Suicidio, il “paletto” dei sostegni vitali all’esame della Consulta
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Caso Massimiliano, il toscano condotto dai Radicali a uccidersi in Svizzera: il Gip solleva questione di legittimità costituzionale sul requisito dei sostegni vitali per accedere al suicidio assistito. A cui, se cade il paletto, saranno candidati pure i depressi.
I Radicali non mollano. Anche se vincono 5-0 continuano ad attaccare. Nel dicembre 2022 Felicetta Maltese e Chiara Lalli avevano accompagnato Massimiliano, quarantaquattrenne toscano affetto da sclerosi multipla, in Svizzera. Lì aveva trovato la morte tramite la pratica del suicidio assistito. Perché Massimiliano non chiese di poter morire con tale pratica in Italia? A dar retta al resoconto che ne fa l’Associazione Luca Coscioni, perché la condizione di Massimiliano difettava di un requisito invece richiesto dalla Corte costituzionale per accedere all’eutanasia tramite l’aiuto al suicidio: Massimiliano non era tenuto in vita da mezzi di sostentamento vitale. Da qui l’autodenuncia a Firenze della Maltese, della Lalli e di Marco Cappato «in qualità di legale rappresentante dell’Associazione Soccorso Civile che aveva organizzato e finanziato il viaggio di Massimiliano», come rende noto il sito dell’Associazione Luca Coscioni.
Il pubblico ministero e i difensori avevano chiesto al giudice per le indagini preliminari (Gip) di archiviare il caso, ma correttamente il Gip aveva deciso di non archiviare proprio perché, mancando il requisito della sussistenza in vita grazie a supporti vitali, l’aiuto praticato dai tre configurava il reato di aiuto al suicidio ex art. 580 del Codice penale. Esclusa l’archiviazione, però, come da manuale e com’era già accaduto con la vicenda di Dj Fabo, ecco che il Gip Agnese De Girolamo, lo scorso 17 gennaio, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in merito proprio a questo requisito. La De Girolamo ha «dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 codice penale, come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata anche alla condizione che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione». In breve: secondo questa ottica, chiedere a chi vuole uccidersi di essere mantenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale appare discriminatorio verso chi vuole uccidersi ed è privo di questo requisito; occorre dunque eliminare tale vincolo. Come ricorda l’Associazione Luca Coscioni, «Elena (Veneto), Romano e Margherita Botto (Lombardia), Paola (Emilia Romagna), Sibilla Barbieri (Lazio) sono stati costretti ad andare in Svizzera per poter avere accesso al suicidio assistito» proprio perché vivevano senza supporti salvavita.
Articoliamo quattro considerazioni su questa ennesima vicenda giurisprudenziale legata al tema dell’eutanasia. La prima. I Radicali si sono resi conto sul campo che l’espressione «persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale», usata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242/2019 che ha modificato in senso più permissivo il reato di aiuto al suicidio (qui un approfondimento), può essere interpretata in molti modi. Ad esempio, una struttura sanitaria insieme ad un comitato etico potrebbe considerare le cure prestate ad un malato di Sla come trattamenti salvavita e quindi far accedere costui al suicidio assistito, mentre un’altra struttura sanitaria e un altro comitato etico potrebbero essere di avviso opposto. Parimenti tra i giudici, chiamati ad esaminare i differenti casi, si potrebbero rinvenire approcci diversi. E così la dialisi, un anticoagulante, un trattamento chemioterapico potrebbero essere considerati trattamenti salvavita presso un ospedale e non essere qualificati come tali in un altro. Ecco quindi la decisione del Gip, in linea con i desiderata dei Radicali, di chiedere l’eliminazione di questo requisito. In tal modo il bacino di possibili utenti dell’eutanasia tramite suicidio assistito si allargherà sempre più, soprattutto andando a ricomprendere i malati psichici, tra cui i semplici depressi, i quali in genere non sono tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale, intesi in senso stretto. I depressi, superfluo aggiungerlo, saranno i candidati ideali per il suicidio.
