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IPOCRISIA SU GHOUTA

Sulla guerra in Siria sentiamo solo la campana dei jihadisti

La battaglia di Ghouta Est, con le sue stragi di civili, è al centro dell'agenda internazionale umanitaria. Parrebbe un massacro compiuto dal regime contro un popolo disarmato. Ma non è così. A Damasco, i civili e soprattutto i cristiani soffrono sotto i bombardamenti dei jihadisti... di Ghouta. Bombe e razzi di cui non parla nessuno. Perché prevalgono, anche qui, gli interessi delle monarchie sunnite che appoggiano i ribelli.

Esteri 01_03_2018
Bombardamento di Ghouta

Nulla di nuovo e tutto già visto. Come accadde durante la guerra libica del 2011 e come accade ormai da otto anni n Siria, da quando iniziò la guerra civile, è la propaganda jihadista a ispirare la comunità internazionale e il mondo dei media. Come è successo ad Aleppo e oggi a Ghouta Est, l’Occidente si indigna per le stragi di civili provocate dalle forze di Bashar Assad e ignora i morti provocati dai ribelli, premendo per instaurare tregue e cessate il fuoco che andranno a tutto vantaggio delle milizie jihadiste. Per inciso, le stesse che ideologicamente propugnano lo Stato islamico retto dalla sharia e appoggiano e giustificano il terrorismo e il jihad contro gli infedeli (cioè noi) che colpisce negli Usa e in Europa.

Come è sempre accaduto, è difficile distinguere tra buoni e cattivi in una guerra civile ma, pragmaticamente, pare evidente che l’alternativa al governo di Damasco non è la democrazia cantonale svizzera, ma uno Stato islamico basato sulla legge coranica e in cui non ci sarebbe spazio per sciiti, cristiani o altre fedi diverse dal più ortodosso islam sunnita. Ciò nonostante, Usa ed Europa continuano a sostenere i ribelli siriani appoggiati da Turchia e monarchie sunnite del Golfo benchè questo conflitto abbia comportato una serie di minacce devastanti per il Vecchio Continente, dalla fuga dei cristiani all’immigrazione illegale, dai foreign fighters al terrorismo.

Una cecità spiegabile solo con la valutazione che la nostra classe politica è cieca e incompetente o che i miliardi di petrodollari investiti in Europa dai monarchi del Golfo hanno permesso di comprare, non solo aziende, armi, alberghi e squadre di calcio, ma anche molte coscienze. Non si può interpretare diversamente la credibilità accordata dai governi e dai media Occidentali, così come dalle organizzazioni internazionali, alle notizie provenienti da Ghouta, sobborgo di Damasco in mano da anni a diverse milizie jihadiste, alle notizie a senso unico fornite da Ong e fonti tutte legate a doppio filo agli insorti.

Certo l’assenza di fonti neutrali è dovuta anche al rischio di omicidio e rapimenti che corrono i giornalisti che dovessero spingersi nelle aree in mano ai ribelli, ma è altrettanto evidente che queste aggressioni compiute più volte ai danni dei media hanno il chiaro obiettivo di tenere lontane dal fronte le fonti neutrali per poter spacciare a piene mani la propaganda jihadista. Gli esempi più eclatanti? I supposti attacchi con armi chimiche attribuiti al regime di Damasco sono stati maldestramente documentati da “Aleppo media center” e “Idlib media center”, cioè dagli uffici stampa delle milizie di al-Qaeda in Siria, ma hanno ugualmente avuto ampia eco e patenti di credibilità in tutto l’Occidente

Da sette anni i media italiani e di tutto il mondo riportano quasi sempre acriticamente le informazioni diffuse dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), Ong con sede a Londra e a tutti gli effetti vicina ai ribelli. Secondo un bilancio dell'Ondus, sono 588, di cui 146 bambini e adolescenti, le vittime dei raid aerei e dei bombardamenti di artiglieria governativi su Ghouta a partire dal 18 febbraio scorso. Impossibile verificare i dati che vengono ciò nonostante riportati dai media senza esporre dubbi circa la loro veridicità o circa l’affidabilità dell’Ondus, fonte di parte, come lo è, dall’altro lato della barricata, l’agenzia di stampa governativa siriana SANA.

