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LA DECISIONE

Super green pass, alla Consulta va bene l'Italia divisa?

La Corte costituzionale dichiara inammissibile il ricorso di 5 parlamentari isolani che lamentano la violazione del loro diritto di voto a causa del super green pass sui mezzi pubblici. Dopo la Dad, ecco la Pad, la politica a distanza… Ma oltre al vulnus al Parlamento, rimane la generale vergogna di una libertà di movimento negata (per ragioni politiche) ai non vaccinati.

Attualità 20_01_2022

Dopo la Dad per i poveri studenti, ecco che lo stato di emergenza permanente certifica la legittimità della Pad, la politica a distanza, con buona pace dei parlamentari non vaccinati. Sono rimaste deluse le aspettative di chi sperava che la Corte costituzionale potesse annullare l’obbligo di super green pass (ciclo di vaccinazione completo o guarigione dal Covid-19 non più tarda di sei mesi) sui mezzi per il trasporto pubblico, a partire dall’istanza di quattro deputati (Pino Cabras, Emanuela Corda, Andrea Vallascas, Simona Suriano) e un senatore (Pietro Lorefice) residenti in Sardegna e Sicilia.

I cinque politici eletti avevano presentato ricorso contro il Governo per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in merito all’articolo 1, secondo comma, del Decreto-legge 229/2021, riguardante il suddetto obbligo di super green pass sui mezzi pubblici, lesivo delle loro prerogative parlamentari, anche - ma non solo - in vista dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Ma la Consulta, riunitasi ieri in una camera di consiglio straordinaria, ha risposto picche alla richiesta di annullamento della norma impugnata e detto che la garanzia di voto dei parlamentari non dipende dal super green pass.

In attesa del deposito dell’ordinanza, il comunicato diffuso ieri dall’ufficio stampa della Consulta afferma che «il conflitto è stato dichiarato inammissibile», non concedendo quindi la sospensione cautelare. «La Corte - si legge nel comunicato - ha ritenuto che non vi sia alcuna manifesta violazione delle prerogative costituzionali dei parlamentari. La disposizione oggetto del conflitto regola infatti le condizioni di accesso al trasporto pubblico valide per l’intera collettività e non riguarda attribuzioni specifiche di deputati o senatori, incise in via fattuale e di riflesso; attribuzioni il cui esercizio deve essere garantito dai competenti organi delle Camere, nel rispetto della legislazione vigente». Dunque, ci devono pensare Camera e Senato, perché la Corte costituzionale qui - diversamente dal diffuso interventismo su altre norme regolanti aspetti di bioetica - non intende intervenire.

I ricorrenti, oltre che per l’esercizio della loro attività parlamentare, avevano chiesto alla Corte di sollevare, dinanzi a sé stessa, questione di legittimità costituzionale dell’intero Dl 229. Il comunicato nulla dice esplicitamente di questa richiesta più generale, anche se implicitamente essa pare essere liquidata - speriamo di essere smentiti - insieme a quella più specifica dei parlamentari. Si saprà di più con la pubblicazione dell’ordinanza.

Ma intanto un altro limite è stato superato, e che non siano riusciti a fermare questa deriva dei parlamentari colpiti dalla norma in questione è tutto dire. Ciò mina ulteriormente le prerogative di rappresentanti di un organo costituzionale, il Parlamento appunto, già abbondantemente esautorato dall’abuso di potere governativo.

I ricorrenti avevano lamentato la lesione di ben 17 articoli della Costituzione - dall’art. 1 (Repubblica democratica fondata sul lavoro) al 117 (esercizio della potestà legislativa da parte di Stato e Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli comunitari/internazionali), passando per il 3 (libertà ed eguaglianza dei cittadini) e il 16 (libertà di movimento) - nonché dei regolamenti 953-954/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio che vietano di discriminare tra vaccinati e non vaccinati. Sostenere, come fa la Consulta, che non siano manifestamente violati i diritti di parlamentari impossibilitati a recarsi - se non con una nave o un aereo privati - alle sedi fisiche dove ci si incontra con gli altri colleghi, si discute, si prendono le decisioni, etc., significa far finta di non sapere come si svolge l’attività politica, lasciando passare l’idea che basti un voto a distanza e qualche videoconferenza per sopperire alla libertà di movimento negata.

Quest’ultima, come già ricordato su questo quotidiano, può essere limitata solo «per motivi di sanità o di sicurezza» e mai, precisa l’art. 16 della Costituzione, per «ragioni politiche». Al di là delle dichiarazioni di facciata, è evidente che dietro la decisione di impedire l’accesso ai mezzi pubblici ai non vaccinati ci stanno solo ragioni politiche, visto (innanzitutto) che il virus può essere benissimo contratto e trasmesso - come dimostrano studi, rapporti ufficiali e ormai un’ampia esperienza comune - anche dai vaccinati. E, pur nell’ipotesi di un rischio minore, il criterio di proporzionalità non giustificherebbe una lesione così grave di un diritto costituzionale come la libertà di movimento, che tocca direttamente lavoro, salute, studio, famiglia, ecc. Dispiace che la maggioranza dei giudici massimi garanti della nostra Carta fondamentale non riconoscano un principio tanto elementare.

Intanto, questa decisione mantiene intatta la divisione sociale del Paese e il particolare solco - giuridico oltre che fisico - tra le isole e il resto d’Italia. E questo a pochi giorni proprio dall’elezione del presidente della Repubblica, che dovrebbe rappresentare l’unità nazionale.

C’è al riguardo un altro conflitto di poteri in atto. Dopo le richieste ricevute da più parti e il suo vano appello al ministro Roberto Speranza, il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, poi seguito da Roberto Occhiuto per la Calabria, ha infine emanato un’ordinanza che consente di attraversare lo Stretto di Messina, sui traghetti, anche con un tampone negativo. È un primo sussulto di dignità, sebbene rimangano obblighi assurdi per i non vaccinati (obbligo di rimanere in macchina per tutto il tempo della traversata e, anche per i pedoni, inibizione ad accedere ai locali chiusi della nave), segregati e trattati come untori malgrado non solo l’assenza di sintomi ma lo stesso test. Sembra la Cina comunista.

Possibile che i nostri giudici supremi non abbiano nulla da dire contro una vergogna così?