Terra Santa, il Natale più triste mentre infuria la guerra
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È stato il Natale più triste degli ultimi anni, in Terra Santa. Betlemme è una città fantasma, mentre la guerra infuria a Gaza. Pizzaballa: «Ricostruire la fiducia».
È stato un Natale veramente mesto quello di quest’anno in Terra Santa, forse il più triste e malinconico degli ultimi tempi. Nessuno aveva voglia di festeggiare. Gaza, da oltre due mesi, è sotto il fuoco dell'artiglieria e dell'aviazione israeliana. I carri armati distruggono tutto quello che incontrano sulla loro strada, mentre gli F-15 spadroneggiano nei cieli che sovrastano la Striscia, non essendoci nulla e nessuno che li possa contrastare. Solo facili bersagli per un'esercitazione. È una guerra improba e impari. E i morti, tra i palestinesi, comprese donne e bambini, aumentano ora dopo ora; mentre i superstiti inorridiscono per le distruzioni che la guerra sta arrecando. Da oltre due mesi le case, non solo d’Israele e Palestina, ma di tutto il mondo, sono inondate dalle immagini che giungono da Gaza. Attraverso i social vengono raccontati gli orrori che risvegliano antichi odi.
I cristiani sono una piccola minoranza in quei luoghi e sono tra i più preoccupati. Guardano al patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, come all’unica ancora di salvezza. Sono disperati. Sconsolati. Senza lavoro. Il governo Netanyahu, dopo il tragico attacco dei miliziani di Hamas, non fa entrare in Israele nessun lavoratore palestinese. In questi giorni di festa, in Cisgiordania, le strade sono deserte e i cattolici palestinesi hanno avuto difficoltà ad entrare a Betlemme. Impossibile accedere o uscire. Nelle città e nei villaggi della Palestina nessuno entra o esce. E il luogo che ha dato i natali a Gesù è una città fantasma. L'industria del turismo di Betlemme realizza circa il 50% del totale delle sue entrate durante il mese di dicembre. Ma quest'anno tutta l'economia della Cisgiordania è paurosamente crollata.
Prima del drammatico e funesto attacco del 7 ottobre, tra palestinesi ed israeliani c'era, tutto sommato, una sospettosa, ma pacifica convivenza. Ora quella apparente pace non c'è più. È subentrato l'odio, il disprezzo. Gli israeliani meditano vendetta contro i palestinesi, mentre quest’ultimi architettano rappresaglie contro gli ebrei. Ognuno rimane chiuso in se stesso, nelle proprie idee di ritorsione. Una spirale di brutalità che non porterà da nessuna parte. «C’è da ricostruire innanzitutto la fiducia. E non sarà facile. Ci vorrà tanto tempo», ha dichiarato il patriarca Pizzaballa.
In tutti i conventi di clausura della Terra Santa, nella notte di Natale, si è invocata la pace. Un grido si è alzato verso i potenti: “Fermate la guerra. Deponete le armi”. «È ora di fermare questa guerra, questa violenza insensata», aveva scritto il cardinale Pizzaballa, nella lettera indirizzata ai fedeli, dopo quel deprecabile 7 ottobre.
A Betlemme, nella chiesa di santa Caterina, adiacente alla basilica della Natività, il patriarca Pizzaballa stava intonando il Gloria, quando a Gaza l'aviazione militare israeliana sferrava un pesante attacco contro il campo profughi di al-Maghazi, nel centro della Striscia, uccidendo, proprio nella notte di Natale, oltre cento persone. Ma le vittime potrebbero aumentare visto che l’incursione ha distrutto un "isolato residenziale" e varie abitazioni. Sempre il giorno di Natale, un altro attacco aereo, su Khan Younis, nel sud della Striscia, avrebbe ucciso, secondo fonti palestinesi, altre 23 persone. Il totale delle vittime, nel solo giorno di Natale, a Gaza, potrebbero superare le 150 unità.
