Talebani sempre uguali. Niente diritti per le donne
In teoria, le ultime notizie che giungono dall’Afghanistan sono buone. Infatti, sta avendo successo la mediazione Onu per riportare le Ong nel Paese, dopo che il lavoro nelle organizzazioni era stato vietato alle donne. Ma è un'eccezione. Dal 2021 ad oggi le donne sono progressivamente escluse dai Talebani da ogni lavoro e dallo studio.
In teoria, le ultime notizie che giungono dall’Afghanistan sono anche buone. Infatti, sta avendo successo la mediazione Onu per riportare le Ong nel Paese, in soccorso ad una popolazione allo stremo, con 28 milioni di cittadini che hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. Le Ong non potevano più operare, perché il 24 dicembre scorso il governo “de facto” talebano ha imposto il divieto alle donne di lavorarvi. Con tutto il personale femminile costretto a casa, era impossibile proseguire le operazioni, anche per non piegarsi al diktat del rinnovato totalitarismo. La vice segretario generale dell’Onu, Amina Mohammed, assieme alla direttrice esecutiva di Un Women, Sima Bahous, ha incontrato segretamente i vertici talebani. Ed ha strappato un primo accordo, considerando che alcune Ong (quali Care, Save the Children e International Rescue Committee), hanno ripreso le loro attività, dietro la promessa che le loro volontarie e dipendenti donne potranno lavorare.
L’episodio delle Ong è rivelatore della situazione drammatica in cui è precipitata la popolazione femminile afgana. “Il mondo è caduto nell’inganno dei Talebani, ancora una volta”, titolava due giorni fa il New York Times: nell’agosto del 2021 il vecchio regime tornato in auge dopo il ritiro dei contingenti internazionali, aveva almeno promesso un governo “inclusivo” e di rispettare almeno i diritti fondamentali. Undici mesi dopo il ritiro dei contingenti internazionali, nel luglio 2022, Unama, la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, già pubblicava un rapporto in cui documentava “esecuzioni extragiudiziali, torture, arresti e detenzioni arbitrarie e violazioni delle libertà fondamentali”. Si denunciavano numerosi arresti arbitrari di giornalisti, manifestanti e attivisti della società civile, 160 esecuzioni extragiudiziali confermate, oltre a 178 arresti e detenzioni arbitrarie e 56 casi di tortura. Per quanto riguardava la questione femminile, “Il nostro monitoraggio rivela che, nonostante il miglioramento della situazione della sicurezza dal 15 agosto, il popolo afghano, in particolare donne e ragazze, è privato del pieno godimento dei propri diritti umani”.
Sei mesi dopo quel rapporto, giovedì scorso, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha tenuto una riunione a porte chiuse per discutere sulla situazione. La Rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Roza Otunbayeva (Kirghizistan), ha dichiarato che i quindici membri del Consiglio devono essere uniti nell’opporsi alle politiche dei Talebani che stanno erodendo i diritti umani fondamentali delle donne e delle ragazze in Afghanistan. Ma nemmeno di fronte a questo tema si è riusciti ad ottenere l’unanimità, in un mondo sempre più diviso. Infatti, Cina e Russia (membri permanenti), Ghana e Mozambico, non hanno aderito. La dichiarazione, che è stata condivisa dagli altri undici membri, invita i Talebani a “revocare immediatamente tutte le misure oppressive contro le donne e le ragazze”.
Quali misure oppressive sono state imposte in questo anno e mezzo di totalitarismo talebano? Le donne non hanno più avuto accesso all’istruzione superiore. Dopo le medie cessano gli studi. Era rimasto, almeno sulla carta, il diritto a frequentare l’università. Non per nuove diplomate, evidentemente, essendo già vietata la scuola superiore, ma solo per chi era già iscritta. Ma tre mesi dopo che migliaia di ragazze avevano passato l’esame per accedere al nuovo anno accademico, i Talebani hanno deciso, sempre nel dicembre scorso, di vietare anche l’università alle donne. “Questa è chiaramente un’altra promessa non mantenuta dei Talebani. Abbiamo visto dal loro ritorno e, in particolare, negli ultimi mesi, una diminuzione dello spazio per le donne, non solo nell'istruzione, ma anche nell'accesso alle aree pubbliche e la loro non partecipazione al dibattito pubblico”, dichiarava in quella occasione il portavoce delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric.
Da novembre, è vietato alle donne frequentare parchi, palestre e bagni pubblici, anche se accompagnate da un maschio. Nel lavoro, sono escluse ormai da quasi tutta la pubblica amministrazione. O vengono licenziate direttamente, oppure subiscono una riduzione tale del loro stipendio da dover rassegnare le dimissioni. La notizia più grave, a gennaio, riguarda il ripristino del divieto per le donne di essere curate da medici maschi. Visto che gli studi di medicina saranno loro vietati, chi potrà curarle in futuro?
Le donne che avevano cariche politiche nel precedente regime repubblicano, quelle pochissime che hanno deciso di rimanere nel Paese, rischiano la vita. Mursal Nabizada, 32 anni, ex deputata, è stata assassinata (assieme ad una guardia del corpo) in casa sua. In agosto era stata intervistata da un’emittente locale, Arezo Tv, a volto coperto, proprio per parlare del suo lavoro in una Organizzazione non governativa.
La possibilità di tornare ad operare nelle Ong, dunque, rappresenta un’eccezione per le donne. Ed è stata accettata (non si sa per quanto e non è detto che valga per tutte) solo per far fronte ad una situazione umanitaria disperata. Per il resto, non esiste una “seconda generazione” di Talebani differente dalla prima. Non esistono Talebani “moderati”, non esistono neppure quelli “inclusivi”.