Sessualità, le parole in libertà di Avvenire
Le affermazioni del giornalista Luciano Moia a proposito delle situazioni che - secondo lui - non potrebbero essere più definite "irregolari" sollevano molte problematicità, perché cancellano ciò che la Chiesa ha sempre creduto e professato.
Caro Direttore,
il motivo di questa mia lettera, che gentilmente mi permette di pubblicare sul suo quotidiano, è l'articolo di Luciano Moia apparso su Avvenire di sabato 10 febbraio, dal titolo “Fedeltà e amore di Dio. Ecco la verità sul ritiro per gli omosessuali”, di cui avete parlato già ieri. Il pezzo vuole essere una difesa dell’iniziativa, promossa dall’arcidiocesi di Torino, di un ritiro per persone omosessuali, la cui finalità, a quanto diversi organi di informazione di diverso orientamento hanno riportato, era di approfondire il tema della “fedeltà” nelle relazioni omosessuali. Cosa che, come si sa, non può essere accettata secondo l’insegnamento morale della Chiesa cattolica.
Il giornalista di Avvenire, afferma che ci sarebbe stato un allarmismo eccessivo nei confronti di questa iniziativa, alla quale sarebbero state attribuite finalità difformi da quelle reali. Egli scrive che «l’argomento del ritiro era sì la fedeltà, ma non tanto quella tra coppie omosessuali, (bensì) innanzitutto quella che Dio esprime con il suo amore verso tutte le creature». Se le cose stanno davvero così ha ragione Moia, nel dire che si è fatto troppo rumore per nulla. Tuttavia, tra le molte osservazioni che si potrebbero fare, almeno una merita di essere rimarcata.
Anche se non possiamo sapere con sicurezza quello che sarebbe stato detto in quel ritiro (visto che non si è tenuto), però sappiamo bene quello che l’organizzatore, incaricato per la pastorale degli omosessuali nella diocesi di Torino, don Gian Luca Carrega, ha detto in diverse interviste e video reperibili in rete. Egli ha detto esattamente quello che, secondo i mezzi di informazione «male informati», avrebbe dovuto essere detto in occasione del menzionato ritiro: cioè che è auspicabile cominciare a pensare a una proposta di rapporto fedele e stabile anche per coppie omosessuali. Insomma, quello che a torto (secondo Moia) si presumeva sarebbe stato detto nel ritiro, era già stato detto da tempo! Perché questo particolare il signor Moia non lo scrive nel suo articolo?
Alla luce di queste premesse, alle quali comunque non vorrei dare troppo peso, vorrei ora rivolgere a Moia una semplice domanda, visto che i mezzi di informazione non sono sempre attendibili. Ha scritto lei le seguenti frasi, che ho letto nel supplemento di Avvenire “Noi. Famiglia e Vita” del 28 maggio 2016 (p. 12)? Ecco la citazione: «Rotture, disgregazioni, sofferenze. Ma anche la realtà di conviventi, separati, divorziati risposati, coppie tra persone dello stesso sesso. Unioni che saremmo tentati di definire “irregolari” se papa Francesco non ci avesse spiegato che questo lessico va definitivamente considerato inopportuno e sgradevole, perché nessuno, sulla base della propria condizione di vita o del proprio orientamento sessuale, può essere considerato “irregolare” agli occhi di Dio».
Se queste frasi sono sue, almeno la firma lo è, vorrei rivolgere a lei, e di riflesso anche ai vescovi italiani che ospitano i suoi articoli sul loro quotidiano, alcuni quesiti:
- Se per lei la distinzione fra regolare e irregolare, in teologia morale, è un linguaggio “inopportuno” e “sgradevole”, ne deriva anche che sia un linguaggio falso e da abbandonare?
- Se le situazioni da lei enumerate non sono definibili come irregolari, come dovremmo considerarle? Regolari? Legittime? Normali? Eticamente lecite? Conformi all’insegnamento biblico, della tradizione e del magistero? Oppure tollerabili, scusabili, accettabili, “diversamente regolari” o altro ancora? Potrebbe offrirci un aggettivo adeguato e alternativo, se quello di “irregolare”, cioè non lecito, non va più bene?
- Dove papa Francesco ci ha insegnato quello che lei dice, cioè che la distinzione fra irregolare e regolare è un linguaggio sgradevole e inopportuno, dunque da non usare? Se lo ha fatto ne deriverebbe, come lei immagina, una vera e propria “rivoluzione morale”.
- Nel linguaggio di Gesù non pensa che ci siano toni e contenuti “sgradevoli” e, nel suo contesto, “inopportuni”, eppure profondamente veri? Non è forse per questo che è stato crocifisso? Un cristiano deve evitare espressioni sgradevoli, anche se sono vere?
- Dove papa Francesco ci ha insegnato che le coppie dello stesso sesso non sono definibili “irregolari”, cioè non conformi alla natura e al senso della sessualità umana come Dio l’ha pensata e voluta? Se questo fosse vero sarebbe il primo papa ad averlo detto, visto che l’insegnamento magisteriale precedente è unanime nel ritenere che l’esercizio della sessualità al di fuori dell’unico matrimonio legittimo fra un uomo e una donna contraddice il disegno di Dio sull’essere umano e dunque è “peccato” (mi scusi la parola).
- Infine, se “nessuno in base alla propria condizione di vita può essere considerato irregolare agli occhi di Dio”, come lei scrive, esiste ancora una differenza in generale fra peccato e virtù? E’ ancora richiesta una conversione? Quello che la Bibbia dice sull’essere graditi o non graditi agli occhi di Dio ha ancora un senso? Tutti sono in comunione con Dio indipendentemente dalla loro condotta?
Come vede, signor Moia, le sue poche frasi contengono una quantità di impliciti problematici. Lei scrive, nell’articolo di sabato scorso, che accusare l’iniziativa di Torino di voler «abbassare l’asticella della moralità» dipende da pregiudizi e perfino malafede. Ma lei si rende conto di aver fatto qualcosa di più che abbassare l’asticella? Dichiarare che nessuno è irregolare davanti a Dio, elimina semplicemente l’asticella. Poiché scripta manent, quando si scrive bisogna essere sicuri delle parole che si usano, perché le parole hanno un senso e se non si usano in modo “regolare” (secondo la semantica dei termini e le regole della grammatica) si rischia di dire cose «spiacevoli e inopportune». Se mi sono permesso di esprimere queste osservazioni è solo per un motivo. Affermazioni come le sue, come quelle rilasciate da don Carrega e come quelle di altri sacerdoti e perfino vescovi, o anche certi silenzi “inopportuni”, stanno diventando un po’ troppo frequenti e si è creata ormai l’opinione diffusa che non si tratti di semplici sviste o distrazioni, ma di una vera e propria “politica” intenzionalmente perseguita, mantenendo nei fedeli disorientati l’illusione che la dottrina non cambia. Se quest’opinione non fosse vera, e me lo auguro vivamente, tuttavia è necessario non dare pretesti o appigli a simili sospetti e tornare a parlare e scrivere con proprietà di linguaggio e competenza nel merito.
*Osb, Abbazia Madonna della Scala, Noci