Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Margherita Maria Alacoque a cura di Ermes Dovico
IMMIGRAZIONE

Tratta del Mediterraneo, un problema ormai solo italiano

Non esiste una gestione europea dell'immigrazione clandestina del Mediterraneo. Solo gli Stati possono proporre soluzioni. Spagna, Malta e Grecia fermano il flusso. L'Italia, con Conte 2 e Draghi, è l'unica eccezione. Letta vuole trasformare la missione navale Irini in soccorso. Farebbe la stessa fine della precedente missione Sophia.

Politica 23_05_2021
Il confine di terra fra Marocco e Spagna

L’Italia continua ad essere non solo la meta preferita dall'immigrazione illegale gestita dalle organizzazioni criminali nel Mediterraneo, ma anche l’unica ad offrire garanzie ai clandestini. Non si tratta solo del frutto del decreto immigrazione che, col voto del PD e M5S, nel dicembre scorso ha consentito al governo Conte 2 di rimuovere i decreti sicurezza firmati da Matteo Salvini, offrendo a chiunque sbarchi clandestinamente un permesso di soggiorno, ma anche dell’impasse dell’attuale governo Draghi che, nonostante le pressioni interne alla maggioranza attuate dalla Lega, e soprattutto dal sottosegretario al ministero dell’interno Nicola Molteni, non sembra voler accennare a svolte significative.

Eppure i flussi sono in rapido aumento e secondo tutte le valutazioni, incluse quelle dell’agenzia europea delle frontiere (Frontex) sono destinati a ingigantirsi solo ed esclusivamente lungo la rotta diretta in Italia del Mediterraneo Centrale. Dall’inizio dell’anno sono sbarcati circa 13.800 clandestini, il triplo dei 4.442 dello stesso periodo dello scorso anno e quasi 11 volte di più dei 1.295 del 2019, con Salvini al Viminale. Anche l’appello di Roma all’Europa per condivisione dei flussi e la ridistribuzione dei migranti sbarcati si è risolto nell’ennesimo flop con la simbolica disponibilità della sola Irlanda a ospitare 10 migranti illegali che abbiano diritto a chiedere asilo.

Eppure quanto sta accadendo nel Mediterraneo mostra chiaramente che le uniche risposte efficaci ai traffici di esseri umani sono quelle che giungono dai singoli Stati. Malta non ne accoglie, neppure risponde alle richieste di sbarco delle Ong e ha stretto nell’agosto 2020 un accordo con Tripoli e la Turchia i cui dettagli non sono noti, ma che, di fatto, lascia che i barconi alla Guardia Costiera libica li riporti indietro. La Spagna rimpatria i clandestini in Marocco e Algeria e respinge con la forza dei reparti militari coloro che sono entrati illegalmente a Ceuta. Mentre la Grecia attua da tempo respingimenti in mare nelle acque turche e pone regole e paletti sempre più severi alle Ong.

In questo contesto l’Italia resta l’unico “bengodi” del Mediterraneo per clandestini e trafficanti e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo sbarco a Pozzallo degli oltre 400 clandestini a bordo della nave della Ong tedesca Sea Eye la dice lunga circa la disponibilità dell’Europa ad aiutare l’Italia: nave tedesca di una Ong tedesca sbarca in Italia (e solo in Italia) clandestini raccolti in acque SAR (ricerca e soccorso) di dipendenza libica e maltese. Meglio dunque riconoscere che, al di là delle chiacchiere (“l’Italia non può essere lasciata sola” ha ripetuto la commissaria europea Yiva Johannson), la Ue e le Ong perseguono il vecchio disegno di trasformare l’Italia in un campo profughi e in molti, a Roma, sembrano concordare con questo disegno suicida per gli interessi nazionali.

