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ORA DI DOTTRINA / 17 - IL SUPPLEMENTO

Dai nomi di persona e di luogo la prova della veridicità dei Vangeli

Una conferenza del professor Peter J. Williams spiega molto bene come sia possibile avere prova che i vangeli siano stati scritti da testimoni oculari, basandosi sulla frequenza dei nomi di persona e di luogo. Solo chi conosceva bene i fatti poteva essere così preciso. Cosa che non sono, ad esempio, i vangeli apocrifi.

Catechismo 27_03_2022
La sinagoga di Cafarnao

Un attento lettore ha segnalato e tradotto un’interessantissima conferenza che il prof. Peter J. Williams, dal 2007 direttore della Tyndal House, il noto centro di ricerche di studi biblici di Cambridge, tenne nel 2011 alla Lanier Theological Library, in Texas. La conferenza, dal titolo New Evidences the Gospel were based on Eyewitness Accounts (qui il video in inglese), venne poi ripresa e tradotta in francese ne Les Nouvelles, bollettino trimestrale dell’Association Jean Carmignac (numeri 58-65, disponibili qui).

Il suo intervento richiama e commenta alcuni capitoli del volume Jesus and the Eyewitnesses. The Gospels as Eyewitness Testimony (1° ed. 2006, 2° ed. ampliata 2017) del prof. Richard Bauckham, esperto di Nuovo Testamento, Senior Scholar al Ridley Hall di Cambridge, e Visiting Professor al St. Mellitus College di Londra; capitoli nei quali viene proposta un’interessantissima analisi dei nomi propri di persona e di città presenti nei quattro Vangeli.

Williams mette in luce che la percentuale di diffusione dei nomi presenti nei quattro Vangeli corrisponde a quella degli stessi nomi nella Palestina dal 330 a. C. al 200 d. C. Secondo la lista dei nomi ebraici del periodo indicato, compilata da Tal Ilan, professoressa di Studi ebraici all’Università di Berlino nel Lexicon of Jewish Names in the Late Antiquity, sulla base degli scritti del Nuovo Testamento, quelli del Mar Morto, delle opere di Flavio Giuseppe, nei sepolcri, nei testi ritrovati a Masada e altri scritti rabbinici, si troverebbe, per esempio, che i nomi di Simone e Giuseppe, che risultano i più diffusi, con il 15,6% di presenza, nei Vangeli e negli Atti corrispondono al 18, 2% dei nomi di persona menzionati. Detto in altre parole, all’epoca, 16 persone su cento portavano questi nomi, probabilità confermata nel Nuovo Testamento, dove sono 18 su 100. Inoltre nove nomi maschili più diffusi (oltre il 41%), secondo il Lexicon, occupano il 40% dei nomi menzionati del Nuovo testamento.

Si tratta dunque di un dato di estremo realismo dei Vangeli, il cui valore può essere ulteriormente apprezzato se si considera anche un altro dettaglio. Si tratta della presenza del fenomeno di disambiguazione, che fa comprendere la preoccupazione dell’evangelista di voler distinguere per il suo lettore personaggi che portavano lo stesso nome. I Vangeli offrono la disambiguazione proprio di quei nomi che risultavano tra i più diffusi in Palestina, mentre invece non troviamo qualificativi aggiunti per quei nomi che erano meno frequenti. Casi di disambiguazione si ritrovano, per esempio, con il nome “Simone”, del quale si offre la specificazione “Pietro/Cefa”, oppure “Zelota/Cananeo”, oppure “il lebbroso” o anche “di Cirene”. Per non parlare di Maria, che è il nome femminile più diffuso sia nel Lexicon che nei Vangeli, della quale si specifica “di Magdala”, o “di Cleofa”, o “madre di Giacomo e Giuseppe”.

La disambiguazione è invece assente nel caso di Filippo e di Bartolomeo, che infatti figurano rispettivamente solo al 61° e al 50° posto nella lista dei nomi più diffusi. E’ un dettaglio? Sì, ma un dettaglio che indica che gli evangelisti hanno raccontato una storia vera, offrendo al destinatario precisazioni assolutamente “naturali” per chi ha visto e udito, ma che al contrario esporrebbero un falsario alla possibilità di smentita. Di certo nei vangeli canonici non figurano racconti approssimativi, dai ricordi sbiaditi, ed ancor meno inventati; in quel caso sarebbe stato meglio restare piuttosto vaghi. A meno che gli autori dei Vangeli non abbiano premesso una statistica della nomenclatura del loro tempo, per “inventare” in un modo così geniale da nascondere anche le più piccole tracce del loro inganno...

