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IL RISCHIO

Terrorismo-immigrazione: le finte sorprese dal Governo

Il ministro degli Interni teme il rischio che con la caduta di Raqqa i jihadisti rientrino in Italia sfruttando i traffici di clandestini. Ma è un timore che intelligence e governi hanno già documentato. Il problema è che l'Europa non vuole incarcerarli

Attualità 22_10_2017

All’inizio di novembre del 2013 l’allora ministro degli Esteri Emma Bonino disse che “ci sono sospetti che dalla Libia fra i vari disperati arrivino in Europa anche jihadisti o qaedisti” aggiungendo che si trattava di “uno dei metodi che hanno usato spesso”. 

Pochi mesi dopo il ministro della Difesa Mario Mario Mauro rivelò, che il business dei clandestini dalla Libia all’Italia finanziava il terrorismo islamico internazionale affermando che una dozzina di scafisti egiziani arrestati soffrivano di un tipo di tubercolosi presente solo nel Waziristan pakistano e nel sud dell’Afghanistan: aree dove sono presenti i campi d’addestramento e le basi di talebani e al-Qaeda.

Queste dichiarazioni ufficiali relative a esponenti del Governo Letta risultano certo un po’ datate ma vale la pena rispolverarle oggi per abbinarle alle dichiarazioni rese dal ministro degli Interni, Marco Minniti, circa il rischio che all’indomani della caduta di Raqqa (capitale dello Stato Islamico) i jihadisti possano entrare in Europa e in Italia sfruttando i traffici di clandestini.

"Prima del collasso territoriale dell'IS era difficile che utilizzassero i flussi migratori per infiltrare delle cellule per un attentato terroristico", ha detto il ministro a La Stampa, perché "non vai a rischiare che una cellula di combattenti addestrati finisca su un barcone che affonda in mezzo al Mediterraneo”.

Ora la situazione sarebbe però diversa perchè “stanno scappando, sono in rotta e c'è la fuga individuale. Una diaspora che può certamente utilizzare anche le rotte aperte del traffico di esseri umani”.

Valutazioni che coincidono con gli allarmi lanciati anche in Francia per il ritorno dei foreign fighters ma Minniti non può certo dire che il rapporto molto stretto tra terrorismo islamico e immigrazione clandestina sia esploso solo ora né che non fosse già ben noto all’attuale e ai precedenti due governi (Letta e Renzi) che ciò nonostante hanno accolto 650 mila persone la cui unica qualifica era quella di aver pagato criminali per venire in Italia.

Una commistione terrorismo-immigrazione spesso pubblicamente negata dagli stessi ministri che la confermavano nei consessi internazionali per non ingigantire timori e ostilità nei confronti dell’immigrazione illegale da parte dell’opinione pubblica. In Italia i primi jihadisti vennero trovati tra i migranti nel 2014 grazie alle foto che avevano nei loro telefonini e anche in seguito diversi combattenti sono stati individuati in questo modo, inclusi due siriani, uno minorenne, fermati nel porto di Pozzallo nel maggio scorso.

Meglio però non illudersi che tutti gli omini del Califfato o di al-Qaeda siano così ingenui da infiltrarsi in Italia portando con sé le prove della loro militanza. Già nel 2012 magistrati libici riscontrarono la presenza di al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) nella gestione dei traffici di clandestini verso l’Italia.

Fonti d’intelligence europee in Niger rivelarono nel 2014 che i traffici di droga, armi ed esseri umani si muovevano sulle stesse piste sahariane gestiti da organizzazioni criminali al tempo stesso milizie jihadiste (AQMI, el-Morabitùn, Mujao e altri cui si aggiunse poco dopo lo Stato Islamico). Non a caso la città libica di Sabratha, da cui sono salpati il numero maggiore di barconi e gommoni diretti in Italia, è stata fino a pochi mesi or sono la sede della più grande base del Califfato in Nord Africa e qui sono stati addestrati migliaia di jihadisti maghrebini.

Nel dicembre 2014 la presenza di uomini dell’IS tra i clandestini dalla Libia fu confermata da un’inchiesta della Procura di Palermo e alcune interrogazioni al Sebato fecero emergere parlamentari l’intelligence valutava in almeno una decina i terroristi arabi sbarcati sulle coste siciliane da Libia ed Egitto mischiati ai migranti e poi aiutati da immigrati con permesso di soggiorno a far perdere le tracce anche in altri Paesi europei.

“Ci sono rischi anche notevoli di infiltrazione di terroristi dall’immigrazione”, disse nel gennaio 2015 al vertice della Coalizione anti-Isis di Londra il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Informazioni e dichiarazioni relative a un periodo in cui i combattenti dell’Isis non fuggivano dal Califfato il cui territorio era anzi ancora in espansione.

Il mese successivo il governo libico di Tobruk avvertì che l’IS infiltrava miliziani in Italia con i flussi di migranti. Nell’estate 2015 oltre 700mila migranti illegali percorsero la “rotta balcanica” e il governo austriaco riferì che i servizi segreti macedoni avevano individuato molti jihadisti tra la massa umana diretta verso il cuore dell’Europa e secondo fonti libanesi almeno il 2% dei “rifugiati” sono miliziani jihadisti mentre per Europol e Frontex “l’Isis sfrutta i flussi migratori per infiltrarsi in Europa ed effettuare attentati”.

Nel novembre 2016 in Italia venne arrestato il siriano Abu Robeih Tarif, 23 anni, appartenente al gruppo qaedista al-Nusra", giunto nel crotonese con un peschereccio dalla Turchia (rotta percorsa anche da motoscafi e persino velieri) a conferma che vi sono mezzi più comodi e sicuri (certo più costosi) per sbarcare in Italia evitando i malfermi gommoni che salpano dalla Libia. Elemento oggi particolarmente attuale se teniamo conto dei numerosi “sbarchi fantasma” in Italia da Tunisia e Algeria, che hanno dato molta carne da cannone al jihad.

In ambito Ue la Germania ha registrato il maggior numero di infiltrazioni: nel settembre 2016 vennero arrestati tre rifugiati siriani ritenuti una “cellula dormiente” in contatto con i terroristi che avevano colpito a Parigi e due mesi dopo i servizi segreti rivelarono che l’IS addestrava i miliziani a mescolarsi tra i migranti e a non farsi individuare dalla polizia.

Compito facilitato anche dai numerosi passaporti siriani e iracheni “in bianco” su cui l’IS mise le mani tra Raqqa e Mosul. Nello stesso anno la polizia federale ammise di aver identificato 523 migranti che avevano legami con il terrorismo islamista.

Per venire a tempi più recenti meglio ricordare che Amed al-Khald, il siriano ricercato in Ue e USA per aver preparato gli ordigni che avrebbero dovuto esplodere a Barcellona due mesi or sono è giunto in Europa da “rifugiato” nel settembre 2015. L’infiltrazione di terroristi attraverso i flussi migratori illegali non è quindi una novità né è consequenziale alle sconfitte subite dall’IS in Siria, Iraq e Libia.

Quella stessa Europa non aveva dato peso all’esodo di foreign fighters verso il Medio Oriente oggi non prevede di perseguire con determinazione quanti rientrano o sono già rientrati, cioè almeno un terzo dei 5.500 combattenti europei stimati.

I Paesi europei non intendono incarcerarli ma “reintegrarli nella società”, come disse il coordinatore Ue per l’antiterrorismo Gilles de Kerchoeve: una scelta che potrebbe attirare nel Vecchio Continente molti foreign fighters provenienti anche da Asia e Maghreb trasformando ancor di più l’Europa in una sorta di paradiso per jihadisti.