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GIUDICE PARZIALE

Stop alla legge pro life, ma la battaglia del Texas è viva

Il giudice distrettuale Robert Pitman ha dato ragione, con motivazioni ideologiche, all’Amministrazione Biden, sospendendo temporaneamente la legge texana che vieta l’aborto dal momento in cui è rilevabile il battito cardiaco del nascituro. Ma il Texas ha già presentato ricorso. E gli abortisti rischiano comunque la denuncia. Ecco perché.

Vita e bioetica 08_10_2021

Dopo un fuoco incrociato che va avanti da settimane, la legge pro vita del Texas, in vigore dallo scorso 1 settembre, è stata temporaneamente sospesa. L’ordine, contenuto in 113 pagine di giudizio, è stato emesso mercoledì 6 ottobre dal giudice distrettuale Robert Pitman, dando ragione al Dipartimento di Giustizia che aveva intentato l’azione legale contro l’Heartbeat Act, così chiamato perché vieta l’aborto (tranne che per «emergenza medica») dal momento in cui è rilevabile il battito cardiaco del bambino nel grembo materno, circostanza che si verifica intorno alla sesta settimana. Ma lo Stato governato dal repubblicano Greg Abbott ha già presentato ricorso e non è escluso che la situazione si possa capovolgere a breve.

Secondo Pitman, giudice a suo tempo nominato da Obama, la legge texana è incostituzionale perché priva la donna del «diritto» di abortire fissato in alcune sentenze della Corte Suprema a partire dalla Roe vs Wade. Il giudice distrettuale ritiene che «è notevolmente probabile che gli Stati Uniti abbiano successo nel merito delle loro affermazioni. È notevolmente probabile che il Senate Bill 8 violi il Quattordicesimo Emendamento» (pp.71-72), che è la norma (originariamente approvata per garantire i diritti degli ex schiavi e stabilire che nessuno può essere privato «della vita, libertà o proprietà senza un giusto processo…») in cui la maggioranza dei giudici supremi (7-2) responsabili della Roe vs Wade rintracciarono, creativamente, un diritto alla privacy entro il quale far rientrare l’aborto.

A conclusione del suo giudizio (p. 112), Pitman scrive: «Dal momento in cui il Senate Bill 8 è entrato in vigore, alle donne è stato illegittimamente impedito di esercitare il controllo sulle proprie vite in modi che sono tutelati dalla Costituzione». Tutelati in realtà, come visto, da un’interpretazione abusiva della Costituzione, nella quale mai figura un diritto all’aborto. Eppure, il giudice distrettuale sfida di fatto le corti superiori a trovare una «conclusione» diversa dalla sua. E conclude: «Questa Corte non autorizzerà un altro giorno [in più] di questa offensiva privazione di un diritto così importante», ossia l’aborto.

La baldanza delle parole di Pitman sembra sposarsi più con un manifesto ideologico che con il verdetto di un giudice in un Paese democratico. Ma la portata del giudizio di Pitman è perfino più ampia perché il suo ordine si spinge a diffidare i giudici e gli impiegati dei tribunali del Texas addirittura dall’accettare o registrare cause legali richiedenti il rispetto della nuova legge texana. Ricordiamo che l’Heartbeat Act stabilisce un meccanismo particolare di applicazione, affidando ai comuni cittadini (e non a funzionari statali) la responsabilità di far applicare la legge e quindi la possibilità di intraprendere azioni legali contro l’industria abortista quando si riscontra il battito cardiaco fetale.

La decisione di Pitman, salutata dalla stampa progressista come una “vittoria” dell’Amministrazione Biden, «probabilmente fermerà», almeno nel frattempo, l’applicazione della legge texana, come ha amaramente commentato Texas Right to Life. Ma la stessa organizzazione pro vita fa presente che gli abortisti potrebbero ancora essere perseguiti in caso di violazione del divieto di aborto, e questo per una specifica previsione del Senate Bill 8, secondo cui un imputato non può invocare a sua discolpa la decisione di un tribunale che venga poi annullata da una corte superiore, «anche se quella decisione del tribunale non era stata annullata quando l’imputato si era impegnato nella condotta che viola» la legge texana. In termini più semplici: chi oggi, forte del giudizio permissivo di Pitman, procura un aborto quando il battito del cuore è già presente lo fa a suo rischio e pericolo perché, se quel giudizio verrà ribaltato, la violazione abortista sarà, per legge, comunque denunciabile. I pro life texani, insomma, stavolta le hanno pensate tutte per impedire che le norme a difesa dei nascituri subiscano la stessa fine di tante leggi simili in altri Stati.

L’Hearbeat Act del Texas, intanto, ha salvato «più di 4.700 bambini» da quando è in vigore, secondo una stima fatta due giorni fa dall’attivista pro vita Marjorie Dannenfelser, presidente della Susan B. Anthony List. C’è da aggiungere che gruppi come Planned Parenthood affermano di aver avuto incrementi notevoli di donne texane che si rivolgono alle loro cliniche negli Stati più vicini al Texas, ma è ragionevole credere che il divieto abbia fin qui salvato molti bambini che altrimenti sarebbero rimasti vittime della logica dell’aborto libero. Più avanti, soprattutto se la legge resisterà nel medio-lungo periodo agli attacchi del fronte abortista e se altri Stati seguiranno l'esempio texano, si potranno fare raffronti migliori.

A seguito della decisione di Pitman, il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha presentato un ricorso alla Corte d’Appello per il Quinto Circuito, ritenuta tra le più “conservatrici” degli Stati Uniti e che ha già respinto un precedente tentativo di bloccare la legge. Ad appena un mese e una settimana dalla sua entrata in vigore è già difficile tenere conto del numero di cause e in generale delle azioni intentate contro di essa, tra iniziative di gruppi abortisti, Amministrazione Biden, Satanic Temple, marce, multinazionali che si offrono di pagare le spese di viaggio delle donne che vogliono abortire, dieci milioni di dollari freschi stanziati dal Governo per rimpinguare le casse dei gruppi anti-vita, eccetera.

E il tutto avviene con il favore di gran parte del sistema mediatico. Non pochi media che parlano della legge texana evitano di dire che essa vieta l’aborto da quando è rilevabile il battito cardiaco del nascituro. Diversi resoconti, che paiono fatti in fotocopia, dicono genericamente che l’aborto è vietato «dalla sesta settimana» sposando, indipendentemente o meno, la linea tenuta dal giudice Pitman che nel suo giudizio, a pag. 8, dopo aver discettato sull’inappropriatezza dell’espressione «battito cardiaco fetale», ha scritto che si sarebbe riferito al divieto texano come al «six-week ban», riferimento temporale che nella legge non c’è. Non si tratta ovviamente solo di una scelta di Pitman e pochi altri, ma di una costante della propaganda abortista. Dal «grumo di cellule» in poi, è l’umanità del bambino in grembo la realtà che l’abortismo cerca sempre di nascondere.