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medio oriente

Su Israele diviso incombe l'ombra del fronte libanese

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Benny Gantz lascia il Gabinetto di Guerra, ma per Netanyahu restano il ricatto di Ben Gvir e le tensioni in tutto il Paese, mentre al nord si riaccendono gli scontri con gli Hezbollah.

Esteri 19_06_2024
(AP Photo/Ohad Zwigenberg) Associated Press / LaPresse Only iyaly and Spain

Dimissioni inevitabili oppure un abbandono tattico per avere maggiore libertà di esprimere le proprie idee e sottolineare i contrasti, sempre più marcati, col primo ministro Benjamin Netanyahu? Da quando Benny Gantz ha deciso di abbandonare il Gabinetto di Guerra, Netanyahu ha reagito con una mossa a sorpresa: il disgregamento della struttura di comando e coordinamento che aveva voluto dopo quel drammatico attacco dei miliziani di Hamas, lo scorso 7 ottobre. Ma più che una mossa tattica, la creazione del Gabinetto di Guerra era stata una necessità politica nella speranza di tenere unito il Paese. Netanyahu, con la creazione di quella struttura, voleva dimostrare all’opinione pubblica internazionale che Israele era unito e che le scelte del governo erano condivise dai cittadini. Ma ciò non corrispondeva alla realtà. Non va dimenticato, infatti, che prima del 7 ottobre, Israele era un paese radicalmente diviso, a motivo della riforma della giustizia proposta dal governo. Il progetto di revisione aveva scatenato mesi di proteste di massa, col rischio di innescare una crisi costituzionale tra il potere giudiziario e quello legislativo.

Ma l'uscita di Gantz ha dato la possibilità a Netanyahu di bloccare anche l'entrata nel Gabinetto di Guerra di Itamar Ben-Gvir, leader del partito israeliano di estrema destra Otzma Yehudit, e di Bezalel Yoel Smotrich alla guida del Partito Nazionale Religioso-Sionismo Religioso, che avrebbe avuto ancora di più la possibilità di condizionare le scelte politiche del primo ministro. Entrata, che se accettata, avrebbe creato nuove e più aspre tensioni fra il governo israeliano e la comunità internazionale, in particolare con gli Usa. Proprio in questi giorni, nel nord del paese, si sta riaccendendo il conflitto col Libano ed è necessario che la diplomazia possa agire sempre più in modo autorevole per evitare nuovi focolai di guerra che potrebbero coinvolgere l'intera regione. L’uomo da escludere, per Netanyahu, era ed è soprattutto Ben-Gvir.

Che il primo ministro sia un po' sotto ricatto da parte di Ben-Gvir è evidente. Il ministro della Sicurezza, con il suo pacchetto di voti, minaccia quasi ogni giorno di abbandonare la coalizione nel caso non vengano accettate le sue proposte. Ne è un esempio la tregua tattica annunciata dall'esercito per dare la possibilità ai mezzi con gli aiuti umanitari di entrare a Gaza, smentita poco dopo da Netanyahu. «Bibi, così viene chiamato Netanyahu dagli amici, è ostaggio di Ben-Gvir», ha rivelato qualche giorno fa Gantz. «Ogni volta che riunivamo il Gabinetto di Guerra e facevamo una scelta sugli ostaggi, il premier dopo aver consultato i componenti del consiglio chiamava Ben-Gvir e doveva rimangiarsi tutto».

Ma i contrasti non si limitano ai politici e ai cittadini, anche i militari sono in agitazione. Il tutto ebbe inizio con la contestata riforma giudiziaria, contrastata da molti riservisti che si rifiutavano di presentarsi quando richiamati o addirittura rassegnando le dimissioni. La riforma era oggetto di critiche anche da parte dell'attuale ministro della Difesa, Yoav Gallant, prima licenziato da Netanyahu, ma in seguito richiamato nel suo ruolo strategico. Anche in questi giorni il contrasto tra il responsabile della Difesa e il premier è molto evidente. Sul banco degli "imputati" sono gli ebrei ultraortodossi, gli Haredim, che il governo continua ad esentare dal servizio militare, contro la volontà sia dell'esercito, ma soprattutto dei familiari dei soldati costretti a prestare il servizio militare.

Centinaia di genitori di militari israeliani impegnati a Gaza hanno chiesto ai loro figli di «deporre le armi e tornare a casa» in una lettera al ministro della difesa Yoav Gallant e al capo di Stato maggiore delle forze armate, Herzi Halevi. Nella lettera aperta criticano anche la decisione della Knesset, il parlamento dello Stato ebraico, di aver approvato la legge che esonera gli ultraortodossi dal servizio militare. «È impensabile che una legge come questa venga approvata, mentre soldati coraggiosi danno la vita. Il governo sta tradendo i suoi cittadini, consegnando la vita dei nostri figli alla sua sopravvivenza politica, tenendo al sicuro la vita degli altri. Non sacrificheremo i nostri figli sull’altare della corruzione pubblica», hanno scritto i parenti dei soldati.

Nei giorni scorsi, migliaia di persone sono scese in piazza contro il governo e contro gli Haredim definendoli "traditori". Anche lo scorso fine settimana decine di migliaia di persone sono scese in strada a Gerusalemme per protestare contro il governo di Benjamin Netanyahu chiedendone le dimissioni. La polizia ha arrestato almeno cinque manifestanti e ha utilizzato gli idranti per spegnere un rogo che i partecipanti alla protesta avevano acceso per strada.
Contro l'esercito si è rivolto, in più di un'occasione, anche Yair Netanyahu, figlio del primo ministro, che vivendo in Florida ha evitato così di prestare il servizio militare durante la guerra. I soldati si sentono soli. Abbandonati sono anche quelli che necessitano di assistenza psicologica, dopo il loro rientro dal fronte. 

Una situazione sicuramente pesante, mentre a Gaza continua la strage di donne e bambini. Ieri, dopo 246 giorni di guerra, il bilancio delle vittime ha raggiunto le 37.372 unità (a cui si devono aggiungere oltre 10mila dispersi), mentre i feriti sono 85.452. Nel nord d’Israele, al confine con il Libano, un eventuale conflitto con gli Hezbollah potrebbe allargare le ostilità alla regione. Netanyahu sa molto bene che gli Stati Uniti non vogliono una guerra con il Libano. Sa anche che l'Europa non sosterrebbe più la posizione israeliana, perché un conflitto con il Paese dei cedri rischierebbe di coinvolgere anche l’Iran e altri attori regionali. Nel frattempo, crescono le pressioni delle decine di migliaia di sfollati israeliani dell’Alta Galilea che vogliono tornare a casa. Dall'inizio delle ostilità tra Israele e gli Hezbollah i combattimenti hanno causato 400 morti in Libano e 26 in Israele.

Gli Stati Uniti sono molto preoccupati. In Israele, pochi giorni fa, c’è stata la visita del Segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Ora la Casa Bianca ha inviato a Gerusalemme Amos Hochstein che ha discusso con Netanyahu della spinosa questione degli scontri con Hezbollah lungo il confine libanese. La presenza del rappresentante statunitense non ha fermato, però, le ostilità tra i due contendenti. Forse questo tentativo di distensione potrebbe essere arrivato troppo tardi.



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