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DIBATTITO

Sinodo italiano? Meglio che non si faccia

Sull'ultimo numero de La Civiltà Cattolica, padre Bartolomeo Sorge illustra le ragioni della necessità di un sinodo italiano, che sembra ormai evento ineluttabile. Ma proprio le sue argomentazioni, ideologiche e di parte, fanno emergere con chiarezza le ragioni del no.

Editoriali 12_10_2019

C’è una certa tensione sull’idea di un Sinodo della Chiesa italiana. Il sinodo di Germania sta creando  preoccupazione e rende perplessi sull’opportunità di correre anche in Italia certi rischi di fratture dottrinali. Del resto, però, papa Francesco, parlando il 20 maggio scorso ai vescovi italiani riuniti per la loro assemblea, aveva parlato di un sinodo italiano “probabile”, dando addirittura alcune indicazioni su come impostarlo. In generale, la sinodalità ha oggi il vento in poppa, la parola è su tutte le bocche  e dell’argomento sono piene tutte le riviste teologiche italiane.

Sul recentissimo numero 4062 de “La Civiltà Cattolicainterviene sul tema anche padre Bartolomeo Sorge, figura storica dei gesuiti italiani, a lungo direttore delle riviste dell’Ordine e attore di spicco in tutte le fasi del progressismo cattolico italiano postconciliare. Nell’articolo dal titolo “Un probabile sinodo della Chiesa italiana?” egli illustra le ragioni del sì al sinodo, ma lo fa in modo tale da far emergere con chiarezza le ragioni opposte, quelle del no. Difendendo l’indizione del sinodo, mette involontariamente in evidenza i pericoli che questo comporterebbe e che dissuadono dal farlo.

Padre Sorge riprende il discorso dal Primo Convegno ecclesiale italiano del 1976 su “Evangelizzazione e promozione umana”, tenutosi a Roma. Egli, per incarico di mons. Bartoletti, allora Segretario della CEI, ebbe un ruolo di primo piano nella sua regia e nella sua conduzione. È lo stesso Sorge a ricordarlo, con compiacimento, come “un momento di grazia”. Al compiacimento si aggiunge però il suo disappunto nel notare che la “svolta” iniziata in quel Convegno fu “presto interrotta”. La causa? Sorge dice per la morte di Bartoletti e di Paolo VI, ma tutti sappiamo che si interruppe per l’elezione di Giovanni Paolo II. Anche Sorge lo riconosce e afferma che nel discorso al secondo Convegno ecclesiale di Loreto (1985) Giovanni Paolo II non accettò le due principali proposte di quella svolta, ossia l’introduzione nella Chiesa italiana dello stile del con-venire, come allora si chiamava la sinodalità; e la nuova concezione di missionarietà.

L’interruzione del percorso inaugurato a Roma nel 1976 continuò per i lunghi anni del pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI e, secondo padre Sorge, fino a papa Francesco e al quinto Convegno ecclesiale di Firenze del 2015, quando finalmente si poté sperare in una ripresa del discorso interrotto. Possiamo definire questa concezione della storia dei Convegni ecclesiali italiani come una concezione “parentetica”: il secondo (Loreto), terzo (Palermo) e quarto (Verona) sarebbero come una lunga parentesi tra il primo (Roma) e il quinto (Firenze). La chiusura della parentesi è salutata come provvidenziale e in essa si può e si deve inserire il nuovo “possibile” sinodo.

È evidente che una simile visione sarebbe un fondamento debolissimo per un nuovo sinodo della Chiesa italiana. Esso si fonderebbe sull’annullamento di due pontificati e di tre Convegni ecclesiali nazionali precedenti. Apparirebbe come una rivincita o una vendetta. Si perderebbe completamente ogni forma di continuità. Sarebbe il sinodo di alcuni contro altri. Sarebbe come dire che nei discorsi di Giovanni Paolo II a Loreto e a Palermo e in quello di Benedetto XVI a Verona non c’erano verità valide da riprendere e valorizzare oggi, ma solo da scartare con un senso di liberazione e di fuoriuscita da un tunnel. Un sinodo simile nascerebbe monco, instabile, attaccabile, ed è meglio che non si faccia.

Venendo, poi, ai contenuti, i due punti della “svolta” del 1976, senza i correttivi del magistero successivo, sarebbero stati (e sono) molto pericolosi. Il valore del con-venire, espressione con la quale allora si indicava la sinodalità, nasce da una errata concezione del Concilio, precisamente da quella della Scuola di Bologna, secondo la quale esso sarebbe stato un “evento” solo per il fatto che i vescovi erano lì con-venuti. Un evento dal valore superiore ai suoi testi, che andrebbero interpretati e fatti evolvere successivamente alla luce di quell’evento, attraverso una specie di Concilio permanente basato appunto sul con-venire. Per fortuna Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono sempre opposti a questa visione, invitando ad attenersi ai testi e non ad un presunto “spirito” del Concilio a cui poter far dire tutto e il contrario di tutto, con l’unica condizione che ciò sia fatto da con-venuti.

Il discorso, poi, della missionarietà, era stata declinata dai pontefici successivi in termini di “nuova evangelizzazione”, la quale visione dava importanza alla universalità salvifica di Cristo e alla trasmissione dei contenuti del depositum fidei, negando che la secolarizzazione avesse un valore assolutamente positivo. La nuova missionarietà desiderata da Padre Sorge e impostata nel 1976 assolutizza invece il dialogo con le culture.

Nella conclusione dell’articolo, padre Sorge conferma questa visione di parte, indicando due motivi che rendono impellente un sinodo. Il primo è dato dagli “attacchi a papa Francesco”, che però suona male da parte di uno che dichiara di voler annullare ben due pontificati. Gli attacchi a papa Francesco, laddove ci sono veramente, destano sì grande preoccupazione, come anche quelli a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI però. Il secondo è che molti fedeli condividono e appoggiano “concezioni antropologiche e politiche inconciliabili con la visone evangelica dell’uomo e della società”. Con queste parole egli non si riferisce all’antropologia contraria alla vita e alla famiglia espressa dal PD o dai 5stelle, ma a quella di Salvini.  Anche questa sembra una base piuttosto debole (e di parte) per indire un sinodo.