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Sudamerica

Sangue in Venezuela: dopo il golpe, Maduro reprime le proteste

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Almeno sette morti, decine di feriti e settecento arresti in Venezuela ad opera del regime socialista. I manifestanti denunciano il colpo di Stato di Maduro e chiedono il rispetto dei risultati elettorali. Cina e Russia si congratulano con il dittatore, gli USA denunciano i brogli. Ambiguo Borrell per l’UE.

Esteri 31_07_2024

In Venezuela si iniziano a contare i morti tra i sostenitori della democrazia e coloro che richiedono il rispetto della volontà popolare. Almeno sette persone sono state uccise, gli arresti sono diverse centinaia (almeno 700) e, tra essi, anche Freddy Superlano, uno dei leader dell’opposizione. Diverse decine di persone sono rimaste ferite, durante le proteste di domenica, lunedì e martedì in Venezuela, contro il colpo di Stato perpetrato da Nicolás Maduro e dai suoi sodali.

Il bilancio sembra destinato a crescere, visto l’ordine, deliberato ieri da Maduro, di reprimere ogni oppositore. Ieri, martedì 30 luglio, Corina Machado ed Edmundo González hanno convocato una manifestazione nazionale a Caracas nei pressi della sede delle Nazioni Unite per chiedere a Maduro e alla sua cricca di lasciare il potere e rassegnarsi alla volontà popolare, per difendere «in modo civico il trionfo di Edmundo González Urrutia» nelle elezioni di domenica scorsa. Un trionfo comprovato oggettivamente dalle copie dei registri elettorali ufficiali del 73% dei seggi, dai quali risulta una vittoria eclatante del candidato delle opposizioni e la disfatta per Maduro. Per reazione, in tutta fretta, anche i chavisti e socialisti pro-regime hanno riunito migliaia di sostenitori e bande armate a «difesa» del colpo di Stato del tiranno Maduro.

Le opposizioni hanno pubblicato ieri una pagina web dove è possibile, salvo hackeraggi da parte del governo Maduro, prendere atto dei risultati ufficiali dei seggi di gran parte del Paese e, di conseguenza, della frode in atto in Venezuela.

La rinnovata instabilità del Venezuela, le massicce proteste e l’ennesimo colpo di Stato di Maduro, hanno provocato le reazioni di vari Paesi: Stati Uniti, Canada, Regno Unito e molti Paesi dell’Unione europea, ma non la Spagna di Sanchez, ancora silente, e che aveva l’ex premier Zapatero tra gli osservatori speciali delle elezioni. Anche l’alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, Josep Borrell, ex socialista, si è rivelato troppo prudente e incerto nel denunciare il colpo di Stato dell’amico venezuelano e deliberare nuove sanzioni.

Intanto, Cina e Russia si sono congratulate anche ieri con Maduro e hanno chiesto alle opposizioni di accettare il risultato. Dopo gli investimenti cospicui che Mosca e Pechino hanno pattuito con Maduro, anche sul piano militare, non c’era da attendersi nulla di diverso.

Nel continente sudamericano il colpo di Stato di Maduro ha trovato sostegno solo da Honduras, Nicaragua, Cuba, Bolivia e Colombia, mentre Cile, Paraguay, Uruguay, Argentina, Costa Rica, Ecuador e Perù hanno espulso gli ambasciatori venezuelani e richiamato i propri da Caracas per protesta contro l’ennesimo colpo di Stato. Si deve apprezzare la posizione del Brasile di Lula che sinora mantiene, nonostante il suo Partito dei Lavoratori sostenga la democraticità del voto e la piena legittimità di Maduro, una posizione ferma: si mostrino e verifichino i registri elettorali prima di proclamare i risultati.

L’Organizzazione degli Stati americani si riunirà d’urgenza oggi, mercoledì 31 luglio, per discutere una bozza di risoluzione sostenuta da Stati Uniti, Argentina, Canada e Cile, in cui si chiede che il candidato dell'opposizione González Urrutia sia autorizzato a contare ufficialmente i voti ottenuti nelle elezioni e verificarne l’autenticità. Da domenica notte, dopo la decisione truffaldina del Consiglio Elettorale Nazionale di proclamare Maduro presidente della Repubblica per i prossimi sei anni, molti venezuelani hanno inscenato, in molte città del Paese, i cacerolazos, una tradizionale protesta latinoamericana in cui le persone sbattono per la rabbia pentole e padelle. La polizia, con scudi e manganelli a Caracas e Maracay, ha sparato gas lacrimogeni per disperdere le proteste di domenica e lunedì. A Coro, capitale dello stato di Falcón, i manifestanti hanno applaudito e ballato quando è stata abbattuta la statua raffigurante l'ex presidente Hugo Chavez, mentore di Maduro che ha governato e distrutto il Paese dal 1999 al 2013. Secondo quanto riporta il sito sudamericano Infobae, l’Osservatorio venezuelano sui conflitti ha rilevato 187 proteste in 20 Stati con «numerosi atti di repressione e violenza» compiuti da gruppi paramilitari e forze di sicurezza. Ieri ancora una volta il ministro della Difesa, Vladimir Padrino, ha messo in guardia le opposizioni dichiarando che non consentirà il ripetersi delle «terribili situazioni del 2014, 2017 e 2019», quando ondate di proteste antigovernative, dopo le frodi elettorali e le repressioni inumane imposte dal regime chavista, avevano provocato centinaia di morti, senza riuscire però a sloggiare il tiranno Maduro.

Ieri si sono svolte due manifestazioni, quella delle opposizioni nei pressi degli uffici dell’Onu a Caracas e quella dei chavisti e socialisti bolivariani, convocata d’urgenza da Diosdado Cabello, numero due del regime, «per la protezione del Palazzo di Miraflores», sede della presidenza della Repubblica. Maduro ha già assicurato che «la giustizia sarà applicata contro gli autori materiali e intellettuali degli atti di violenza», cioè i vincitori delle elezioni che non si piegheranno al colpo di Stato. Il presidente del parlamento “chavista”, Jorge Rodriguez, ha chiesto l’arresto e la detenzione dei due leader principali delle opposizioni, Edmundo González Urrutia e María Corina Machado. «Con il fascismo non si possono avere contemplazioni, non si dialoga… il fascismo non è perdonato», ha detto Rodriguez.



COMUNISMO LATINO

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