Un altro aspetto di grande interesse riguarda l’utilizzo del nome di Gesù/Giosué. Nel Lexicon esso figura come il sesto nome più utilizzato. Ed infatti gli evangelisti riportano che le folle lo chiamano disambiguando il suo nome. Non si riferiscono a Lui nominandolo semplicemente Gesù, perché molte persone portavano quel nome, ma lo distinguono aggiungendo “il Nazareno”, “il Galileo”, “il profeta”, “chiamato il Cristo”, etc. Un dettaglio significativo, che fa apparire ancora una volta il realismo della narrazione: Gesù all’epoca doveva essere distinto dai tanti Gesù o Giosué viventi.

L’aggiunta dell’attributo “Cristo” come disambiguazione, nei quattro Vangeli è praticamente assente; lo si trova invece in riferimento alle dispute e alle professioni di fede relative al fatto se Egli sia o meno l’unto, l’inviato del Signore atteso da Israele. Gli evangelisti si riferiscono a Lui chiamandolo con il semplice nome Gesù (eccetto, come si è visto, quando riferiscono della folla). Al contrario, il nome “Cristo” è più comune negli scritti non cristiani - come, per esempio, Plinio il Giovane o Flavio Giuseppe -, nelle lettere di San Paolo e negli scritti apocrifi. Così Williams riassume questo fenomeno: «molto presto, il nome “Cristo” è divenuto maggioritario, sebbene “Gesù” sia stato il nome originario. Si deve quindi concludere che, se i Vangeli fossero stati scritti più tardi, avrebbero ben potuto e dovuto, anch’essi, non servirsi della parola “Gesù”, che invece citano ed usano correttamente. D’altra parte, i gruppi lontani dall’origine del cristianesimo l’omettono molto facilmente, com’è il caso del vangelo di Pietro e di quello di Maria».

Non solo i nomi propri di persona, ma anche quelli di luogo mostrano la familiarità degli evangelisti con la realtà geografica ove si svolge la vicenda terrena di Gesù. I quattro Vangeli riferiscono di 12-14 località differenti, citando ovviamente con più frequenza Gerusalemme (66 volte), Nazareth (21) e Cafarnao (16). Il confronto con gli apocrifi è particolarmente illuminante. Infatti questi scritti non nominano mai le località palestinesi, con la sola eccezione del Vangelo di Filippo che menziona Gerusalemme e Nazareth, e quelli di Pietro e del Salvatore (la sola Gerusalemme). Spiega Williams: «di tutti i nomi di città correttamente collocati, non ne troviamo che uno nei sedici primi vangeli apocrifi e principali frammenti, ed è Gerusalemme, la capitale di tutta la regione. Cosa che, bisogna ammetterlo, non è certo indice di buona conoscenza geografica. Al contrario, nei nostri quattro evangelisti, non sono soltanto i nomi delle città ad essere menzionati, ma anche quelli di luoghi come il “Golgota”, i nomi dei fiumi, etc.». Gli evangelisti forniscono anche dettagli di queste città: se sono collocate sulle sponde del Mare di Galilea, se si sale o si scende per andare ad esse, se si trovano oltre il fiume Giordano, etc.

In pratica, gli apocrifi costituiscono una «vera e propria conferma» dell’autenticità dei quattro Vangeli, «perché ci fanno vedere quel che avverrebbe se gli autori inventassero le loro storie», citando in modo scarno o omettendo del tutto precisi riferimenti geografici, semplicemente perché non sono in grado di riferirli, in quanto lontani temporalmente e/o geograficamente dalle vicende storiche. Al contrario è stato calcolato che nei Vangeli canonici ricorrono da 4,6 a 4,9 nomi di luogo ogni mille parole, mostrando così un’alta frequenza di questi dettagli ed anche una sostanziale omogeneità tra i quattro evangeli comparati tra loro.

Siccome il falsario lo si riconosce proprio nei dettagli, gli evangelisti possono serenamente essere assolti.