Una cristiana condannata in Iran per “attività cristiane sioniste”
La donna si era convertita al Cristianesimo mentre si trovava in Malesia dove era emigrata ed è stata condannata per atti contro la sicurezza nazionale
Il 16 marzo scorso Laleh Saati, una donna iraniana di 25 anni, è comparsa davanti al giudice Iman Afshari del Tribunale rivoluzionario di Teheran per rispondere dell’accusa di “attività cristiane sioniste” fuori dall’Iran ed è stata condannata a due anni di carcere e al divieto per due anni di viaggiare una volta scontata la pena per aver “agito contro la sicurezza nazionale”. Laleh Saatisi era trasferita in Malesia, ma nel 2017 era tornata in patria perché non riusciva a ottenere asilo e le era anche stato rifiutato il ricongiungimento famigliare con i genitori. Nel frattempo aveva abbandonato l’Islam, si era avvicinata al Cristianesimo ed era stata battezzata. Più volte, da quando era in Iran, era stata convocata e interrogata da agenti dell’intelligence finché il 13 febbraio è stata arrestata mentre si trovava a casa di suo padre, a Ekbatan, un sobborgo di Teheran e rinchiusa nel carcere di Evin, prima nell’ala sotto la giurisdizione del ministero dell’intelligence e poi nel reparto femminile dove è stata sottoposta a ripetuti interrogatori. Le sue attività cristiane sarebbero dimostrate da fotografie scattate in Malesia e da un video del suo battesimo. Raggiunto dall’agenzia di stampa AsiaNews, Mansour Borji, direttore dell’organizzazione non governativa Article 18 impegnata nella difesa della libertà di religione in Iran dalla sua sede di Londra, ha confermato un aumento dei cristiani vittime di arresti e condanne “per la sola pratica del culto, in patria o all’estero, o per essersi convertiti dall’Islam”. Molti casi però non vengono denunciati dalle vittime che temono di peggiorare la loro situazione se viene pubblicizzata. Prima di respingere le richieste d’asilo degli iraniani, ha commentato, le autorità per l’immigrazione di tutto il mondo dovrebbero tener conto della situazione in cui vengono a trovarsi se rimpatriati. Si è anche detto meravigliato della rapidità del processo contro Laleh Saati.