Serve una speranza vera per iniziare
Tra pochi giorni si apriranno le porte delle classi a quasi otto milioni di studenti. Intanto, le statistiche ci restituiscono una situazione giovanile allarmante, tra diffusione di alcol, droghe, pornografia, ecc. In che modo può aiutare la scuola? L’insegnante deve coniugare professionalità e umanità, in modo che i ragazzi possano sentirsi fiorire e mettere i propri talenti al servizio di tutti.
Auguri di buon inizio! Mentre ormai in tutte le scuole sono iniziate le riunioni, i consigli di classe, i collegi docenti, tra pochi giorni si apriranno finalmente le porte delle classi a quasi otto milioni di studenti (non tenendo conto delle scuole materne, già iniziate). L’attenzione di tutti è rivolta in queste settimane, comprensibilmente, alle prospettive del precariato, alle nuove assunzioni, ai PAS per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, eccetera. Questioni urgenti e importanti, che rischiano anche quest’anno di distogliere l’attenzione da un’emergenza umana.
La situazione dei giovani è sempre più allarmante. I dati statistici rivelano che il consumo di droga è in crescente aumento negli ultimi anni, e non solo tra i giovani. In base alla Relazione europea sulla droga 2018 dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA), in Europa l’Italia si trova al terzo posto per il consumo di cannabis (dalle stime il 33,1% della popolazione l’ha usata almeno una volta nella vita), mentre è al secondo posto se si prende in considerazione la fascia d’età tra i 15 e i 34 anni. Il 20,7% nella fascia tra i 15 e i 34 anni ne ha fatto uso nei 12 mesi precedenti all’ultima indagine che risale al 2017. L’Italia è al quarto posto in Europa per il consumo di cocaina (il 6,8% delle persone con età compresa tra i 15 e i 34 anni ne ha fatto uso almeno una volta).
Vi sono, poi, tante altre forme di dipendenza in continua crescita (dai videogiochi alla pornografia all’alcool, per citarne solo alcune). In aumento sono anche i casi di suicidio nel mondo degli adolescenti. I dati Istat rivelano che dagli anni Settanta a oggi, se la popolazione giovanile è calata di circa il 30% tra gli under 25, si è assistito, invece, a un aumento dei suicidi di circa il 10%. Più di 500 adolescenti ogni anno si tolgono la vita. Sono, poi, tre volte tanto (tra i 1000 e i 1500, secondo stime sottostimate) i ragazzi che vengono salvati in extremis. Sono numeri altissimi, se pensiamo che i giovani tra i 10 e i 14 anni non ammontano a tre milioni e pressoché equivalenti sono i ragazzi tra i 15 e i 19 anni (i dati sono del 2016).
Sotto i riflettori sono, poi, i fatti di cronaca che vedono la delinquenza minorile protagonista. Lo sballo del sabato sera sembra divenuto la paradigmatica rappresentazione di una risposta che la società contemporanea ha dato alle domande dei giovani: riempire il vuoto, mettere a tacere l’horror vacui, che provoca un senso di vertigine, è la parola d’ordine attuale. Stordimento della mente, carpe diem a ogni costo dimenticando un progetto buono sulla vita, un destino di compimento, perché manca un futuro ed è assente la speranza.
Se, poi, analizzassimo i dati delle scuole italiane, a partire dagli esiti delle prove Invalsi 2019, potremmo descrivere anche la situazione drammatica in cui versa la scuola da un punto di vista didattico (vedi l’articolo di Marco Lepore pubblicato sulla Nuova Bussola dello scorso 5 settembre).
Che cosa c’entra la scuola con il panorama del mondo giovanile appena descritto? È giusto colpevolizzare il sistema scolastico? È indubbio che l’emergenza attuale non riguarda soltanto la scuola, ma più in generale l’uomo: è una crisi culturale, valoriale, educativa. È una crisi della speranza. La speranza ha a che fare con una prospettiva sul futuro, con una possibilità di compimento. I giovani, oggi, non sanno se si possa ancora costruire qualcosa nella vita, se vi sia qualcosa che possa permanere nel tempo. Vedono in crisi, spesso, le loro famiglie, il mondo del lavoro, la possibilità di credere che lo studio abbia davvero a che fare con i loro sogni e le loro aspirazioni professionali. Vedono, per lo più, svanita la fede nell’aldilà e nell’al di qua (per approfondire si veda la mia rubrica L’io e la crisi della modernità pubblicata nel 2016 e nel 2017 su questo quotidiano).
Il ragazzo deve ritornare a credere (perché ne fa esperienza) che la scuola sia una grande opportunità per sé, per crescere, per conoscersi, per scoprire la realtà, se stessi e i propri talenti.
