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colpi di scena

Venezuela, Urrutia sotto indagine per blindare Maduro

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Il leader dell'opposizione venezuelana è indagato per "cospirazione". Sempre più isolato a livello internazionale, il regime difende con ogni mezzo la vittoria pilotata.

Esteri 27_08_2024

Giorni cruciali per il Venezuela non senza colpi di scena. Ieri, 26 agosto il procuratore penale generale del regime, Tarek William Saab, aveva convocato l'alfiere dell'opposizione di maggioranza, Edmundo González Urrutia, per un'indagine contro di lui, a causa di una presunta "cospirazione" e altri crimini associati alla denuncia di frode elettorale. Ieri stesso, uno dei principali relatori del Consiglio Elettorale Nazionale (CNE), Juan Carlos Delpino, ha pubblicato una dichiarazione in cui dettaglia, passo dopo passo, cosa è successo durante il periodo di preparazione elettorale e nel giorno delle votazioni, affinché si arrivasse alla frode perpetrata dalla dittatura di Maduro, consacrato vincitore senza dimostrare prove attendibili. Domani, 28 agosto, invece sono state convocate nuove manifestazioni in tutto il Paese per chiedere le dimissioni dell’usurpatore Maduro e favorire il cambio democratico di regime. I dati ufficiali delle repressioni infatti contano 27 morti e diverse migliaia di incarcerati tra coloro che hanno partecipato alle 1.311 manifestazioni e proteste contro il colpo di Stato.

Il regime sta superando il ridicolo, con la convocazione del vincitore accusato di reati elettorali da coloro che hanno falsificato i risultati delle urne per rimanere al potere. Paradossalmente, la Procura sta indagando sul sito web, descritto anche da noi in precedenza, in cui l’opposizione ha pubblicato «l'83,5% dei verbali originali, in copia fotostatica» delle elezioni presidenziali del 28 luglio, dimostrando l’ampia vittoria di Edmundo González Urrutia e smascherando la frode del CNE a favore di Maduro. Venerdì scorso, 23 agosto, il procuratore Saab aveva annunciato la convocazione di González Urrutia per «essere interrogato, in modo consequenziale e successivo, sulla sua responsabilità prima, durante e dopo il 28 luglio, per la sua contumacia, la sua disobbedienza alle autorità», essendo egli indagato penalmente. Ovviamente, per evitare l’arresto, in un video pubblicato ieri sui social network, il leader della principale coalizione di opposizione (PUD), ha dichiarato che si intende «sottoporlo a un colloquio senza specificare in quali condizioni dovrebbe comparire e pre-qualificare i reati non commessi» e che non si consegnerà nelle mani del regime.

Come siamo arrivati a questo punto? Il 23 agosto il Tribunale Superiore venezuelano aveva confermato i dati falsi promulgati dal CNE e la conseguente vittoria pilotata di Maduro. L’incredibile pronunciamento aveva provocato la reazione contrariata di tutti i Paesi americani, 11 dei quali (Argentina, Costa Rica, Cile, Ecuador, Stati Uniti, Guatemala, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay) avevano sin da subito rifiutato la decisione presa a Caracas; l’UE con l’Alto Rappresentante Borrell aveva dichiarato di non riconoscere la decisione e chiesto la pubblicazione degli atti elettorali originali alle autorità venezuelane, trasparenza richiesta anche dal segretario generale dell’ONU Antonio Guterres.

Un segnale chiaro era giunto da Washington dove, il Dipartimento di Stato, con una nota, ha denunciato l’opacità e la poca credibilità del Tribunale Supremo e successivamente anche la vice presidente Kamala Harris aveva  dichiarato la sua completa solidarietà e sostegno alle opposizioni, chiedendo ai militari venezuelani di proteggere il voto popolare. Buon segno, visto che proprio lo scorso 18 ottobre 2023 era stata l’amministrazione Biden ad ammorbidire le sanzioni sul settore petrolifero venezuelano, decise da Trump nel 2019, proprio scommettendo sulla correttezza ed il rispetto delle elezioni del 2024. Ora, dopo l’arroccamento del tiranno, Biden ed Harris vorranno ristabilire le sanzioni o ammiccheranno ancora a Maduro?

Il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Luis Almagro, nei giorni scorsi aveva respinto la sentenza della Corte Suprema del Venezuela (TSJ), denunciandone la «totale opacità». Anche il Messico con il presidente Lopez Obrador si era schierato contro la farsa del regime di Caracas, negando il riconoscimento della vittoria di Maduro sino alla pubblicazione degli atti elettorali verificabili. Sulla stessa linea, dopo due giorni di probabili contatti, una nota congiunta del Brasile di Lula e della Colombia di Petro. I due capi di Stato hanno ribadito che «la credibilità del processo elettorale può essere ripristinata solo attraverso la pubblicazione trasparente di dati disaggregati e verificabili», invitando le parti ad evitare di «ricorrere ad atti di violenza e repressione», sinora compiuti solo da Maduro. Ora con Maduro restano solidali solo i Paesi comunisti di Honduras, Bolivia, Cuba e Nicaragua e la Russia, la Cina e l’Iran.

Ieri l’ennesimo colpo di scena, la lunga e dettagliata dichiarazione di Juan Carlos Delpino, altissimo funzionario del CNE. Una dichiarazione pubblicata sui social ed in parte ripresa in un colloquio con il New York Times, nella quale si dettagliano tutti gli errori in malafede ed i compromessi imposti dal governo per falsare, in ogni caso, i risultati elettorali: la data delle elezioni, troppo ravvicinate; restrizioni ingiustificate al voto dei venezuelani all’estero; assenza degli osservatori internazionali; le irregolari trasmissioni di dati e registri dopo la chiusura dei seggi. Ciononostante, «non c’è alcuna evidenza che Maduro abbia vinto le elezioni». Tutto ciò rende probabile, in occasione della nuova grande manifestazione del 28 agosto, una ondata di repressione significativa da parte di Maduro e delle sue violente bande socialiste.



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