I superstiti, nel frattempo, scavano tra le macerie anche a mani nude. «Ci sono ancora feriti e cadaveri sotto i detriti», ha detto un portavoce dell'ospedale Al-Aqsa. Le immagini che circolano sui social sono veramente terrificanti: mostrano interi edifici sventrati e decine di cadaveri che vengono recuperati e poi disposti in sacchi di plastica. Gli aerei da guerra israeliani hanno anche bombardato, rendendole impraticabili, le principali strade di collegamento tra il centro di Gaza e il campo profughi, ostacolando di fatto il passaggio delle ambulanze e dei veicoli di emergenza. L'esercito ha avviato un'inchiesta per verificare cosa realmente è accaduto. La notizia è stata riferita dalla radio militare.
I morti palestinesi, dallo scorso 7 ottobre, sono quasi 21mila, i feriti più di 55mila. Mancano cibo e acqua. Si rischiano anche epidemie. «Supplico che cessino le operazioni militari, con il loro spaventoso seguito di vittime civili innocenti, e che si ponga rimedio alla disperata situazione umanitaria, aprendo all’arrivo degli aiuti», ha detto il pontefice nel corso della tradizionale benedizione Urbi et Orbi di Natale.
E da Gerusalemme, Netanyahu in una riunione del Likud riunito alla Knesset, ha detto: «Non ci fermeremo, continueremo a combattere e intensificheremo i combattimenti nei prossimi giorni, e questa sarà una battaglia lunga e non è vicina alla fine. Abbiamo bisogno di pazienza, unità e di restare fedeli alla nostra missione». Intanto i soldati israeliani uccisi nel corso dell'operazione di terra nella sola Striscia di Gaza sono ormai 158.
Col passare del tempo, la situazione si complica e la politica non fa nulla per fermare questo odio. «C’è bisogno di gesti concreti nel territorio, che si cominci a riportare un po’ di fiducia, che facciano vedere che un cambiamento è possibile, che si può cambiare pagina nelle relazioni umane, nel dialogo interreligioso e soprattutto nella leadership politica», ha detto il patriarca di Gerusalemme.
Nel frattempo, l'aviazione israeliana è uscita anche dai propri confini, portando a termine un'operazione mirata, con l'uccisione, vicino a Damasco, di Sayyed Razi Mousavi, un alto comandante iraniano dei guardiani della Rivoluzione e responsabile del trasferimento di armi e finanziamenti alle milizie alleate in Siria. Non si è fatta attendere la reazione del presidente iraniano, Ebrahim Raisi, che ha dichiarato: “Israele pagherà certamente” per l'uccisione del generale.
Tutta la Terra Santa, Israele e Palestina, è un focolaio di guerra. I coloni israeliani continuano indisturbati nelle loro razzie contro gli abitanti palestinesi della Cisgiordania, costringendoli ad abbandonare le proprie abitazioni. L'esercito, da parte sua, approfitta della situazione e dichiara quei luoghi zone militari, cioè aree interdette. È quanto sta accadendo a Zanuta e nel piccolo borgo di A'Nizan, sulle colline a sud di Hebron. Senza alcun preavviso, gli abitanti della zona si ritrovano così senza una casa. Secondo gli attivisti delle associazioni per i diritti umani, gli abitanti di Zanuta sono stati picchiati, i pannelli solari che alimentavano il villaggio distrutti, i serbatoi di stoccaggio dell'acqua prosciugati e gli abitanti molestati. Il governo israeliano, da parte sua, ha approvato uno stanziamento di 70 milioni di shekel (circa 17,5 milioni di euro) per rafforzare le infrastrutture, e mettere in sicurezza gli avamposti degli insediamenti illegali in Cisgiordania.
Ieri mattina, nel corso di una vasta operazione nei territori palestinesi, i soldati israeliani hanno tratto in arresto Khalida Jarrar, insieme ad altri attivisti del suo partito di sinistra. Jarrar, 60 anni, figura di spicco del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP), era stata già arrestata dalle forze israeliane nell'ottobre 2019 e rilasciata nel settembre dell'anno successivo, dopo essere stata trattenuta in carcere senza processo.