Trump frena sulla causa pro-life, per motivi elettorali
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Donald Trump è stato il presidente più pro-life nella storia recente. Ma in una sua intervista alla Nbc ha deluso i suoi stessi elettori mostrandosi pronto al compromesso e contrario al divieto dopo le sei settimane in Florida.
Marcia indietro di Donald Trump sull’aborto? Nella sua (ormai molto discussa) intervista rilasciata lunedì a Meet the Press della Tv Nbc, il candidato di punta repubblicano si è detto molto contrario alla legge emessa dal suo rivale Ron DeSantis, in Florida, in base alla quale si vieta l’aborto dopo la sesta settimana.
L’ex presidente ha difeso il suo operato, ha dichiarato che, dopo che i giudici supremi hanno ribaltato la sentenza Roe vs. Wade, ora i pro-life hanno la possibilità di battersi, negli Stati, per vietare l’aborto. Ha condannato fermamente l’aborto tardivo voluto dai Democratici, battendosi contro la sua intervistatrice, Kristen Welker, che continuava a interromperlo per negare l’evidenza (e come sempre, quando si tratta di intervistare Trump, il giornalista diventa anche oppositore). Però a domanda sulla possibilità di vietare l’aborto a livello nazionale, non ha dato alcuna risposta. Ha detto semplicemente che “potrebbe convivere” sia con l’attuale sistema in cui sono i singoli Stati a decidere se adottare una legislazione pro-life o pro-choice, sia con un eventuale divieto dell’aborto su scala nazionale. In ogni caso ha risposto che intende riaprire il dialogo “fra le due parti”, fra i pro-life e gli abortisti convinti, per porre fine a questa frattura molto polarizzante. E soprattutto ha definito la legge della Florida un “terribile errore”.
Nella competizione fra candidati repubblicani, in vista delle prossime elezioni primarie, Donald Trump, assieme all’imprenditore Vivek Ramaswamy, è attualmente il meno deciso a porre fine all’aborto. Nella sua intervista parla praticamente da agnostico sulla questione. Il candidato più pro-life è il suo vicepresidente Mike Pence, che è deciso a imporre un divieto su scala nazionale dell’aborto oltre le 15 settimane. Il suo più diretto rivale, Ron DeSantis, con la sua legge che vieta l’interruzione di gravidanza dopo la sesta settimana, ha lanciato un segnale molto chiaro sulle sue intenzioni. Più moderata è Nikki Haley, ex ambasciatrice all’Onu ed ex governatrice della Carolina del Sud, è certamente pro-life anche se ha dubbi sul divieto su scala nazionale, una prudenza dettata dal rispetto dei diritti degli Stati.
Tuttavia Trump ha compiuto un passo ulteriore. Non solo si è detto scettico su un divieto nazionale, ma anche condannato una politica pro-life interna a uno Stato. Possibile che questa sua opposizione sia dovuta solo alla sua rivalità elettorale (e a questo punto, anche personale) con Ron DeSantis? Buttare alle ortiche un tema così importante, identificativo della causa repubblicana ormai, solo per dar torto a un rivale di partito? Dietro alle sue parole c’è sicuramente un calcolo elettorale, ma non limitato alle prossime primarie. L’ex presidente ha evidentemente tastato il polso all’elettorato generale, non solo alla base conservatrice e ha visto che la causa pro-life sta perdendo terreno. Dopo il ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade, quando la decisione sul diritto alla vita del nascituro è tornata ai singoli Stati, si è votato per sei volte. E in tutti e sei i casi ha vinto la causa pro-choice.
Nel corso della sua amministrazione, Donald Trump è stato il presidente che più ha promosso la causa pro-life rispetto a tutti i suoi predecessori, incluso Ronald Reagan. È stato il primo presidente che ha partecipato ad una Marcia per la Vita a Washington. Ha promosso leggi nazionali che contrastano il finanziamento pubblico dei “diritti riproduttivi” in patria e all’estero, a partire dalla riattivazione della Mexico City Policy, dunque lo stop al finanziamento delle Ong che promuovono l’interruzione di gravidanza. Quel che è ancora più importante è stata la nomina, da parte sua, di giudici supremi coerentemente conservatori, gli stessi che poi hanno ribaltato la Roe vs. Wade, la sentenza storica del 1973 con cui era stato legalizzato l’aborto su scala nazionale. Per chi ha seguito Trump negli anni della sua presidenza, dunque, questa sua freddezza sul tema può stupire e deludere. Ma per chi lo conosceva prima delle elezioni del 2016, non c’è nulla di sorprendente. In passato era pro-choice, solo nel 2011, quando per la prima volta accarezzò l’idea di candidarsi con i Repubblicani, si definì pro-life e solo nel 2016 diede così importanza all’argomento.
Certo, si poteva sperare anche in una conversione autentica. In realtà, con questa intervista, dimostra di essere un leader semplicemente pragmatico che fiuta il vento elettorale e lo segue. Come ha cambiato in una direzione lo scorso decennio, potrebbe cambiare ancora per le prossime elezioni. Certo è che, se su Trump si possono nutrire dubbi, su Joe Biden non ce ne sono: è decisamente abortista e sostenuto da un Partito Democratico in cui la causa pro-life si è praticamente estinta. Ed è il candidato cattolico. Questo è il vero paradosso che dovrebbe far notizia.