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STATI UNITI

Trump grazia 23 pro vita, perseguitati sotto Biden

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Il presidente degli Stati Uniti ha concesso la grazia a 23 attivisti pro vita, perseguiti ingiustamente dall’amministrazione Biden. Ieri la tradizionale March for Life, con decine di migliaia di partecipanti e un videomessaggio di Trump.

Vita e bioetica 25_01_2025
Un momento della Marcia per la Vita, 24/01/2025, Washington (Ap via LaPresse)

Tra gli ordini esecutivi firmati da Donald Trump nei primi giorni del suo secondo mandato alla Casa Bianca, c’è anche quello della grazia concessa a 23 attivisti pro vita ingiustamente perseguiti dal Dipartimento di Giustizia sotto l’amministrazione Biden, per aver manifestato nei pressi o all’interno di cliniche per aborti. «È un grande onore firmare questo», ha detto il presidente degli Stati Uniti, aggiungendo che le suddette 23 persone, diverse anche anziane, non dovevano essere perseguite. Con questo ordine esecutivo – firmato il 23 gennaio, il giorno prima della tradizionale March for Life – Trump ha mantenuto una promessa più volte ripetuta durante la sua campagna elettorale.

In rappresentanza di 21 di questi 23 attivisti, la Thomas More Society aveva inviato la settimana scorsa una petizione circostanziata, con la quale chiedeva al 47° presidente degli USA un «perdono pieno e incondizionato» dei propri assistiti, presentando le informazioni personali di ciascuno di loro e i casi in cui erano stati coinvolti. Questi i nomi dei 21 pro life rappresentati dalla Thomas More Society: Joan Andrews Bell, Coleman Boyd, Joel Curry, Jonathan Darnel, Eva Edl, Chester Gallagher, William Goodman, Dennis Green, Lauren Handy, Paulette Harlow, John Hinshaw, Heather Idoni, Jean Marshall, padre Fidelis Moscinski, Justin Phillips, Paul Place, Paul Vaughn, Bevelyn Beatty Williams, Calvin Zastrow, Eva Zastrow, James Zastrow. Gli altri due attivisti a cui Trump ha concesso la grazia si chiamano Herb Geraghty e Jay Smith.

Particolare il caso di Herb Geraghty. L’uomo – rilasciato dal carcere dopo aver scontato 17 mesi su 27 complessivi di pena – ha deciso di rifiutare la grazia presidenziale perché intende continuare a combattere in tribunale contro la condanna subita. A rappresentare Herb è la Life Legal Defense Foundation, il cui avvocato John Kiyonaga ha detto: «La decisione di Herb di rinunciare alla grazia è una dichiarazione coraggiosa contro i procedimenti giudiziari politicamente motivati che calpestano la libertà di parola e i diritti di protesta pacifica». Una protesta pacifica, va ricordato, mirante a salvare la vita di bambini nel grembo materno.

L’obiettivo di Herb e in generale di tutto il movimento pro vita statunitense è quello di mostrare l’ingiusta applicazione del Face (Freedom of Access to Clinic Entrances) Act, ossia la legge sulla libertà di accesso agli ingressi delle cliniche, approvata sotto Bill Clinton nel 1994, secondo cui è un reato federale tentare di bloccare l’accesso a una clinica per aborti o a un centro per la gravidanza.

Sotto la presidenza di Joe Biden, il Face Act (e non solo) è stato usato come arma politica con una spregiudicatezza mai vista in passato, per punire i pro vita e scoraggiare qualunque tipo di presenza, a difesa dei nascituri, nei pressi delle cliniche per aborti. Basti qui accennare ad alcuni dei casi più eclatanti che hanno reso necessaria la grazia da parte di Trump: vedi Paulette Harlow, settantaseienne con seri problemi di salute, condannata a 24 mesi di carcere federale, con tanto di presa in giro sulla sua fede da parte della giudice Colleen Kollar-Kotelly; Joan Andrews Bell, anche lei di 76 anni, condannata a 27 mesi di carcere; e ancora, Eva Edl, 89 anni, sopravvissuta a un campo di concentramento comunista nella ex Jugoslavia, condannata a tre anni di libertà vigilata. L’elenco potrebbe continuare.

L’ingiustizia è stata tanto più evidente perché sono stati usati due pesi e due misure, come ricordava la petizione della Thomas More Society: «Mentre i procuratori di Biden hanno quasi completamente ignorato gli attacchi incendiari e gli atti vandalici contro centinaia di chiese pro-vita e centri per la gravidanza, hanno perseguitato ferocemente gli americani pro-vita», ottenendo condanne contro di loro grazie a un’interpretazione strumentale del Face Act e, addirittura, del “Ku Klux Klan Act”, una legge conseguente alla guerra civile americana (e che intendeva punire il terrorismo e i linciaggi contro i neri). In quest’ultimo caso le condanne sono state inflitte ai sensi delle disposizioni sui reati gravi che ricadono sotto la voce “Cospirazione contro i diritti”: neanche sotto Clinton e Obama il Dipartimento di Giustizia aveva osato usare questa legge contro gli attivisti pro vita, come invece ha fatto l’amministrazione Biden.

Una chiara persecuzione, dato che i pro life condannati – come ricorda ancora l’organizzazione di giuristi a difesa di vita, famiglia e libertà – «hanno partecipato a una mera disobbedienza civile pacifica, nel solco della tradizione degli attivisti americani per i diritti civili. Azioni pacifiche come queste di solito meritano, nel peggiore dei casi, una condanna per reati minori. Se si fossero opposti a qualcosa di diverso dall’aborto, Joe Biden avrebbe dato loro delle medaglie». Invece, l’ex presidente e i suoi sodali hanno spinto perché questi pro-vita fossero condannati come criminali, accusandoli di reati con pene fino a 11 anni di carcere.

Per di più, questo accanimento ha fatto seguito alla sentenza Dobbs (giugno 2022), in cui la Corte Suprema ha chiarito che non esiste un diritto costituzionale all’aborto. E così, osserva la Thomas More Society, è venuto meno lo stesso scopo dichiarato dal Congresso – proteggere appunto il “diritto” federale di accedere all’aborto – all’epoca dell’approvazione del Face Act. Legge che quindi andrebbe abrogata, ma se ciò avverrà è tutto da vedere.

Alcuni dei pro life graziati da Trump hanno partecipato ieri, a Washington, all’annuale Marcia per la Vita, giunta alla sua 52^ edizione. Decine di migliaia i partecipanti. Al raduno pre-Marcia ha parlato dal palco il vicepresidente J.D. Vance. Da parte sua, Trump si è rivolto ai manifestanti con un videomessaggio, in cui ha tra l’altro ribadito che negli USA non ci sarà «mai più persecuzione religiosa» e che «indagheremo finalmente sugli attacchi ai centri per la gravidanza e alle chiese». Difficile attendersi, ora come ora, restrizioni federali all’aborto, dal momento che Trump in campagna elettorale ha detto – in mezzo ad altre dichiarazioni ondivaghe sul tema aborto – di voler lasciare ai singoli Stati federati la competenza in materia. Ad ogni modo, nel videomessaggio ha assicurato che in questo suo secondo mandato «torneremo a sostenere fieramente la famiglia e la vita», promuovendo anche l’adozione. E ha ringraziato il popolo pro vita per l’impegno a forgiare una società che accolga e protegga «ogni bambino come un bellissimo dono dalla mano del nostro Creatore».