Per questo è ridicolo che Ue e Onu sui straccino le vesti per le condizioni dei civili a Ghouta, sotto attacco in seguito all’offensiva delle truppe di Assad, ma non si preoccupino della popolazione di Damasco bersagliata dai mortai e dai razzi dei ribelli. Eppure fonti neutrali come quelle del clero cristiano siriano, non mancherebbero per cercare di offrire un’informazione quanto meno bilanciata. Proprio ieri don Mounir Hanachi, direttore dei salesiani a Damasco, in una lettera rivela una realtà diversa, che quasi nessuno però riporta.

“Vi scrivo in questi giorni in cui la capitale della Siria vive momenti difficili. È sempre stato così, in questi sette anni di guerra in Siria, ma in questi giorni si soffre ancora di più. Vengono lanciati tanti missili e colpi di mortaio sulla capitale da Ghouta, zona della periferia di Damasco piena di Jihadisti dell'Isis e tanti altri gruppi islamici fondamentalisti che cercano di fare della Siria il loro califfato. Tanti missili stanno causando tanti morti civili e bambini, tante scuole hanno chiuso le porte. É stato ordinato il coprifuoco in tutta Damasco. Tanta è la paura dalla gente e dei bambini. Anche noi dell'oratorio salesiano abbiamo sospeso tutte le attività. I ragazzi solitamente arrivano con i pullman all'oratorio, per cui può essere pericoloso fargli attraversare la città. Abbiamo detto a tutti loro di stare in casa fino ad un miglioramento della situazione. Che al momento non arriva. Spero la mia voce possa giungere a tutti voi, voglio rompere il silenzio assoluto che avvolge la tragedia che sta vivendo il popolo siriano, per non parlare della manipolazione dell’informazione da parte di tanti mass media in Occidente. Mi affido tutti voi, amici. In questo tempo di Quaresima, tempo di preghiera e ritorno a Dio Padre. Che il sole della Risurrezione tocchi i cuori dei potenti e torni la pace in questa terra martoriata. Noi continuiamo a sostenere le famiglie in difficoltà".

Valutazioni confermate dal ministro degli Esteri della Russia alleata di Assad, Sergei Lavrov, che ieri ha accusato i gruppi ribelli siriani di aver violato il cessate il fuoco. "I militanti trincerati continuano a bombardare Damasco, bloccano le consegne di aiuti e ostacolano l'evacuazione di coloro che desiderano partire", ha detto Lavrov durante una sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. Nulla di nuovo neanche in questo caso: ad Aleppo come a Raqqa i jihadisti non consentono l’evacuazione dei civili perché li utilizzano come scudi umani e per sacrificarli sull’altare della propaganda.

In questo contesto appare chiaro per quale ragione la comunità internazionale chieda il ripristino di un cessate il fuoco (peraltro violato dagli stessi ribelli secondo fonti di Mosca che pure aveva imposto “pause umanitarie” ai combattimenti a seguito di un voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un cessate-il-fuoco di 30 giorni) che ha l’obiettivo non certo di soccorrere i civili, ma di dare respiro alle milizie jihadiste circondate e condannate alla sconfitta. Qualcuno vuole forse farci credere che cibo e medicinali consegnati a Ghouta Orientale vengano distribuiti alla popolazione invece che gestiti direttamente dai miliziani islamisti?

Le truppe governative appoggiate dalle milizie sciite alleate e dalle forze aeree russe avanzano su tutti i fronti applicando la stessa tattica utilizzata con successo per espugnare il centro di Aleppo, città tornata a una parvenza di vita normale dopo la cacciata dei ribelli, in gran parte stranieri. Inevitabili, come in tutti i conflitti, le vittime tra i civili ma attribuirle a una sola fazione in campo significa voler diffondere “fake news” (quelle che fino a ieri definivamo “bufale”) in modo consapevole.

Del resto quali equilibri guidino oggi la cosiddetta “comunità internazionale” anche nell’ambito della gestione dei conflitti è apparso chiaro l’anno scorso quando un rapporto dell’Onu accusò i sauditi e le altre monarchie del Golfo Persico impegnate nel conflitto nello Yemen di colpire volontariamente i civili nelle regioni in mano ai ribelli sciiti Houthi. Riad minacciò di togliere i suoi cospicui finanziamenti alle Nazioni Unite se il documento di condanna non fosse stato ritirato e il segretario generale, all’epoca Ban Ki-moon, obbedì al diktat saudita pur esprimendo “profondo rammarico”.