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Vangelo di Marco, prospettiva di Pietro

Un'analisi attenta del testo del Vangelo di Marco fa comprendere come questo Vangelo sia la trasposizione dell'insegnamento di Pietro. Il costrutto letterario di Marco con la narrazione "the plural-to singular" e la frequenza senza pari del nome di Pietro.

Catechismo 08_05_2022
San Pietro

Avevamo tirato in ballo Richard Bauckham, professore emerito di Nuovo Testamento alla University of St. Andrews in Scozia, per la sua attenta analisi dei nomi di persona presenti nei Vangeli (vedi qui), analisi che corrobora la storicità di questi scritti e l’effettiva corrispondenza con il contesto palestinese dell’epoca di Gesù di Nazareth. La monografia di Baukham, Jesus and the Eyewitnesses. The Gospel as Eyewitness Testimony, è in realtà una miniera di contrassegni presenti nei Vangeli, che ne svelano la natura di testimonianza oculare. 

Avevamo dedicato gli ultimi due articoli (vedi qui e qui) alla datazione del Vangelo di Marco ed alla sua connessione con la predicazione di Pietro nella città di Roma, privilegiando le testimonianze esterne. Baukham si concentra invece su un’analisi del testo, ritrovando in esso tracce piuttosto esplicite della presenza petrina nel secondo Vangelo.

Anzitutto un dato numerico significativo. Il nome di Simone o Pietro non solo è il primo a comparire nello scritto marciano (escludendo, ovviamente il nome di Gesù), nel racconto della chiamata dei primi discepoli (cf. 1, 16-20), ma compare per bene 23 volte, con maggior frequenza rispetto agli altri due sinottici. Infatti in Marco il nome di Simon Pietro ricorre ogni 432 parole, mentre in Matteo e Luca rispettivamente ogni 654 e ogni 670. Questo dato di per sé potrebbe non essere così significativo, ma esso dev’essere considerato insieme ad altre due caratteristiche specifiche del più breve dei Sinottici.

Recuperando un vecchio studio di C. H. Turner, Marcan Usage: Notes Critical and Exegetical, on the Second Gospel (in «The Journal of Theological Studies» 26 [1925], 225-240), Baukham mette sotto la lente di ingrandimento un costrutto letterario tipico di Marco, che egli battezza come “the plural-to-singular narrative device”. Si tratta di ventun passi nei quali un verbo alla terza persona plurale, senza un particolare soggetto, è seguito immediatamente da un verbo al singolare o da un pronome che si riferisce solo a Gesù. Un paio di esempi possono aiutare a comprendere. L’episodio dell’indemoniato di Gerasa viene introdotto così: «Intanto giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni. Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto...» (5, 1-2). Altro esempio: «La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame» (11, 12). Si può vedere il passaggio improvviso dal plurale, senza un riferimento preciso ad un soggetto, sebbene sia chiaro il riferimento ai discepoli, al singolare, riferito a Gesù.

Questa costruzione letteraria si ritrova ogni volta che vengono introdotti spostamenti o movimenti di Gesù e dei suoi discepoli. Secondo Turner e Bauckham, la terza persona plurale sarebbe la modifica operata da Marco alla narrazione di Pietro, che invece utilizzava la prima plurale; un “noi” utilizzato «da un testimone oculare “al quale il plurale veniva naturale, essendo egli stesso un protagonista degli eventi che riporta”» (Jesus and the Eyewitnesses, 158). Questa caratteristica marciana «rende opportunamente come prospettiva dominante (focalizzazione interna) nel racconto evangelico la prospettiva di Pietro e di coloro che erano a lui più vicini. E così permette ai lettori di condividere la prospettiva di un testimone oculare sugli eventi che la testimonianza di Pietro incarna» (p. 164).

Il ricorso all’espediente narrativo “the plural-to-singular” non significa però che Marco abbia semplicemente trascritto la predicazione orale di Pietro, correggendo la prima persona plurale con la terza; neppure, all’opposto, bisogna considerarlo come un mero artificio letterario. Si tratta invece di una spia importante per capire che Pietro è la principale fonte testimoniale utilizzata dall’evangelista, concordemente all’antichissima testimonianza di Papia.

Un altro aspetto di notevole rilevanza è la singolare caratterizzazione che Pietro trova nel secondo Vangelo, dove Pietro si staglia su tutti gli altri protagonisti, eccetto Gesù, per le note della sua individualità, al punto che di lui si è tracciato un identikit di personalità, riconoscendolo come un uomo sanguigno, di iniziativa, a volte troppo impulsivo, leale ma troppo sicuro di sé, etc. Bauckham fa nel contempo notare che la persona individua di Pietro emerge sempre nel contesto del gruppo dei discepoli, salvo che nell’episodio del rinnegamento. Si prendano, per esempio, la professione di fede (8, 27-33), l’episodio della trasfigurazione (9, 5-6) o la predizione del rinnegamento (14, 27-31). In questi racconti la figura di Pietro si distingue non secondo delle coordinate di introspezione psicologica o di memoria autobiografica, ma sempre come voce individuale all’interno del gruppo dei discepoli.

L’effetto di questo fenomeno è ben spiegato da Bauckham: «Quando Pietro assume il ruolo di una persona nominata in una scena, ai lettori o agli ascoltatori viene assegnata in modo più esplicito la prospettiva di Pietro sugli eventi. Ora essi guardano non semplicemente dall’interno del gruppo dei discepoli, ma con un discepolo che in quel momento è distinto dagli altri. Essi guardano non solo Gesù ma anche gli altri discepoli dal punto di vista di Pietro» (p. 168).

Si tratta di un’altra caratteristica che segnala il punto di vista di Pietro, “dietro” alla narrazione di Marco. La prospettiva del “noi” tramite la struttura narrativa del “the plural-to-singular” e la prospettiva dell’“io” nei casi in cui Pietro emerge individualmente nel gruppo dei discepoli, unite al primo elemento che abbiamo rilevato, ossia la singolare frequente presenza di Simon Pietro in questo Vangelo, concorrono a confermare che il Vangelo di Marco presenta «in misura molto maggiore degli altri una prospettiva petrina sulla storia di Gesù» (p. 171). Non solo, ma proprio la duplice prospettiva narrativa del “noi” e dell’ “io” fanno comprendere che dietro il Vangelo di Marco non si nascondono dei meri ricordi autobiografici del primo degli Apostoli, ma la sua predicazione. Esso riflette «il modo con cui Pietro [...] ha trasmesso il corpo di tradizioni di testimoni oculari che lui e gli altri membri dei Dodici avevano ufficialmente formulato e promulgato» (p. 180) e nel contempo conserva anche dettagli della personalità di questo speciale testimone.