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IL PUNTO SULLA GUERRA

Ucraina verso il tracollo. Una sconfitta anche per l’Occidente

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USA e UE si stanno progressivamente smarcando dalla loro propaganda e dagli aiuti all’Ucraina che, dopo il fallimento della controffensiva, si avvicina alla sconfitta. Intanto la Russia torna sulla scena internazionale e va verso le elezioni.

Attualità 09_12_2023
Zelensky (21 nov 2023, foto Ap by LaPresse)

La Russia torna improvvisamente protagonista della scena diplomatica internazionale. Dopo la partecipazione di Vladimir Putin al G20 virtuale (in teleconferenza) del 27 novembre, nei giorni scorsi il presidente russo si è recato in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti confermando gli stretti rapporti con i vertici del modo arabo con intese in ambito petrolifero (per mantenere alti i prezzi del greggio) ma anche militare e diplomatico.

Russia e Cina potrebbero infatti avere un ruolo rilevante nella definizione del futuro della Striscia di Gaza, una volta terminata l’operazione militare israeliana, coinvolgendo la Turchia e lasciando “fuori fai giochi” un Occidente (USA ed Europa) che avrebbe voluto emarginare la Russia ma che invece rischia di trovarsi isolato. Tema al centro anche della visita del presidente iraniano Ebrahim Raisi, arrivato ieri a Mosca per incontrare Putin, con cui ha affrontato anche diversi altri dossier, inclusa la cooperazione militare dopo le forniture di droni iraniani a Mosca e di aerei da combattimento ed elicotteri russi a Teheran. La guerra in Ucraina ha del resto determinato l’evoluzione in vera e propria alleanza delle relazioni russo-iraniane mentre la mediazione cinese, che ha normalizzato i rapporti tra monarchie arabe del Golfo e Iran, ha creato il contesto ideale per intese a tutto campo che vedono marginalizzato il ruolo occidentale.

Il ritorno della Russia sulla scena internazionale coincide poi con il progressivo tracollo dell’Ucraina nel conflitto in atto da 22 mesi e con il crescente distacco di USA ed Europa da Kiev. Della guerra in Ucraina la gran parte dei nostri media non parlano più non perché sia più rilevante il conflitto a Gaza ma perché le notizie da riferire sarebbero pessime per gli ucraini e i loro alleati (cioè noi) e perché gli stessi media e leader politici che ci hanno “bombardato” per due anni di ridicola propaganda ucraino-euro-atlantista sono oggi in difficoltà a far combaciare le loro fake-news con la cruda realtà dei fatti. Ricordate? Le nostre sanzioni avrebbero dovuto distruggere l’economia russa in poche settimane e, del resto, le truppe di Mosca erano senza missili, senza munizioni (combattevano con le pale!), non avevano razioni di cibo, rubavano le schede elettroniche dagli elettrodomestici ucraini per metterle nei missili, e altre “perle” con le quali ci hanno deliziato tanti leader in Europa, a cominciare da Ursula von der Leyen e Mario Draghi.

La realtà è invece ben diversa. Il fallimento della controffensiva scatenata il 4 giugno scorso e costata secondo diverse fonti oltre 100 mila morti e feriti agli ucraini ha demoralizzato l’esercito ucraino, costretto a ripiegare su diversi fronti e carente di munizioni e rifornimenti, mentre a Kiev si accentua lo scontro politico tra Volodymyr Zelensky e il capo delle forze armate, generale Valery Zaluzhny. Collaboratori del presidente ucraino parlano apertamente dell’accordo mediato dalla Turchia che avrebbe fatto cessare il conflitto a fine marzo 2022 ma che Gran Bretagna e Stati Uniti sabotarono imponendo all’Ucraina di continuare la guerra che avrebbe «logorato la Russia», la cui economia oggi cresce invece del 2,2% (fonte: Fondo Monetario Internazionale) a differenza dell’economia recessiva dell’Europa.

Mosca ha fissato per il 17 marzo le elezioni presidenziali che Zelensky ha annullato in Ucraina perché «c’è la guerra». Ci si attende che il presidente russo rinnovi la sua candidatura: a 71 anni, ha diritto teoricamente a restare al Cremlino per altri due mandati di sei anni ognuno, cioè fino al 2036. In settembre, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che se Putin decidesse di candidarsi per un nuovo mandato, «nessuno sarà in grado di competere con lui nella fase attuale». E la vittoria in Ucraina non farebbe che aumentare il suo prestigio in Russia come in tutto il mondo.