Lo conferma anche l’ennesima iniziativa del Partito Democratico che di fronte al riesplodere dei flussi migratori illegali ha visto il segretario Enrico Letta, al termine di un incontro con l’Alto Rappresentante Ue, Josep Borrell, chiedere «un cambiamento delle politiche europee, un rafforzamento delle politiche di salvataggio e soccorso, attraverso per esempio un cambiamento della missione dell’operazione Irimi. Chiediamo che ci sia una maggiore capacità dei Paesi Ue di compartecipare nella condivisione delle ricollocazioni e nella condivisione di questi temi». L’operazione navale europea Irini, da 14 mesi, si occupa di monitorare violazioni o possibili violazioni dell’embargo sulle armi alle fazioni libiche e contrastare il contrabbando di petrolio libico. Le operazioni navali si svolgono per lo più al largo delle coste della Libia orientale e a sud di Creta, area marittima necessariamente attraversata sia dai mercantili diretti nei porti della Cirenaica sia da quelli diretti nei porti della Tripolitania. Un posizionamento studiato fin dall’inizio dell’operazione Ue per evitare il rischio che le navi militari di Irini attraessero i flussi migratori illegali, con barconi e gommoni carichi di immigrati clandestini in cerca di unità navali da cui farsi “soccorrere” per venire trasferiti in Italia, come è accaduto per 5 anni alle navi militari dell’Operazione Ue EunavforMed Sophia.

Un confronto numerico che evidenzia come l’obiettivo debba essere quello di fermare o ridurre al massimo i flussi migratori illegali e con essi le morti in mare, come fu possibile fare nel 2018-19 col primo governo dell’attuale legislatura, non certo mettere in campo missioni di soccorso che incentivino le partenze e arricchiscano ulteriormente i trafficanti, aumentando gli sbarchi sulle nostre coste. Il comandante dell’Operazione Irini, ammiraglio Fabio Agostini, preme piuttosto per allargare i compiti dell’operazione al monitoraggio del cessate il fuoco tra le fazioni libiche e curare l’addestramento del personale della Guardia Costiera libica, da effettuare in Libia o presso stati Ue. Un compito, quest’ultimo, che non richiederebbe di schierare navi della flotta europea in prossimità delle coste della Tripolitania interessate dai flussi migratori illegali. Irini deve qui di puntare ad aumentare il peso strategico e politico dell’Europa nella soluzione della crisi libica, non a fare da volano o da “taxi” agli affari di trafficanti e Ong.

L’Operazione Sophia che avrebbe dovuto contrastare i trafficanti ma che sbarcò in Italia quasi 45mila clandestini raccolti in mare, venne chiusa dopo che, nel 2019, il governo italiano (Conte 1) stabilì che le navi europee della flotta Ue che avessero raccolto clandestini in mare avrebbero dovuto sbarcarli negli Stati di bandiera e non più in Italia. In poche ore, tutti i partner europei ritirarono le unità navali dall’operazione lasciandovi solo aerei ed elicotteri, decretando di fatto la fine di Sophia e confermando che i partner della Ue si mobilitano solo a patto di non doversi far carico di clandestini indesiderati. Per questa ragione spostare a ovest la flotta di Irini (il cui mandato è stato recentemente rinnovato per altri due anni) significherebbe innanzitutto modificare i compiti dell’operazione: aspetto che richiederebbe una nuova autorizzazione di Bruxelles circa la quale il consenso degli stati membri sarebbe tutt’altro che scontato.

Trasformare Irini in missione di soccorso dei migranti illegali, cioè una via di mezzo tra Sophia e Mare Nostrum, farebbe l’interesse di chi in Italia vuole più clandestini per arricchire le lobby dell’accoglienza, coop ed enti che si sono spartiti 20 miliardi di euro tra il 2013 e il 2019 e imporrebbe di far di nuovo sbarcare in Italia (e solo in Italia) i clandestini raccolti in mare dalle navi di Irini. Il rischio è quindi che in caso di richieste di “condivisione e ridistribuzione” da parte di Roma gli Stati europei ripetano il ritiro delle rispettive unità navali come è accaduto con Sophia.

Uno sviluppo che determinerebbe la fine di Irini, vanificando così quel poco di concreto che l’Europa è riuscita a mettere in campo nella gestione della crisi libica mentre i flussi di clandestini verso l’Italia raggiungerebbero nuovi picchi.