Seconda riflessione. La Corte costituzionale viene investita da una richiesta che interessa una sua stessa determinazione al riguardo. Insomma, è come chiedere se la Corte si è sbagliata in passato. Vero è che, come la storia insegna, la Corte può pronunciarsi in modo evolutivo (spesso: involutivo) rispetto a suoi precedenti pronunciamenti, ma in questo caso, qualora la Corte eliminasse il requisito di cui sopra, apparirebbe fortemente irragionevole un pronunciamento censorio rispetto ad una decisione presa poco più di quattro anni fa dalla stessa Corte. Sarebbe una sentenza quasi autoconfutatoria.
Terza riflessione maggiormente rilevante sul piano giuridico. Il rinvio del Gip non riguarda una norma, bensì una decisione giurisprudenziale. La Consulta viene chiamata “giudice delle leggi”, perché il suo compito non è esaminare le decisioni dei giudici – questo lo fanno i giudici di secondo grado e la Corte di Cassazione – bensì esaminare le norme. Ora, l’intervento di modifica dell’art. 580 Cp della Consulta del 2019 non è una norma. E infatti i giudici avevano chiesto che il Parlamento legiferasse in materia tenendo conto delle loro indicazioni. Ma nulla è avvenuto (per fortuna). Non essendo stata ancora normata la decisione della Corte costituzionale, come potrebbe la stessa pronunciarsi su tale decisione? C’è palese incompetenza ratione materiae. Incompetenza già emersa nel 2019 perché la Corte non solo dichiarò incostituzionale l’art. 580 Cp per alcuni motivi – e questo rientra nelle sue competenze – ma si peritò anche di indicare a quali condizioni il suicidio assistito diventava condotta non punibile, decisione che spetta solo al Parlamento. A margine: dal 2019 tutti i casi di aiuto al suicidio praticati in strutture ospedaliere e venuti alla ribalta della cronaca sono stati qualificati legittimi appellandosi non ad una legge che non esiste, ma alla decisione della Consulta. Insomma, siamo nel pieno della confusione della ripartizione delle competenze tra i poteri dello Stato.
Quarta riflessione che, ne siamo certi, è assolutamente condivisa dai Radicali, solo che loro allo stato attuale preferiscono non rivelarlo. Se per motivi legati alla dignità personale (art. 2 Cost.) e di carattere discriminatorio (art. 3 Cost.) è doveroso eliminare il requisito attinente ai trattamenti salvavita, perché questi stessi motivi non si possono applicare anche agli altri due dei quattro requisiti indispensabili per accedere al suicidio assistito? E così, il criterio che fa riferimento al proposito suicidario autonomamente formatosi potrebbe essere eliminato. Infatti, se togliersi la vita in alcuni casi è ritenuto un bene, come lo ritengono i Radicali, perché questa soluzione eticamente "buona" non potrebbe essere suggerita da un terzo? Un buon consiglio non dovrebbe essere rifiutato a priori. Il proposito potrebbe dunque essersi formato in modo anche eteronomo. Altresì il requisito della patologia irreversibile è un paletto da togliere perché esclude tutti coloro che sono ammalati, possono sì guarire, ma non accettano ad esempio alcune menomazioni che ha lasciato la patologia (pensiamo ad una mastectomia per un tumore) oppure non tollerano un lungo periodo di cure o di riabilitazioni (pensiamo agli anziani). Sopravvivrebbe, per ovvi motivi, solo il requisito delle sofferenze ritenute insopportabili dal paziente stesso. Altrimenti, perché chiedere di morire? I paletti nelle leggi ingiuste, ormai dovremmo averlo capito bene, servono solo per essere abbattuti e rendere quelle leggi ancora più ingiuste.
Suicidio, la Consulta apre all’obiezione di coscienza. Che non reggerà
La Corte Costituzionale ha pubblicato la sentenza sull’incostituzionalità di parte dell’articolo 580 del Codice penale. A determinate condizioni, l’aiuto al suicidio non è più penalmente perseguibile. Eppure la Consulta ha riconosciuto l’obiezione di coscienza a favore dei medici (ma non della struttura ospedaliera), che però è destinata a essere spazzata via, causando l’eutanasia anche della libertà dei medici.