A conferma di come i media statunitensi incrementino le critiche a Kiev e ai suoi leader per preparare il terreno allo sganciamento di Washington dal conflitto, a fine novembre Newsweek ricordava in un commento che l’Ucraina non può essere considerata democratica poiché Zelensky ha soppresso i partiti di opposizione, chiuso tv e giornali incarcerando giornalisti e vietato le elezioni. Tutto vero, ma la gran parte di questi atti antidemocratici li ha compiuti nella primavera 2022, quando chi lo evidenziava veniva bollato come «filorusso e putiniano». Perché Newsweek e altri media statunitensi se ne accorgono solo ora? Forse perché le incombenti elezioni per la Casa Bianca impongono agli USA di defilarsi dal conflitto?

Sui fronti ucraini, i russi ancora non hanno scatenato offensive su vasta scala ma avanzano regolarmente di uno o due chilometri al giorno su quasi tutti i fronti e in particolare nel Donbass, da Kupyansk a Siversk, da Bachmut a Vuhledar. La roccaforte di Marinka è ormai in mani russe, se si escludono alcune postazioni alla periferia ovest ancora in mano agli ucraini. Avdiivka, probabilmente la città del Donbass maggiormente fortificata dagli ucraini, è ormai circondata con l’impossibilità di rifornire la guarnigione e con la zona industriale in mano ai russi.

Il calo degli aiuti occidentali sta impoverendo la linea dei rifornimenti delle truppe ucraine. Fonti statunitensi hanno riferito alla Abc che le munizioni giunte a Kiev sono calate del 30 % da quando Washington deve rifornire anche le forze israeliane, ma il 7 dicembre il Kiel Institute for the World Economy (IfW Kiel), ha reso noto che «le dinamiche del sostegno all'Ucraina sono rallentate» e «hanno raggiunto un nuovo minimo tra agosto e ottobre 2023, con un calo di quasi il 90% rispetto allo stesso periodo del 2022».

Per Christoph Trebesch, capo del team che ha realizzato lo studio Ukraine Support Tracker, «le prospettive non sono chiare, dal momento che il più grande impegno di aiuti in sospeso - da parte dell'Unione Europea - non è stato approvato, e gli aiuti da parte degli Stati Uniti sono in calo. I nostri dati confermano l'impressione di un atteggiamento più esitante da parte dei donatori negli ultimi mesi. Data l'incertezza su ulteriori aiuti statunitensi, l'Ucraina può solo sperare che l'UE approvi finalmente il pacchetto di sostegno da 50 miliardi di euro annunciato da tempo. Un ulteriore ritardo rafforzerebbe chiaramente la posizione di Putin». Il grafico presente nel rapporto (vedi in fondo) fotografa impietosamente come il flusso di aiuti a Kiev abbia raggiunto il culmine nel giugno di quest’anno, guarda caso in concomitanza con l’avvio della controffensiva, il cui fallimento è stato rapidamente recepito dall’Occidente, che nei mesi immediatamente successivi ha ridotto al lumicino gli aiuti. In Italia «si sta valutando l'ipotesi» di un nuovo pacchetto di aiuti militari all'Ucraina, ha detto ieri il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Le bugie di Ue e Nato sugli aiuti militari e il «sostegno a Kiev fino alla vittoria» hanno le gambe davvero molto corte. Consegnati solo 300 mila del milione di proiettili d’artiglieria promessi, molte nazioni hanno cessato di fatto di inviare armi e munizioni (Italia inclusa) per ragioni ben illustrate dal ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, che in un’intervista ha evidenziato come le scorte cedibili si sono esaurite e i piani industriali per nuove produzioni richiedono anni.

La consapevolezza della sconfitta si sta affermando anche in Germania dove nei giorni scorsi Die Welt ha titolato “Kiev ha già perso?” un articolo sul fallimento delle forze armate ucraine al fronte, sul fallimento della strategia di Kiev e sullo scontro interno all’Ucraina Zelensky-Zaluzhny. Anche dagli USA giungono pessime notizie. È stato annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari da appena 175 milioni di dollari che include munizioni per i sistemi Himars, armi anticarro e antiradar, ma al Senato di Washington i repubblicani del Senato hanno bloccato il pacchetto di aiuti militari per Ucraina, Israele e Taiwan sostenendo che bisogna rafforzare la difesa dei confini meridionali statunitensi dai flussi migratori clandestini.

In questo contesto fa quasi sorridere l’ultima lista della spesa presentata dall’Ucraina al Pentagono e resa nota dall’agenzia Reuters in cui Kiev chiede cacciabombardieri F/A-18 “Hornet”, droni armati ed elicotteri Apache e Blackhawk. Armi del valore di molti miliardi che gli ucraini non hanno mai utilizzato e che in ogni caso richiederebbero anni per diventare operative.