Di fronte alle difficoltà del mondo scolastico attuale l’errore che si commette oggi è quello di pensare che ogni due lustri debba mutare il metodo di insegnamento ovvero la strada che l’insegnante utilizza perché l’alunno possa essere catturato dalla disciplina e possa apprendere. Siamo davvero convinti che la pedagogia muti con il mutare delle circostanze storiche con tempi così rapidi? Attenzione, non intendo certo negare l’utilità di strumenti informatici, di new media o di tutti quegli strumenti che la tecnica offre, in sempre maggiore abbondanza. Ma oggi, l’uso del tablet, del digitale, della strumentazione informatica viene proposto come panacea alla situazione di disamore allo studio e alla crisi sempre più ampia che pervade il mondo dei giovani. In questi anni si sta realizzando la scuola delle competenze e del digitale.
Fa comodo attendersi dalla tecnologia quel risveglio che, in primo luogo, spetta a noi. Si tratta del risveglio dell’io e dell’umano che nel tempo rimangono immutati. Anche i fondamenti del rapporto educativo tra maestro e discepolo rimangono gli stessi. Ogni docente si porrà di fronte alla classe con la sua personalità, le sue qualità, tutto il suo essere. Andrà salvaguardata la libertà dell’insegnamento che non significa totale arbitrarietà.
Vanno coniugate professionalità e umanità. Entrambi i fattori si devono contemperare, l’uno non ha efficacia piena senza l’altro. L’insegnante dovrà essere in grado di mantenere la disciplina, che non è il fine dell’educazione, ma requisito fondamentale e imprescindibile, punto di partenza perché possa instaurarsi un rapporto educativo. La disciplina non è una formalità, ma è una forma sostanziale, è il riconoscimento che vi è di fronte ai ragazzi una presenza autorevole che può comunicare qualcosa di importante. Il silenzio è, quindi, il riconoscimento che si è in una posizione di ricezione e di ascolto, non passivo. La mancanza di disciplina è uno dei problemi fondamentali nelle scuole di oggi.
Sono gli insegnanti alla base di una buona scuola: ma solo se sono dei buoni insegnanti. E chi sono i buoni insegnanti? Se chiedessimo agli studenti che cosa rende un buon insegnante tale la maggior parte di loro non avrebbe dubbi al riguardo.
Un buon insegnante è appassionato di quello che fa, lo ama, trasmette il gusto per quello che insegna. Un buon insegnante è affezionato ai propri studenti, percepisce il loro anche come proprio fallimento, li tratta come se fossero dei figli che i genitori gli hanno affidato perché potessero crescere al meglio.
Direi che è semplice ricominciare l’avventura scolastica, perché basta ripartire dalla semplicità dell’umano, costituito da sorrisi, incoraggiamenti, rimproveri, desiderio di felicità, di affettività, di appartenenza, di compimento. Portiamo in classe la nostra umanità, con le sue domande e la sua speranza. Nel piccolo, nella dimensione dell’aula in cui entreremo, dei colleghi che saluteremo al mattino e degli studenti che incontreremo, sarà gettato il seme di una scuola nuova.
Tra pochi giorni, in tutte le scuole d’Italia, facciamo questa piccola prova. Non atterriamo i nostri studenti con l’angoscia dei programmi, ma partiamo con un augurio. Comunichiamo loro un augurio per quest’anno scolastico: «augurio» dal latino augeo, che significa «aumento», «accresco» (la scuola serve per la crescita e la vitalità del ragazzo).
Quale può essere l’augurio? Che il cammino comune dell’insegnante e del ragazzo possa essere una vera esperienza (cioè che divenga occasione per essere più uomini e più umani) per capire un po’ meglio la propria persona e che cosa abbia a che fare quanto viviamo con il nostro desiderio di felicità.
Che i ragazzi possano sentirsi fiorire a scuola nel desiderio di scoprire i propri talenti e di metterli al servizio di tutti. Che l’avventura della scuola possa essere davvero una scoperta di sé e dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna il ragazzo di 10 o 18 anni all’insegnante che si avvicina per la prima volta alla cattedra o, viceversa, che sta per andare in pensione. Che studiare possa essere davvero bello e interessante! Che la scuola torni a essere un luogo di speranza per gli adulti come per i giovani.
Nella prima campanella che suonerà tra qualche giorno sarà già contenuto tutto: nella domanda e nella speranza dei giovani scolari e degli insegnanti adulti si nasconde il seme per la rinascita.
Qualche anno fa, augurai a una classe un buon anno scolastico. Un ragazzo mi confidò allora che era la prima volta che ciò accadeva nella sua carriera scolastica e per questo si era promesso di non deludermi. L’esito del suo cammino didattico e umano fu negli anni successivi molto proficuo.
In quell’augurio iniziale era già contenuto tutto.