento del caos e delle violenze.

Quando hai saputo della sua morte, quali sono stati i primi pensieri che ti sono venuti in mente?
Ho saputo dell’uccisione di suor Luisa il giorno seguente, mentre stavo guidando, sentendo Francesco parlare di lei e del suo martirio dopo l’Angelus. Sul momento ho provato un moto di rifiuto e incredulità e sono scoppiata in pianto, dovendo accostarmi. Ma in breve le mie lacrime si sono colmate di dolcezza, pensandola in veste candida vicino al suo Signore e alla gloria che aveva coronato la sua vocazione. Suor Luisa è stata uccisa il 25 giugno, anniversario a me molto caro delle apparizioni di Medjugorje, che quest’anno cadeva proprio nella memoria del Cuore Immacolato di Maria, il giorno dopo la Solennità del Sacro Cuore, ed è figlia di San Charles de Foucauld (ucciso in circostanze simili, come ha detto l’arcivescovo Delpini), nonché della Chiesa ambrosiana, fiorita sul culto dei martiri dall’inventio martyrum di Sant’Ambrogio, che anche in tempi recenti ha offerto non pochi tributi di sangue in unione a quello di Cristo, da mons. Salvatore Colombo, a Graziella Fumagalli, a mons. Luigi Padovese ed ora a suor Luisa Dell’Orto. Penso che dovremmo imparare dagli antichi a onorare maggiormente i martiri e a chiedere il loro aiuto in questi tempi difficili per tutti. Suor Luisa ha evangelizzato e dato una testimonianza che certamente non andrà perduta e darà frutto ad Haiti, ma anche noi dobbiamo farci evangelizzare.