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Tutti contro Orban per coprire il vuoto di Ursula

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A Strasburgo va in scena il “j’accuse” di von der Leyen e soci contro il premier ungherese, presidente di turno del Consiglio europeo. Quando gli argomenti scarseggiano si monta la polemica.

Politica 10_10_2024
(AP Photo/Jean-Francois Badias) Associated Press/LaPresse

Scontro all’arma bianca a Strasburgo, Ursula e deputati della “sua” maggioranza attaccano a testa bassa Orban che, invece di discutere del programma e delle iniziative del semestre di presidenza ungherese, è costretto a buttarsi nella mischia della polemica politica.

Intelligentemente però Viktor Orban con il team della presidenza di turno ungherese aveva tenuto un’ampia conferenza stampa martedì per descrivere ciò che era stato fatto e gli intenti dei mesi futuri della propria presidenza, con particolare riguardo alla competitività, alle migrazioni irregolari, all’inclusione dei Paesi del Balcani. A tale conferenza stampa, un giovane leader della sinistra ungherese, tale Màrton Gyekiczki, aveva cercato di interrompere l’incontro con la stampa, accusando Orban di aver svenduto il Paese a Russia e Cina e tentando di aggredirlo fisicamente. Un brutto episodio, indicativo del clima irrespirabile già visto anche prima con le aggressioni e i tentati omicidi di Berlusconi (2009), Bolsonaro (2018), Fico (2024), Trump (2024). Ieri, durante il dibattito nell’emiciclo del parlamento, nessun rappresentante delle istituzioni europee, né dei partiti tradizionali, ha avuto il coraggio di esprimere solidarietà ad Orban e disappunto per l’accaduto.

Non si era mai visto un dibattito come quello di mercoledì 9 ottobre nel Parlamento europeo. Per l’ennesima volta, dalla vittoria di patrioti, conservatori e sovranisti del giugno scorso, ci tocca descrivere una “prima volta” delle istituzioni europee, laddove ieri la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha voluto attaccare vergognosamente a testa bassa e con superficiali e puerili argomenti Viktor Orban, nella sua veste di presidente di turno del Consiglio europeo. La furia che ha caratterizzato la polemica, irriguardosa per le stesse istituzioni, della presidente von der Leyen era evidentemente concordata con tutti i leader dei gruppi politici che la sostengono: Popolari, Socialisti, Verdi e Sinistre.

Nonostante Orban abbia ribadito le priorità del semestre di presidenza ungherese, i pericoli che trascinano con sé le guerre in corso, la declinante competitività, le sfide delle migrazioni illegali, la necessità di un “cambio di passo” e ribadito i prossimi appuntamenti e possibili accordi al summit europeo informale sulla competitività dell’8 novembre e la necessità di far decollare un summit annuale dei Paesi Schengen, la polemica è stata innescata dalla presidente von der Leyen, intervenuta subito dopo il Primo ministro ungherese.

Gli applausi e la standing-ovation dopo l’intervento di Orban, colorati dal coretto che inneggiava alla “Bandiera Rossa” dei deputati di sinistra, si sono ripetuti a seguito dell’intervento della von der Leyen, a riprova di come la presidente della Commissione si comporti ormai da capopolo politico, più che garante dei Trattati e leale collaboratore del Consiglio europeo. Von der Leyen ed i capigruppo di Popolari (Manfred Weber), Socialisti (Iratxe García Pérez), Renew-Liberali (Valérie Hayer), Sinistre (Martin Schirdewan) e Verdi (Tineke Strik) hanno seguito lo stesso copione ed enumerato un elenco di accuse infondate e facilmente smentite con dati ed elencazione di fatti dal presidente ungherese nella sua replica.

Tutti si sono rivolti al «popolo ungherese» assicurando l’impegno a contrastare Orban per difendere la libertà dei cittadini, tutti hanno accusato il governo di Budapest di sostenere la Russia contro l’Ucraina, invocare la competitività ma non assecondare il centralismo proposto da Draghi e Letta, combattere l’immigrazione ma, allo stesso tempo, favorire il rilascio di criminali trafficanti di uomini ed, infine, tutti hanno promesso impegno istituzionale e politico per favorire un nuovo governo, proseguire il boicottaggio della presidenza ungherese, perseguirne la fantomatica corruzione e bloccare i fondi europei verso Budapest. Ennesima riprova della mancanza di rispetto per lo “Stato di diritto”, la “democrazia” e il voto dei popoli sovrani, allorquando il vincitore non si adegui al centralismo e alle voglie di burocrazie, lobby ed élite politiche europee.

Ciononostante Orban nella sua replica è uscito più che vincitore, è stato puntiglioso, preciso ed efficace rispondendo con i dati di fatto alle menzogne, smascherando le bugie rivoltegli e snobbando il povero vicepresidente della commissione Maroš Šefčovič che gli aveva rivolto parole concilianti a nome della Commissione,  dopo il maleducato abbandono dell’emiciclo da parte della von der Leyen. Socialisti, Verdi, Liberali e Sinistre e persino i Popolari, dismettendo il proprio rispetto per le istituzioni, hanno dimostrato il totale disinteresse per il programma e le iniziative del semestre di presidenza europea dell’Ungheria, ennesima prova di ridicola ed irresponsabile debolezza e piccineria cui si trascina da troppo tempo l’Europa e le sue istituzioni.

Viktor Orban aveva una sola alternativa alla difesa dalle polemiche: ignorarle e rispondere solo alle osservazioni fatte sul programma del semestre ungherese. Il dibattito sarebbe terminato in pochi minuti, l’ennesimo show vergognoso e stucchevole dei suoi deboli detrattori non sarebbe andato in onda e le istituzioni ne avrebbero guadagnato in credibilità e serietà.



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